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ABC della Liturgia

L'Abc della liturgia/65

Il corpo nella liturgia: gli atteggiamenti

Occhi attenti – sguardo
Nella nostra vita gli occhi svolgono un ruolo importante. Anche nella celebrazione liturgica il vedere, il guardare, il puntare gli occhi su un luogo, una persona o cosa è importantissimo: le immagini, la luce del cero e delle lampade, i gesti espressivi del corpo, gli orientamenti, i colori, ecc.; tutto questo costituisce una specie di pedagogia visiva.

Lo sguardo ha una funzione comunicativa. Comunichiamo con lo sguardo prima che con le parole. Gli occhi sono, inoltre, come lo specchio dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni: ammirazione, affetto, amore, risentimento, rancore, ira, indifferenza, broncio, curiosità, cupidigia.
Sguardo d’amore o di rancore; sguardo di curiosità o di cupidigia; sguardo di bambino, d’innamorato, di poeta; sguardo di fede e di preghiera.

Nel Vangelo di Matteo, leggiamo: “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso” (Mt 6, 22-23).

Nei Vangeli vediamo spesso Gesù che guarda, che fissa… che comunica con gli occhi: guardava la folla, gli apostoli, osservava la gente e le cose, mirava le persone (ad es. un giovane che voleva seguirlo; cf. Mc 10, 21), scrutava le intenzioni dei nemici, dava loro occhiate di sdegno (cf. Mc 3, 5), ecc.

Gesù insegnò anche agli apostoli a saper vedere e discernere le cose; li incitava a saper vedere i segni dei tempi, ad osservare la bellezza del creato (cf. gigli del campo), la libertà dei passeri, la necessità del prossimo gravemente ferito ed abbandonato lungo la strada, ecc.

Non possiamo dimenticare lo sguardo di Gesù nei momenti della preghiera: “Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunciò la benedizione” (Mc 6, 41); “Gesù allora alzo gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio…»” (nella risurrezione di Lazzaro: Gv 11, 41); “… guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà», cioè: «Apriti!»” (nella guarigione del sordomuto: Mc 7, 34); “Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l’ora…»” (Gv 17, 1).


(Pubblicato su "Lazio Sette", 16 novembre 2008, p. 2)

II Parte
Lo sguardo ha anche l’importanza nella celebrazione liturgica, in cui la vista aiuta molto a captare la dinamica del mistero celebrato e a mettersi in sintonia con esso. Prima che con le parole o i canti, è con gli occhi che c’accorgiamo della celebrazione: vediamo l’aula celebrativa, la comunità ivi riunita, l’altare e gli altri spazi celebrativi, le immagini sacre, i gesti simbolici, ecc.

Possiamo affermare che lo sguardo di fede viene aiutato e sostenuto dallo sguardo umano: volgere gli occhi verso l’altare, verso colui che presiede, verso colui che proclama la parola di Dio…, ci pone in situazione di prossimità e attenzione.

La riforma del Concilio Vaticano II ha favorito la visibilità nella celebrazione, in particolare con la disposizione degli spazi celebrativi (l’altare verso il popolo, la disposizione dell’ambone e la sede della presidenza). Oggi, a distanza degli anni, non possiamo trascurare di migliorare l’ottica nella liturgia: gesti ben realizzati, segni abbondanti e non stentati, movimenti armonici, spazi ben distribuiti, bellezza estetica nell’insieme, buona illuminazione…
Bisogna ricordare che lo sguardo, cioè la possibilità di vedere ciò che avviene nel presbiterio, soprattutto sull’altare, non è una perdita del significato del mistero, ma un aiuto pedagogico direi fondamentale. Come si vede allora, non soltanto l’udito o la lingua, anche l’occhio celebra.

Bisogna però evitare alcuni possibili pericoli:

* la liturgia non è uno spettacolo in cui i presenti s’accontentano di vedere od osservare quello che fanno gli altri: anche la comunità prega, canta, ascolta, si muove (ad es. processione durante la Comunione); 

* osservare può essere superficiale: è evidente la necessità d’approfondire, di mettersi in sintonia con quanto si celebra; in altre parole: a volte possiamo avere gli occhi aperti e non vedere o non guardare; oppure guardiamo, ma non arriviamo a vedere il significato delle cose; la visualità degli occhi del corpo vuole favorire la visione interiore di fede, quella contemplativa.

(Pubblicato su "Lazio Sette", 23 novembre 2008, p. 19)

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