
Anche se la struttura fondamentale della celebrazione eucaristica rimane la stessa, ci sono tuttavia diverse caratterizzazioni, che vengono chiamate forme della messa.
a) Messa con il popolo
Essa è la forma normale. «… conviene che, per quanto è possibile, che la celebrazione si svolga con il canto e con un congruo numero di ministri; si può fare però anche senza canto e con un solo ministro» (OGMR 115), e in essa, oltre al sacerdote, di norma siano presenti per assisterlo un accolito, un lettore e un cantore. Ogni messa può anche esser celebrata con la presenza di un diacono (cf. OGMR 116).
Tra le messe comunitarie ha il primo posto quella, «presieduta dal vescovo circondato dal suo presbiterio, dai diaconi e dai ministri laici con la partecipazione piena e attiva del popolo santo di Dio» (OGMR 112). Già la SC (41) aveva dato rilievo alla celebrazione pubblica dell’eucaristia da parte del vescovo - tradizionalmente detta anche messa pontificale -, poiché in essa si ha una speciale manifestazione della chiesa.
b) Messa concelebrata
Essa è una messa particolarmente solenne, celebrata contemporaneamente da più sacerdoti, e nella quale uno di essi ha il ruolo di celebrante principale. Ad una considerazione dal punto di vista storico risulta che in Occidente si ebbe prima una «concelebrazione silenziosa», nella quale solo il celebrante di rango più alto recitava la Preghiera eucaristica. Nel sec. XIII si sviluppò a Roma la cosiddetta «concelebrazione formulata o parlata», nella quale ogni celebrante recitava col papa l’intero canone, tenendo in mano una propria ostia. Verso la fine del Medioevo questa forma venne estesa alle messe di ordinazione dei vescovi e dei presbiteri.
Il Vaticano II ammette il valore della concelebrazione poiché in essa si manifesta l’unità del sacerdozio e del sacrificio. Nello stesso tempo il Concilio amplia le possibilità di concelebrazione e ordina che venga redatto un nuovo rito della concelebrazione (SC 57 s.). Tale nuovo rito venne pubblicato il 7 marzo 1965 e venne meglio motivato e raccomandato dall’istruzione Eucharisticum mysterium del 25 maggio 1967. Il nuovo Messale Romano del 1970 pubblica un rito rielaborato (cf. OGMR 199-251) e ne amplia le possibilità di impiego. Nella concelebrazione «si manifesta assai bene l’unità del sacerdozio, del sacrificio e di tutto il popolo di Dio» (OGMR 199).
c) La messa conventuale
Come forma particolare di messa godeva di grande stima la messa celebrata quotidianamente da comunità religiose con «obbligo di coro», perché si pensava «di trovare in essa il modello ideale di celebrazione liturgica dal punto di vista formale». «D’altra parte il Vaticano II e le riforme successive hanno opportunamente messo in rilievo il dovere per le comunità religiose della (con-)celebrazione (possibilmente quotidiana) dell’eucaristia, secondo le possibilità del momento».
d) La messa dei fanciulli
Già il Vaticano II era arrivato all’idea che l’uniformità della celebrazione liturgica non può essere un ideale (SC 38). Spetta alle Conferenze episcopali, secondo la Costituzione sulla sacra liturgia, prescrivere, per il loro territorio, delle norme che tengano conto delle tradizioni e della cultura propria dei popoli, delle regioni e delle diverse comunità.
Un tale adattamento sembrò urgente particolarmente per le celebrazioni eucaristiche dei fanciulli. Il 1 novembre 1973 apparve il Direttorio per le Messe dei fanciulli della Congregazione per il culto divino; nel 1974 uscirono (in latino) le già ricordate tre Preghiere eucaristiche per le messe dei fanciulli, la cui edizione italiana, con la versione italiana del Direttorio, fu pubblicata in La Messa dei fanciulli del 15 dicembre 1976; il 15 dicembre 1976 uscì il Lezionario per la Messa dei fanciulli.
I citati documenti prevedono, pur con il mantenimento della struttura fondamentale, una certa semplificazione per rendere possibile la comprensione e la partecipazione dei fanciulli. Inoltre è importante che i fanciulli «possibilmente siano coinvolti concretamente nella liturgia, attraverso la partecipazione alle processioni... con rappresentazioni visive... Tuttavia proprio la celebrazione con i fanciulli ha bisogno anche di momenti di silenzio... Nella scelta delle letture il Direttorio concede al sacerdote una certa libertà».
e) La messa dei giovani
La situazione di fede di molti giovani è oggetto attualmente di grande preoccupazione. Molti sono lontani dalla fede cristiana e quindi dalla celebrazione eucaristica domenicale. Le cause possono essere qui solo elencate con accenni e non valgono per tutti nella stessa misura: caduta della socializzazione cristiana e della tradizione a motivo della scristianizzazione di molte famiglie; forme deficienti dell’insegnamento della religione nella scuola; diffusione di un atteggiamento "antiautoritario" e quindi anche distacco e scetticismo di fronte all’istituzione chiesa; carente senso della trascendenza ed esclusivo fissarsi sul materiale (secondo Illuminismo). Di conseguenza manca a molti giovani la motivazione per frequentare le celebrazioni, che a molti sembrano estranee alla vita e noiose. «Molti dicono: Noi non incontriamo nella liturgia d’oggi i reali problemi del mondo e degli uomini, tanto più che la liturgia nella sua forma abituale non rende possibile un apporto personale dei partecipanti».
Tutto ciò spiega gli sforzi degli operatori di pastorale giovanile per mettere in atto una liturgia che possibilmente corrisponda alla situazione di fede e alla condizione psicologica della gioventù. Questi sforzi trovano una giustificazione e un incoraggiamento già nella SC allorquando dice che nella formazione liturgica si devono considerare l’età, le condizioni, il genere di vita, la cultura religiosa e la capacità di comprensione (19; 34) e che, «salva la sostanziale unità del Rito romano... si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi» (38).
Per l’Italia la CEI (Commissione episcopale per la liturgia) pubblicò il 23-24 febbraio 1970 delle Indicazioni e norme per la «messa dei giovani» (ECEI I, 839-844) articolata in una prima parte, Principi, e in una seconda, Indicazioni e norme, riguardanti il rito, i testi, l’omelia, il canto e la musica. Per il documento, «Le "messe dei giovani"... suppongono una catechesi condotta con tanta intelligenza e con tanta efficacia, da portare i giovani a sentirsi comunità ecclesiale... e ad esprimere di conseguenza questo senso comunitario in una celebrazione, che pur nella fedeltà alle norme stabilite, sia veramente adatta alla loro età e alla loro psicologia. Lo sbaglio che tante volte si commette sta nella pretesa di cominciare subito dal traguardo, senza premettere il necessario tirocinio di iniziazione e di allenamento; si hanno così celebrazioni... in cui per riempire in qualche modo la sottaciuta superficialità dell’insieme si finisce o col porre l’accento su fattori più marginali, o con l’introdurre in modo scriteriato forme eccentriche e arbitrarie» (ECEI, I, 41, 2997). Il documento concludeva notando che «solo una formazione dignitosa e seria potrà far sì che la liturgia sia davvero per i giovani spirito e vita. E questo spirito e questa vita essi porteranno un giorno in tutte le assemblee liturgiche del popolo di Dio» (ECEI I, 844, 3013).
f) Le messe per gruppi particolari
Data la grandezza media delle odierne parrocchie e la forte fluttuazione della popolazione (centri residenziali, città satelliti), i partecipanti alle celebrazioni liturgiche rimangono per lo più estranei. Questa anonimità impedisce di sperimentare consapevolmente il carattere comunitario dell’eucaristia e di giungere così a una sua più profonda comprensione. Perciò oltre alle sopraccitate disposizioni generali del Vaticano II è stata pubblicata il 15 maggio 1969 (edizione riveduta e corretta nel dicembre 1969) dalla Congregazione per il culto divino una Istruzione sulle sante messe per gruppi particolari (Actio pastoralis).
Queste piccole comunità possono essere gruppi di vario tipo: gruppi di famiglie o di persone che abitano vicine, gruppi di apostolato o giovanili, alcuni movimenti e cammini, partecipanti e ospiti di giornate, matrimoni, giubilei, funerali, gruppi scolastici e infine anche piccoli gruppi, che si radunano attorno a un malato. In queste messe, dette anche messe di gruppo o domestiche, la struttura della messa comunitaria deve essere mantenuta. Si deve anche aver cura che esse non portino a un isolamento dalla comunità parrocchiale, ma al contrario facilitino l’accesso ad essa. Poiché nella messa in un piccolo gruppo è possibile venire a conoscenza in modo immediato della struttura fondamentale della celebrazione eucaristica, ne può risultare un’approfondita conoscenza della messa in assemblee più ampie, ad es. della liturgia comunitaria domenicale. L’anonimità, presente forse in una riunione più ampia, viene allora sentita come meno pesante. La celebrazione della messa in piccolo gruppo deve così essere anche un aiuto al singolo per inserirsi più facilmente nella grande comunità.
Quanto all’ambiente per tali messe è consigliabile o un luogo sacro piuttosto piccolo (ad es. cappella, cappella settimanale ecc.) oppure anche - col consenso dell’autorità ecclesiastica - in case private o istituti, un luogo adatto e conveniente, escluse per sé le camere da letto. Fuori di un luogo sacro è sufficiente come altare un tavolo preparato in modo festivo. Non si può fare a meno dei normali vasi liturgici, come patena e calice. Dovrebbe essere ovvio per dei credenti che il vestito e il comportamento dei partecipanti deve corrispondere alla dignità dell’eucaristia. Il sacerdote deve essere riconoscibile come rappresentante di Cristo e presidente dell’assemblea eucaristica e deve quindi indossare le vesti liturgiche.
Quanto alla messa in opera della celebrazione eucaristica, le direttive richiamano a una accurata scelta delle letture, orazioni e canti, corrispondenti alla situazione concreta e alla capacità di comprensione dei partecipanti (cf. PNMR 352).
g) Messa senza popolo
Fa parte della forma piena della messa che essa sia celebrata con una assemblea (congregato populo; cf. OGMR 47). Ciò viene sottolineato energicamente in numerosi testi conciliari e postconciliari del Vaticano II. Per questo motivo la messa in taluni tempi e riti è chiamata Riunione (ad es. collecta; synaxis). Essa è un’azione della chiesa (= riunione dei chiamati) e non un’ azione privata sacerdotale.
Tuttavia in casi estremi la chiesa permette la messa con solo un ministrante, il quale allora, anche se meno validamente sul piano del segno, rappresenta l’assemblea e nei dialoghi previsti dà le risposte dell’assemblea (PNMR 252).
Mentre nella messa tridentina la mancanza di un ministrante veniva interpretata come un defectus missae (X, 1), che però rendeva la messa non invalida ma illecita, secondo il nuovo ordinamento della messa, essa «per un giusto e ragionevole motivo» può essere celebrata anche senza ministrante; in tal caso si omettono i saluti, le monizioni e la benedizione (cf. OGMR 254).
La giustificazione teologica per cui questa messa senza il popolo mantiene tuttavia la sua «efficacia e dignità», è data dal fatto che essa «è azione di Cristo e della Chiesa, nella quale il sacerdote compie il suo ministero specifico e agisce sempre per la salvezza del popolo» (OGMR 19).
4. Sacrificio sacramentale: azione di grazie, memoriale, presenza (CCC 1358-1381)
Se i cristiani celebrano l’Eucaristia fin dalle origini e in una forma che, sostanzialmente, non è cambiata nonostante i secoli che sono passati e nonostante le varie riforme liturgiche, è perché la chiesa si sapeva vincolata dal comando del Signore che disse: "Fate questo in memoria di me" (1Cor 11, 24-25).
A questo comando del Signore obbediamo celebrando l’Eucaristia. Facendo questo, offriamo al Padre ciò che egli stesso ci ha dato: i doni della creazione, il pane e il vino, diventati, per la potenza dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di Cristo: in questo modo Cristo è reso realmente e misteriosamente presente (CCC 1357).
Dobbiamo dunque considerare l’Eucaristia
- come azione di grazie e lode al Padre,
- come memoriale del sacrificio di Cristo e del suo Corpo,
- come presenza di Cristo in virtù della potenza della sua Parola e del suo Spirito.
5. Banchetto pasquale (CCC 1382-1401)
La Messa è ad un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce, e il sacro banchetto della Comunione al Corpo e al Sangue del Signore. Ma la celebrazione del sacrificio eucaristico è totalmente orientata all’unione intima dei fedeli con Cristo attraverso la Comunione. Comunicarsi, è ricevere Cristo stesso che si è offerto per noi.
Gesù ci rivolge un invito chiaro e pressante a riceverlo nel sacramento dell’Eucaristia: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6, 53).
Certamente per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento così grande e così santo. San Paolo esorta ad un esame di coscienza: "Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (1Cor 11, 27-29). In altre parole: chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima d’accedere alla Comunione.
C’insegna il CCC: "davanti alla grandezza di questo sacramento, il fedele non può che fare sua con umiltà e fede ardente la supplica del centurione: "Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea" (cf. Mt 8, 8).
Per prepararsi in modo conveniente alla Comunione bisogna osservare il digiuno prescritto (cf. CIC 919).
E’ importante anche l’atteggiamento del corpo (gesti, abiti) che esprime il rispetto, la solennità, la gioia di questo momento in cui Cristo diventa nostro ospite.
Per quanto riguarda la Comunione: l’insegnamento della chiesa raccomanda che i fedeli, se hanno le disposizioni richieste, si comunichino quando partecipano alla Messa (cf. CIC 917). "I fedeli nel medesimo giorno possono ricevere la santissima Eucaristia solo una seconda volta". "Si raccomanda molto quella partecipazione più perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la Comunione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesimo Sacrificio" (SC 55).
Inoltre, la chiesa fa obbligo ai fedeli di partecipare all’Eucaristia la domenica e le feste e d’accostarsi alla Comunione almeno una volta all’anno, possibilmente nel tempo pasquale (cf. CIC 920), preparati dal sacramento della Riconciliazione. "La Chiesa tuttavia raccomanda vivamente ai fedeli di ricevere la santa Eucaristia la domenica e i giorni festivi, o ancora più spesso, anche tutti i giorni" (CCC 1389).
In virtù della presenza sacramentale di Cristo sotto ciascuna specie, la comunione con la sola specie del pane permette di ricevere tutto il frutto di grazia dell’Eucaristia. Per motivi pastorali questo modo di fare la Comunione si è stabilito come il più abituale nel rito latino. Tuttavia "la santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico" (OGMR 281).
6. Frutti della Comunione (CCC1391-1401)
* la Comunione accresce la nostra unione a Cristo; in altre parole, ricevere l’Eucaristia nella Comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù. Il Signore infatti dice: "Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6, 56). La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico: "Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me" (Gv 6, 57); * la Comunione conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo; in altre parole, la crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla Comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio, fino al momento della morte, quando ci sarà dato come viatico;
* la Comunione ci separa dal peccato; il Corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è "dato per noi", e il Sangue che beviamo, è "sparso per molti in remissione dei peccati", perciò l’Eucaristia non può unirci a Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dai peccati commessi e preservarci da quelli futuri;* la Comunione fortifica la carità che, nella vita d’ogni giorno, tende ad indebolirsi; la carità così vivificata cancella i peccati veniali (cf. DS 1638); * la Comunione ci preserva in futuro dai peccati mortali; in altre parole, quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da lui con il peccato mortale. E’ da sottolineare che l’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali. Questo è proprio del sacramento della Riconciliazione (CCC 1395); * l’Eucaristia fa la Chiesa; coloro che ricevono la Comunione sono uniti più strettamente a Cristo. Per ciò stesso, Cristo li unisce a tutti i fedeli in un solo corpo: la Chiesa. Di conseguenza, la Comunione rinnova, fortifica, approfondisce questa incorporazione alla Chiesa già realizzata mediante il Battesimo. E’ proprio nel Battesimo che siamo stati chiamati a formare un solo corpo (cf. 1Cor 12, 13). L’Eucaristia realizza questa chiamata: "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane" (1Cor 10, 16-17). * l’Eucaristia impegna nei confronti dei poveri. Per ricevere nella verità il Corpo e il Sangue di Cristo offerti per noi, dobbiamo riconoscere Cristo nei più
poveri, suoi fratelli (cf. Mt 25, 40).
7. Eucaristia - "Pegno della gloria futura" (CCC 1402-1405)
Se l’Eucaristia è il memoriale della Pasqua del Signore, se mediante la nostra Comunione all’altare veniamo ricolmati "di ogni grazia e benedizione del cielo", l’Eucaristia è pure anticipazione della gloria del cielo.
Durante Ultima Cena il Signore stesso ha fatto volgere lo sguardo dei suoi discepoli verso il compimento della Pasqua nel Regno di Dio, dicendo: "Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel Regno del Padre mio" (Mt 26, 29; Lc 22, 18; Mc 14, 25). Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia, ricorda questa promessa e il suo sguardo si volge verso "Colui che viene" (cf. Ap 1, 4). Nella preghiera, essa invoca la sua venuta: "Marana tha" (1Cor 16, 22), "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22, 20), "Venga la tua grazia e passi questo mondo!" (Didaché, 10, 6).
La chiesa sa che, fin d’ora, il Signore viene nella sua Eucaristia, e che egli è lì, in mezzo a noi. Tuttavia questa presenza è nascosta. E’ per questo che celebriamo l’Eucaristia "expectantes beatam spem et adventum Salvatoris nostri Jesu Christi", chiedendo "di ritrovarci insieme a godere della tua gloria quando, asciugata ogni lacrima, i nostri occhi vedranno il tuo volto e noi saremo simili a te, e canteremo per sempre la tua lode, in Cristo, nostro Signore".
Di questa grande speranza, quella dei "nuovi cieli" e della "terra nuova nei quali abiterà la giustizia" (2Pt 3, 13), non abbiamo pegno più sicuro, né segno più esplicito dell’Eucaristia. Ogni volta infatti che viene celebrato questo mistero, "si effettua l’opera della nostra redenzione" (LG 3) e noi spezziamo "l’unico pane che è farmaco d’immortalità, antidoto contro la morte, alimento dell’eterna vita in Gesù Cristo"
8. Forme di pietà eucaristica fuori della Messa
a) Retrospettiva storica
La presenza reale del Signore glorificato, attuata - nella celebrazione eucaristica - nei doni consacrati del pane e del vino, portò a tributare a tali elementi, anche fuori della messa, un particolare rispetto e venerazione. Già nell’antichità cristiana si inviava una parte di questo pane eucaristico agli assenti (malati) o se ne dava una provvista anche ai fedeli affinché essi non dovessero sentirne la mancanza nei giorni non eucaristici. Soprattutto si conservava il pane eucaristico per poterlo dare ai morenti come cibo per il viaggio (viatico). Questo è il primo e vero motivo della conservazione, che avveniva nei primi secoli nell’abitazione del sacerdote e a partire dal sec. VIII anche in un ambiente accanto alla chiesa (in Oriente il Pastoforion o Diakonikon, in Occidente la sacrestia o le sue adiacenze, sacrarium o secretarium), Con la distribuzione della comunione nei giorni aliturgici, la cosiddetta liturgia dei presantificati, che si formò in Oriente a partire dal sec. VI, ma che si affermò in Occidente solo per il Venerdì santo, si ebbe un altro motivo per la conservazione. Si cercava tuttavia in genere di consacrare solo quanto era necessario di volta in volta per la celebrazione eucaristica.
L’uso testimoniato la prima volta per Gerusalemme nel sec. XI, di distribuire le particole avanzate nella messa seguente, in Occidente incontrò dapprima opposizione, ma poi si affermò lentamente fino alla fine del sec. XVI. Alla fine divenne uso generale di consacrare "facendo provvista», un abuso che nonostante ripetute ammonizioni della chiesa non ha potuto ancora essere definitivamente superato.
A partire dal sec. XIII il culto dei doni consacrati anche fuori della messa ebbe un forte incremento, soprattutto grazie all’impulso di San Francesco d’Assisi e del suo ordine. Forme espressive di questa nuova tendenza della pietà erano tra l’altro l’elevazione dell’ostia dopo le parole della consacrazione (testimoniata la prima volta per Parigi all’inizio del sec. XIII), la visita al Santissimo, l’introduzione della festa del Corpus Domini e della sua processione, alla quale presto seguirono altre processioni teoforiche, l’esposizione del Santissimo fuori e presto anche nel corso della messa (incontrando l’opposizione di Roma) e l’uso della Preghiera delle quaranta ore. Anche nei numerosi esercizi devoti del popolo e delle confraternite l’adorazione del Signore presente nell’ostia conosce un forte slancio.
Tali forme di devozione e di adorazione eucaristica sono certo fondamentalmente possibili, ma comportano il pericolo che il nesso con la messa si oscuri, che Liturgia della Parola, Preghiera eucaristica e Comunione non siano più sentite come un tutto unitario, e che la comunione nella messa non sia più vista come norma e forma principale di pietà eucaristica.
b) Il nuovo ordinamento
Il lavoro di rinnovamento liturgico mise un limite a un certo sviluppo incontrollato (in buona fede) e mise nuovamente in evidenza il primato della celebrazione eucaristica nel suo insieme. In questo contesto vanno citati innanzitutto l’istruzione Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967) e il fascicolo del Rituale romano pubblicato dalla Congregazione per il culto divino il 21 giugno 1973 e apparso in edizione italiana il 17 giugno 1979 con il titolo Rito della comunione fuori della messa e culto eucaristico. Poiché questo rituale realizza in gran parte le direttive della suddetta istruzione, l’esposizione che segue fa riferimento solo ad esso.
Nella sua Introduzione generale si osserva innanzitutto che la celebrazione eucaristica è l’origine e il fine anche del culto che viene reso al Sacramento dell’altare fuori della messa (2). «Nessun dubbio quindi che tutti i fedeli, in linea con la pratica tradizionale e costante della chiesa cattolica, nella loro venerazione verso questo santissimo Sacramento, rendano ad esso quel culto di latria che è dovuto al vero Dio» (3). Scopo primo e originario della conservazione dell’eucaristia è l’amministrazione del viatico, in seconda linea essa serve all’amministrazione della comunione fuori della messa e all’adorazione del Signore presente (5). Poiché la presenza eucaristica di Cristo è il frutto della consacrazione, essa non deve essere già all’inizio della messa sull’altare della celebrazione (6). Per rendere possibile la preghiera davanti al santissimo Sacramento anche durante il giorno le chiese devono essere tenute aperte almeno alcune ore giornalmente (8).
Se i fedeli non possono partecipare alla messa, hanno il diritto di ricevere la comunione anche al di fuori della messa; al riguardo però i pastori d’anime devono richiamare l’attenzione sull’intima connessione della comunione con la messa (15). Il Giovedì santo e il Venerdì santo la comunione fuori della messa è possibile solo per i malati; il Sabato santo può essere ricevuta solo come viatico (16). Quanto al modo della sua amministrazione, questa dovrebbe avvenire nel quadro di un’ampia o breve liturgia della Parola (17-53). Viene quindi descritto diffusamente il rito della comunione ai malati da parte di un ministro straordinario (54-78). Nel capitolo conclusivo (III) viene caldamente raccomandata la «devozione sia pubblica che privata verso la santissima eucaristia» anche fuori della messa, secondo le norme vigenti (79). Nel fare ciò i fedeli devono essere coscienti che la presenza sacramentale del Signore deriva dal sacrificio e tende alla comunione (80).
Quanto all’esposizione del Santissimo nella pisside o nell’ostensorio, si eviti con cura tutto ciò «che potrebbe in qualche modo oscurare il desiderio di Cristo, che istituì la santissima eucaristia principalmente perché fosse a nostra disposizione come cibo, rimedio e sollievo» (82). Viene quindi proibito durante l’esposizione del Santissimo di celebrare la messa nella stessa navata della chiesa. Come motivazione si afferma in aggiunta a quanto detto sopra al nr. 6, che «la celebrazione del mistero eucaristico racchiude in modo più perfetto quella comunione interna a cui l’esposizione vuol condurre i fedeli» (91). Anche nell’esposizione breve deve precedere una liturgia della Parola. «E’ vietata l’esposizione fatta unicamente per impartire la benedizione» (97). Con ciò non sono più lecite le benedizioni eucaristiche tanto diffuse e finora abituali in circostanze come il primo venerdì del mese.
Ministro ordinario dell’esposizione del Santissimo è il sacerdote o il diacono (99); in caso di loro impedimento possono esserlo anche gli accoliti, i ministri straordinari della comunione e ogni membro di una comunità religiosa che abbia per compito l’adorazione eucaristica (quest’ultimo su designazione dell’Ordinario). Però ai ministri straordinari non è permesso di impartire la benedizione col Santissimo (99b).
Durante l’adorazione davanti al Santissimo esposto le preghiere, i canti e le letture siano scelte in modo tale che i fedeli possano orientare tutta la loro attenzione a Cristo.
Le processioni eucaristiche devono essere precedute da una messa «nella quale viene consacrata l’ostia da portarsi poi in processione» (103).
c) La discussione sull’amministrazione della comunione nelle assemblee domenicali e festive senza sacerdote
La forte mancanza di sacerdoti in molti paesi portò, presso molte comunità, alla pratica di assemblee domenicali e festive senza sacerdote. Dapprima erano solo Liturgie della Parola, che già il Vaticano II aveva raccomandato (SC 35, 4) e per le quali l’Istruzione per l’applicazione della SC aveva dato direttive più precise (37). Quando si diffuse l’uso della distribuzione della comunione da parte di laici, rapidamente tali Liturgie della Parola furono combinate con l’amministrazione della comunione e si giunse così a una nuova forma più ricca di assemblee senza sacerdote. Molti vescovi fecero al riguardo raccomandazioni e dettero concrete indicazioni.
Presto però furono espresse delle riserve nei confronti della abituale amministrazione della comunione in tali Liturgie della Parola, perché la comunione fuori della celebrazione eucaristica può essere vista solo come soluzione di emergenza e non come lodevole consuetudine. Altrimenti sorge il rischio di promuovere una comprensione statica (isolata) dell’eucaristia, che si concreta solo sull’ostia consacrata (presenza reale) e attribuisce minor significato alla ripresentazione del Mistero pasquale (presenza attuale). Si profila anche il pericolo di un possibile deprezzamento della Liturgia della Parola presso i fedeli a causa della stabile combinazione di essa con l’amministrazione della comunione.
Tale unione non può quindi essere la norma abituale di una celebrazione domenicale comunitaria senza sacerdote. Con riferimento alla struttura d’insieme dell’eucaristia, non se ne possono isolare a piacere le singole dimensioni e renderle autonome le une rispetto alle altre. Ciò impedisce anche di dedicare la giusta considerazione al dialogo ecumenico in corso, il quale vede l’eucaristia come un tutto unitario ed è alla ricerca di una messa in atto corrispondente. Peraltro non è il caso di negare e quindi di proibire la fondamentale possibilità di una Liturgia della Parola con Comunione. Tuttavia quando essa è celebrata in questa forma deve anche essere chiaramente evidenziato il collegamento con la messa.