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ABC della Liturgia
ABC della Liturgia/44

Il corpo nella liturgia: gesti 


c) Segno di pentimento – battersi il petto: un gesto d’umiltà che sta ad indicare la propria interiorità corrotta e peccaminosa, ma con il desiderio anche di cambiare, di convertirsi.

Battersi il petto è uno dei gesti penitenziali più classici. Questo gesto viene presentato anche da Gesù riguardo al pubblicano. Mentre il fariseo pregava stando in piedi, il pubblicano “si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»” (cf. Lc 18, 9-14). La folla di fronte alla morte di Cristo ha lo stesso atteggiamento: “Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto” (Lc 23, 48).

E’ un gesto popolare e tradizionale, quanto a espressività. Nella celebrazione eucaristica esso viene compiuto al momento del “Confesso…” alle parole “Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa”. Nel Messale di San Pio V si parla di tre colpi al petto; il nuovo Messale Romano dice soltanto: “battendosi il petto” (MR p. 295).

Il gesto si ripete ancora quando si usa il Canone romano come Preghiera eucaristica. Alle parole: “Anche noi peccatori”, il presidente e i concelebranti si battono il petto con la mano; la frase si riferisce proprio ai ministri che in tal modo si riconoscono peccatori davanti all’assemblea.

Prima della riforma, il gesto si ripeteva più volte durante l’Eucaristia: per esempio, all’Agnello di Dio, al “Signore, io non sono degno…”.

Se il gesto è ben fatto, può costituire un salutare richiamo alla nostra situazione di peccatori e una manifestazione del nostro dolore e dell’impegno della nostra lotta contro il male.

Uno dei grandi del Movimento Liturgico, Romano Guardini, scrive: “…dobbiamo compiere bene l’atto. Non toccarci appena le punte delle dita il vestito; il pugno chiuso deve colpire il petto. Forse hai visto già in vecchi quadri San Girolamo inginocchiato nel deserto, che, nella piena della commozione, si batte il petto con una pietra nella mano. E’ una percossa, non un gesto cerimonioso. Ha da attraversare le porte del nostro mondo interiore e scuoterlo. Allora comprendiamo cosa significa… Questo è dunque il significato del battersi il petto: l’uomo vi si desta. Desta il suo mondo interiore, affinché percepisca l’appello di Dio. Si mette dalla parte di Dio e si punisce. Riflessione pertanto, rimorso e conversione” (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 1996, p. 139-140). 

d) Aspergere con l’acqua benedetta: la liturgia eucaristica domenicale (specialmente nel tempo pasquale e in circostanze particolari) si può “sostituire il consueto atto penitenziale, con la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo” (OGMR 51). Questo gesto penitenziale dovrebbe essere quello più concreto ed eloquente. Esso traduce in immagini e richiama alla mente verità che le parole riescono difficilmente ad esprimere: il nostro Battesimo come inizio e fondamento della celebrazione dell’Eucaristia; la nostra liberazione dalla colpa di Adamo; la nostra vocazione a un sacerdozio regale.

 

e) Braccia aperte ed elevate - mani verso l’alto: molte volte nell’antichità i cristiani venivano dipinti mentre pregavano con le mani verso l’alto; mani aperte al dono di Dio, mani povere che implorano. Dice il Salmo 62, 5: “Così ti benedirò finché io viva, nel tuo nome alzerò le mie mani”. Questo gesto è il segno di preghiera, di supplica, d’intercessione, d’apertura al dono che si chiede, di disponibilità… e anche di lode e di rendimento di grazie. Con questo gesto si riceve anche la comunione sulle mani: chiedendo umilmente il pane di Cristo, con gratitudine ed emozione. E’ il gesto sacerdotale per eccellenza per le orazioni del presidente dell’assemblea e per la preghiera eucaristica. Per molti secoli, il popolo si univa al sacerdote nello stesso gesto. Lo dovremmo ricuperare per determinati momenti (ad es., nella Messa durante il Padre nostro).

(Pubblicato su Lazio Sette, 17 febbraio 2008, p. 9)

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