ABC della Liturgia/11
La partecipazione attiva
Qui occorre ribadire la nozione che l’assemblea non deve restare "spettatrice" della celebrazione. "Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è «sacramento di unità», cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità di ordini, di compiti, e di partecipazione attiva" (SC 26).
L’assemblea deve diventare attiva, perché è un dovere ed un diritto di ogni battezzato pregare, pregare comunitariamente, pregare attivamente. E allora, prendendo parte a ciò che si fa, come membra sollecite, ognuno secondo la sua funzione e le sue possibilità, ciascuno svolgendo il ruolo proprio, partecipando con le risposte, il canto, la preghiera, i movimenti, i gesti, il silenzio interiore, vivendo la celebrazione personalmente e in comunione con Dio e con gli altri presenti.
Ed è necessario che tutti i cristiani siano convinti che la forma comunitaria e quindi attiva della preghiera cristiana è sempre da preferirsi a quella individuale e privata. "Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla partecipazione e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata" (SC 27).
(Pubblicato su Lazio Sette: 21 gennaio 2007, p. 11)