Questo sito utilizza solo cookie tecnici al solo scopo di far funzionare il sito.
Non usa cookie di profilazione

Se accetti di visitarlo clicca su chiudi.
Buona giornata.

Il rapporto intrinseco Bibbia – Liturgia

1. L’importanza della parola di Dio nella vita della Chiesa.

2. Il significato della parola di Dio nella celebrazione liturgica.

3. La proclamazione della parola di Dio.

 

 

Due documenti essenziali:

CEI, Ordinamento Generale del Messale Romano, Ed. Fondazione di religione Santi Francesco di Assisi e Caterina da Siena, Roma 2004 (OGMR).

Congregazione del Culto Divino, Ordo lectionum Missae (Ordinamento delle letture della Messa), Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1981.

 


1. L’importanza della parola di Dio nella vita della Chiesa

 

La fede cristiana non può essere considerata come un vago assenso ad un sistema di verità astratte né, tanto meno, può essere intesa solo come adeguamento ad un preciso codice morale. La fede dipende totalmente dalla parola di Dio.


I due documento sopraccitati ci offrono da una parte le indicazioni precise di carattere liturgico per mettere a fuoco il servizio della parola di Dio nell’ambito della celebrazione dell’Eucaristia (OGMR) e dall’altra mettono in risalto l’importanza della parola di Dio nella vita della Chiesa.

 


"Nell’ascolto della parola di Dio si edifica e cresce la Chiesa e i fatti mirabili, che un tempo e in molti modi Dio ha compiuto nella storia della salvezza" (OLM 7), rappresentano il punto di riferimento essenziale per scandire il cammino di fede di chi vuole essere cristiano sul serio senza limitarsi solo ad un’appartenenza anagrafica alla Chiesa.


a) La Chiesa nasce dall’ascolto della parola di Dio (At 2, 1)

Si tratta di una prima sottolineatura che evidenzia tutta l’importanza ecclesiale della parola di Dio. S. Paolo Ap. Lo dice con chiarezza: "Come potrebbero invocare colui nel quale non credono? E come potrebbero credere in colui che non hanno udito? E come lo potrebbero udire se non c’è chi l’annunci?" (Rm 10, 14). L’annuncio del Vangelo e l’ascolto della parola di Dio costituiscono una continua rigenerazione della Chiesa.


Gli Apostoli scelti da Cristo ricevono come primo compito quello di annunciare il Vangelo a tutti (Mt 28, 19). E’ il seme della parola di Dio che fa germogliare la fede, condizione indispensabile per entrare a far parte della Chiesa (cf. LG 9).


La parola di Dio consente all’uomo di dialogare con Dio (SC 33) perché "nei libri sacri, il Padre, che è nei cieli, viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli e discorre con essi" (DV 21). E ancora: la parola di Dio fa prendere coscienza alla Chiesa di essere il popolo della nuova Alleanza: "Ogni volta che la Chiesa… annuncia e proclama la parola di Dio, sa di essere il nuovo popolo nel quale l’Alleanza, sancita negli antichi tempi, diventa piena e completa" (OLM 7).

"Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annuncia il Vangelo" (OGMR 29)


b) La Chiesa vive della parola di Dio (At 2, 42)

La primitiva comunità cristiana è descritta da s. Luca come un gruppo di persone assidue nell’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli. Nelle visite alle comunità cristiane del suo tempo, s. Paolo si preoccupava d’alimentare tutti i fedeli con la ricchezza della parola di Dio (cf. At 13, 16-42; 17, 22-33; 20, 7-11 ecc.).


Il Concilio Vaticano II riprendendo questa singolare prospettiva, sottolinea che è compito della Chiesa "nutrirsi del Pane della vita sia dalla mensa della parola di Dio che dalla mensa del Corpo di Cristo" (DV 21; cf. SC 48 e 51) che è l’Eucaristia. Anche la Chiesa, come avviene per qualsiasi organismo umano, ha bisogno del cibo. La parola di Dio è il suo nutrimento.


E’ un’esigenza che riguarda tutti, senza distinzione, perché "nell’ascolto della parola di Dio si edifica e cresce la Chiesa" (OLM 7).


c) La Chiesa annuncia la parola di Dio (At 4, 19)

Il compito della Chiesa consiste nell’annunciare a tutti la parola di Dio senza temere le conseguenze (cf. la risposta di Pietro e di Giovanni davanti al Sinedrio). In altre parole, consapevole dell’importanza della parola di Dio, la chiesa non può tacere, ma deve portare a tutti la luce e la forza del Vangelo.


"Tutti i fedeli, che in forza del Battesimo e della confermazione, sono diventati nello Spirito annunziatori della parola di Dio, una volta ricevuta la grazia di ascoltare questa parola, devono farsene annunziatori nella Chiesa e nel mondo, almeno con la testimonianza della loro vita" (OLM 7).


d) La parola di Dio illumina il futuro della Chiesa

Dalla parola di Dio scaturisce una spinta propulsiva che incoraggia a proiettarsi verso il futuro e definitivo compimento escatologico del regno di Dio.


Da questo punto di vista, la parola di Dio non si configura solo come ricordo dei fatti salvifici del passato, ma è anche portatrice di una dimensione attualizzante (cf. Lc 4, 21) ed escatologica.

Quindi, oltre a radicarci nella memoria salvifica del passato, ci fa cogliere l’urgenza salvifica del presente e suscita la speranza escatologica che orienta la nostra esistenza verso la Parusia.

E’ una dimensione certamente poco consueta anche in chi ha un rapporto abbastanza intenso con la parola di Dio: "La stessa parola di Dio, proclamata nella celebrazione dei divini misteri, non si riferisce soltanto alla presente situazione che stiamo vivendo, ma rievoca il passato e fa intravedere il futuro, ravvivandone in noi il desiderio e la speranza, perché fra il vario fluire delle umane vicende, là siano fissi i nostri cuori, dov’è la vera gioia" (OLM 7).


2. Il siginificato della parola di Dio nella celebrazione liturgica

 

Per comprendere il ruolo e il particolare contributo che la parola di Dio è in grado di svolgere in una celebrazione liturgica, bisogna sforzarsi di comprendere la duplice relazione esistente fra l’azione liturgica e la proclamazione della parola di Dio. Da questo punto di vista, è necessario precisare che non è solo la parola di Dio che dà qualcosa alla liturgia, ma è indubbio che anche la celebrazione liturgica contribuisce a dare nuovo splendore alla parola di Dio.


Il prendere atto di questa profonda osmosi rappresenta non solo un’importante chiarificazione metodologica ma anche un essenziale punto di partenza per cercare di illustrare un aspetto così suggestivo della teologia liturgica. Infatti, mentre la liturgia offre la possibilità di una comprensione più vasta e più profonda della parola di Dio, questa, a sua volta, dà vigore e contenuto alla liturgia come esperienza di salvezza.


Il fondamento di una simile prospettiva sta nel fatto che "ciò che si dice della parola di Dio si può affermare anche della liturgia, perché l’una e l’atra rievocano il mistero di Cristo e l’una e l’atra nel modo loro proprio lo perpetuano" (OLM 5). Quindi, fra la parola di Dio e la liturgia, oltre ad esserci perfetta identità di contenuto, c’è anche da rilevare una certa diversità nel riferirsi a tale contenuto.


Parola di Dio e liturgia, però, non sono la stessa cosa e, pur riferendosi allo stesso mistero di Cristo, si differenziano notevolmente per il modo concreto di relazionarsi al Cristo e al progetto salvifico di Dio, culminato mediante l’azione dello Spirito Santo nell’evento della Pasqua, che impegna la Chiesa a camminare nel tempo nell’attesa del suo compimento escatologico.


Perciò una vera teologia della Liturgia della Parola deve prendere le mosse da una attenta considerazione della profonda osmosi che sussiste fra parola di Dio e liturgia, perché è nella bipolarità delle relazioni esistenti fra la parola di Dio da una parte e la liturgia dall’altra che si può cogliere il profondo significato sacramentale dei compiti che la parola di Dio è in grado di svolgere nel contesto della celebrazione liturgica.


a) Parola di Dio e liturgia

La Chiesa, nelle sue celebrazioni liturgiche, non si limita a celebrare l’opera salvifica del Cristo, ma avverta anche il bisogno di far riecheggiare la parola di Dio, perché è questa che dà contenuto e valenza salvifica ai suoi riti. S. Agostino lo aveva sottolineato con forza: "Accedit Verbum ad elementum et fit Sacramentum". Perché l’azione liturgica della Chiesa acquisti uno spessore sacramentale e salvifico, è necessario che ci sia la parola di Dio. Solo così i suoi gesti acquistano un profondo significato salvifico.


Da una simile prospettiva scaturisce una conseguenza ben precisa: "E’ necessario che attingano alle sorgenti della Scrittura quanti cercano la salvezza e la vita" (OLM 5). Non c’è via di scampo: la liturgia può essere salvifica nella misura in cui fa spazio alla parola di Dio.


Questa è l’unica spiegazione teologica veramente valida per comprendere come mai la Chiesa continua a leggere la parola di Dio nelle sue celebrazioni liturgiche. Senza la parola di Dio, la liturgia si riduce ad essere solo una sterile e teatrale messa in scena di gesti e di riti: "Quanto più si penetra nel vivo della celebrazione liturgica, tanto più si avverte anche l’importanza della parola di Dio" (OLM 5), perché solo la parola di Dio può illuminare d’autentico valore salvifico la realtà liturgica.


Fra riti liturgici ed eventi salvifici esiste uno stretto legame di continuità e di dipendenza. La liturgia, infatti, non si pone su un piano diverso da quello della storia della salvezza così come è evidenziata dalla parola di Dio. La liturgia è la sua attualizzazione nell’oggi della storia dell’uomo.


In questa prospettiva, i riti liturgici rappresentano il prolungamento degli eventi della storia della salvezza. Hanno il loro significato salvifico e il loro stesso contenuto. Anzi, i riti liturgici desumono il loro significato e il loro contenuto salvifico proprio dagli eventi della storia della salvezza per cui i riti, senza un adeguato rapporto con la parola di Dio, sarebbero svuotati del loro spessore salvifico. Diventerebbero gesti simbolici qualsiasi, incapaci di significare e di esprimere la volontà e l’azione salvifica di Dio nei confronti dell’uomo.


b) Liturgia e parola di Dio

Il fascino sempre suggestivo che promana dalla parola di Dio sta nel fatto che non rappresenta una vicenda chiusa in se stessa che bisogna limitarsi a contemplare. La parola di Dio quando risuona nella liturgia acquista una nuova tonalità: "I molteplici tesori dell’unica parola di Dio si manifestano mirabilmente nelle varie celebrazioni, come anche nelle diverse assemblee di fedeli che ad esse partecipano, sia quando si rievoca nel ciclo annuale il mistero di Cristo, sia quando si celebrano i sacramenti e i sacramentali della Chiesa, sia quando i singoli fedeli rispondono all’intima azione dello Spirito Santo" (OLM 3).

Bisogna riconoscere che la celebrazione liturgica non è solo un’occasione, sia pure privilegiata, per la proclamazione della parola di Dio, ma costituisce anche un particolare evento di grazia che conferisce al testo biblico, letto e ascoltato, una profondità e una risonanza a volte del tutto imprevedibile. Così la lettura biblica della liturgia veicola il dinamismo e la progressiva conoscenza della parola di Dio che avviene lungo la storia della Chiesa.


Alla comprensione sempre più profonda della parola di Dio non contribuisce solo la scienza esegetica, ma anche l’esperienza liturgica della comunità cristiana. Un testo biblico, anche se viene letto molte volte nella liturgia, è recepito sempre in forma diversa, perché l’azione liturgica rappresenta un prezioso contributo per cogliere tutta l’inesauribile profondità misterica racchiusa nella parola di Dio.


Nel nuovo OLM troviamo espresso un simile concetto molto bene: "La celebrazione liturgica, che poggia fondamentalmente sulla parola di Dio e da essa prende forza, diventa un nuovo evento e arricchisce la parola stessa di una nuova efficace interpretazione" (OLM 3). Perciò, nessuna celebrazione della parola di Dio è uguale all’altra.


La riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha ridato splendore e vivacità alla Liturgia della Parola, consegnando alla Chiesa una realtà profondamente rinnovata sia nella sua struttura rituale come anche nei suoi contenuti biblici, ma, forse, non a tutti è stato ancora possibile recepire l’importanza della Liturgia della Parola.

 

 

3. La proclamazione della parola di Dio

 

La domanda che ci poniamo: Che cosa avviene quando la parola di Dio è proclamata nella liturgia e che cosa significa un simile gesto?


L’espressione "proclamazione della parola di Dio" non deve essere considerata solo come una novità terminologica, ma impegna tutti a fare un preciso salto di qualità per ridare alla parola di Dio tutta la sua importanza teologica e rituale.


Per un’adeguata comprensione di tale espressione, bisogna, quindi, rifarsi alle liturgie di alleanza dell’Antico Testamento, durante le quali veniva letto il Libro sacro. In tali assemblee si compiva un vero e proprio rito sacramentale, perché il popolo d’Israele, dopo aver recepito le parole di Dio, era chiamato a dare la sua risposta. La proclamazione della parola di Dio è una vera celebrazione sacramentale.


a) La presenza di Cristo

La riforma liturgica del Concilio Vaticano II, che si pone come spartiacque fra due epoche liturgiche della storia della Chiesa, nel ribadire l’importanza della proclamazione liturgica della parola di Dio, ha precisato che "è Cristo che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura" (SC 7). La presenza del Cristo è, quindi, il fattore più significativo che deve spingere la chiesa a recuperare tutta la profondità teologica e sacramentale della proclamazione della parola di Dio.


Diceva s. Agostino: "La bocca di Cristo è l’Evangelo. Regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra". In un altro documento antico leggiamo: "Si legge il Vangelo nel quale Cristo di sua bocca parla al popolo… per far risuonare il Vangelo nella Chiesa, come se Cristo stesso parlasse al suo popolo". E ancora: "La parola di Dio viene pronunciata nella celebrazione liturgica viene pronunciata nella celebrazione liturgica non soltanto in un unico modo, né raggiunge con la medesima efficacia il cuore dei fedeli: sempre però nella sua parola è presente il Cristo, che attuando il suo mistero di salvezza santifica gli uomini e rende al padre un culto perfetto" (OLM 4).


b) Un rito che si fa evento

La riforma liturgica del Vaticanum II ha ridato vigore all’antica tradizione ecclesiale, che considerava la liturgia della Parola come una vera e propria celebrazione dell’evento salvifico, in grado di determinarsi ogni qual volta la parola di Dio è proclamata nella liturgia ed è ascoltata dall’assemblea.


Quindi la proclamazione della parola di Dio non è affatto da considerarsi come un rito preparatorio alla vera e propria celebrazione eucaristica. Ha un valore in sé, perché rappresenta il momento ecclesiale più espressivo della Parola che si fa evento di salvezza. Ha, quindi, un preciso significato sacramentale, perché la parola di Dio "opera nei cuori ciò che fa risuonare negli orecchi" (OLM 9).


Da questo punto di vista, la proclamazione della parola di Dio non è un fatto qualsiasi. Non è come leggersi a casa, da soli, la parola di Dio. E’ un gesto divino come tutti quelli della liturgia.


c) Un rito che conferma l’alleanza

La proclamazione della parola di Dio costituisce il segno sacramentale più eloquente della volontà salvifica di Dio nei riguardi dell’uomo che cammina nel tempo. Perciò, tale momento liturgico non è da prendersi mai alla leggera, né, tanto meno, può essere considerato solo come un supporto della celebrazione. Dobbiamo ricordare sempre che "La parola di Dio, costantemente annunciata dalla liturgia, è sempre viva ed efficace per la potenza dello Spirito Santo" (OLM 4).


La proclamazione della parola di Dio, infine, può essere considerata come il segno più espressivo dell’amore incessante di Dio nei confronti dell’uomo: "Manifesta quell’amore oprante del Padre che giammai cessa di operare verso tutti gli uomini" (OLM 4).


La proclamazione della parola di Dio nel contesto della celebrazione liturgica, è sempre da considerarsi come la manifestazione più piena e significativa della volontà e dell’azione salvifica di Dio nei confronti dell’uomo. E’ un rito che conferma l’alleanza fra Dio e l’uomo.


d) Un rito che esige una risposta

La proclamazione della parola di Dio deve essere anche considerata come un memoriale che attualizza ala Pasqua di Cristo: "Nell’azione liturgica, la Chiesa risponde fedelmente quello stesso «Amen» che Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, pronunziò una volta sola, per tutti i tempi, con l’effusione del suo sangue, per dare sanzione divina alla nuova alleanza nello Spirito Santo" (OLM 6).


La proclamazione della Parola è, quindi, un rito che impegna a una risposta ben precisa: "Quando Dio rivolge la sua Parola, sempre aspetta una risposta, la quale è un ascolto e un’adorazione in «Spirito e verità» (Gv 4, 23)" (OLM 6). Tale risposta è interiore e suppone la capacità di dare ascolto alla parola di Dio dal profondo del proprio cuore.


Ma una simile risposta non dipende solo dall’uomo. E’ anche frutto dello Spirito Santo: "E’ lui che rende efficace la risposta, in modo che ciò che si ascolta nell’azione liturgica si attui poi anche nella vita, secondo quel detto: «siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori» (Gc 1, 22)" (OLM 6).


In questo senso, la proclamazione della parola di Dio contribuisce non poco a illuminare e a dare senso all’intera realtà liturgica, intesa come esperienza di salvezza e come risposta umana al progetto salvifico di Dio. Per cui ogni celebrazione liturgica, intessuta come è di gesti e di azioni che provengono dalla cultura umana, riceve il suo significato dal necessario riferimento di tali azioni rituali all’economia della salvezza, che è espressa simbolicamente ed è efficacemente riproposta da questi stessi gesti.


L’intera liturgia, così, si configura come una risposta dell’uomo al progetto salvifico di Dio e, come tale, non può assolutamente fare a meno della parola di Dio: "L’atteggiamento del corpo, i gesti e le parole con cui si esprime l’azione liturgica e si manifesta la partecipazione dei fedeli, ricevono il loro significato non solo dall’esperienza umana donde tali forme sono tratte, ma dalla parola di Dio e dall’economia della salvezza alla quale sono riferite" (OLM 6).

Si può, quindi, affermare che l’intensità della partecipazione liturgica dei fedeli è strettamente legata all’ascolto, alla risonanza e all’interiorizzazione della parola di Dio. Dipende dalla parola di Dio: "La partecipazione dei fedeli all’azione liturgica sarà tanto più viva quanto più profondamente essi sapranno aderire, nell’ascolto della parola di Dio in essa proclamata, al Verbo di Dio incarnato nel Cristo, impegnandosi ad attuare nella loro vita ciò che hanno celebrato nella liturgia e, di incontro, a trasfondere nella celebrazione liturgica il loro comportamento quotidiano" (OLM 6).


In conclusione, quindi, è doveroso rilevare che la proclamazione della parola di Dio non solo non deve essere considerata come un rito preparatorio alla vera e propria celebrazione dell’Eucaristia, ma, anzi, rappresenta la chiave di volta per capire in anticipo quale sarà la partecipazione liturgica dei fedeli. Infatti, quanto più è profondo e interiore l’ascolto della parola di Dio, tanto più sarà viva ed efficace la partecipazione liturgica.


Da tale prospettiva scaturisce un preciso insegnamento: solo chi si è lasciato "catturare" dalla parola di Dio, saprà anche penetrare in profondità nel grande mistero della salvezza che la liturgia continua a proporre alla comunità cristiana che cammina nel tempo. Senza parola di Dio, però, sarà arduo per tutti varcare la soglia del mistero!