Formazione dei Ministri Straordinari della Comunione
(incontro tenuto da don Pietro Jura)
L’Eucaristia:
- origine
- contenuto fondamentale
- linee di sviluppo
- fonte e culmine della vita ecclesiale
- nomi e doni dell'Eucaristia
Con la parola Eucarestia (= Εουχαριστειν: ringraziamento, rendimento di grazie) designiamo quel sacramento che nell’ambito cattolico per lo più viene detto Messa o sacrificio della Messa, e nelle chiese della Riforma, santa Cena. Su questo sacramento tanto si è studiato e scritto, che in queste poche ore non si possono illustrare diffusamente tutti gli aspetti che sono stati messi in luce dalla dogmatica, dall’esegesi, dalla storia dei dogmi e dalla scienza liturgica…ecc.
Nell’anno 2005 abbiamo celebrato l’Anno dell’Eucaristia che è stato indetto dal Servo di Dio Giovanni Paolo II con la lettera apostolica "Mane nobiscum Domine" (7 ottobre 2004). Sono stati organizzati diversi convegni, incontri, iniziative varie… Chiaramente, l’Anno dell’Eucaristia va posto in stretta relazione con l’enciclica di Giovanni Paolo II "Ecclesia de Eucharistia" (13 aprile 2003) che costituisce l’orizzonte ed il quadro di riferimento necessari per comprendere il legame intrinseco che intercorre tra l’Eucaristia e la Chiesa, tra il corpo sacramentale di Cristo e quello mistico che è la Chiesa. Non si può prescindere da un’altra enciclica dello stesso Pontefice: "Dies Domini" (31 maggio 1998) nella quale è stata sottolineata la centralità dell’assemblea eucaristica domenicale per l’esperienza di fede dei cristiani e l’edificazione della comunità ecclesiale.
Parlando dell’Eucaristia, si deve esaminare anche due documenti della CEI: "Comunicare il Vangelo in un modo che cambia" (2001) e "Il volto missionario delle nostre parrocchie in un mondo che cambia" (2004) e anche la lettera del nostro vescovo Salvatore Boccacio: "Nel cuore della Chiesa" (2005).
1. Origine, contenuto fondamentale e linee di sviluppo
Il NT parla diffusamente in cinque luoghi di questo sacramento come di un "testamento" di Gesù Cristo. Si tratta innanzitutto dei quattro racconti dell’istituzione, che provengono da due filoni tradizionali: l’uno formato da Mc 14, 22-25 e Mt 26, 26-29, e l’altro, da Lc 22, 15-20 e Paolo con 1Cor 11, 23-25. Da uno studio attento risulta che il racconto lucano non si limita a copiare e riprodurre la formulazione paolina, ma le due forme si rifanno indipendentemente a una redazione che poté provenire dalla comunità di lingua greca di Antiochia e che fu formulata verso l’anno 40 circa. Ancora più antica fu forse la fonte del racconto di Marco (e di Matteo, che ne dipende), è radicata in un’antica tradizione semitica e risalente al primo decennio dopo la morte di Gesù. In tutti i racconti si riflette già la tradizione liturgica e cioè i testi usati nella liturgia delle comunità.
Come forma originaria sembra di poter riconoscere il testo seguente: «Ed egli prese il pane, pronunciò su di esso la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. E disse: "Questo è il mio corpo, che è dato per i molti. Fate questo in memoria di me!". Ugualmente prese anche il calice dopo la cena, con le parole: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue"» . Un ulteriore chiarimento teologico del mistero eucaristico, in collegamento con le precedenti affermazioni, è dato da Gv 6, 48-59.
Uno dei più significativi studiosi dell’Eucarestia negli ultimi decenni, il professore di dogmatica Johannes Betz, morto nel 1984, sintetizza così il contenuto di queste affermazioni bibliche: «Se consideriamo con uno sguardo d’insieme le notizie bibliche sulla Cena del Signore, emergono più chiaramente le sue linee dominanti e le idee portanti. Ne risulta la seguente sintesi: il NT annuncia quanto più ripetutamente tanto più chiaramente l’identità dei doni eucaristici con la persona reale di Gesù, che per noi e per la nostra salvezza si offre nella cruenta morte espiatrice di croce - e qui si dà in cibo nel sacramento per donarci così la redenzione relizzata morendo. La redenzione è quindi essenzialmente lui stesso, la sua persona incarnata, che si offre in sacrificio di espiazione e in tutto ciò opera per la nostra salvezza. Con la presenza reale di questa persona è perciò strettamente congiunta anche la presenza attuale della sua opera salvifica di un tempo, e l’eucarestia diventa la presenza sacramentale dell’intero evento salvifico "Gesù", nel quale la persona e la sua opera formano un’unità inscindibile. Tutti i testimoni neotestamentari manifestano questa fede».
I concetti ripetutamente usati da J. Betz di presenza reale (personale) e attuale vogliono render chiaro che nella celebrazione dell’eucarestia non si ha solo la presenza di Gesù, ma anche l’opera salvifica da lui realizzata, opera che culmina nella sua offerta sulla croce per noi e per la nostra salvezza. Scrive: «Il dono che Gesù lascia dietro a sé non è solo un’idea da annunciare nella parola e da render manifesta nel sacramento, non solo un qualcosa di esistenziale da realizzare nella sequela credente e moralmente impegnata di Gesù; l’ultimo e più grande dono di Gesù, e quindi l’essenza del cristianesimo, è propriamente lui stesso, Gesù Cristo. Questa persona vuole non solo essere raggiunta nella fede, ma vuole essere ricevuta in tutta la sua realtà». L’ulteriore evoluzione dalla Cena di Gesù alla celebrazione eucaristica della comunità primitiva si è avuta così: dapprima le parole di benedizione sul pane e sul vino furono pronunciate dopo la cena comunitaria, in seguito però furono completamente separate da questa e unite ai servizio di preghiera della domenica mattina. Da uno scritto del martire Giustino risulta che verso la metà del sec. II alla celebrazione eucaristica venne premessa una liturgia della Parola, quale era allora usuale nelle sinagoghe degli ebrei. Le due celebrazioni si fusero in una sola liturgia. Incontriamo per la prima volta il testo completo di un’antica eucarestia cristiana nello scritto Tradizione apostolica del prete romano Ippolito, che deve essere datato verso l’anno 215. Qui, come poi avverrà in seguito, si trovano testi che sono da prendere come modelli e che possono essere variati dal celebrante.
Con l’ulteriore ampliarsi della chiesa si formano numerosi centri liturgici, che elaborano la liturgia e specialmente l’eucarestia ciascuno a modo proprio. Non è possibile qui occuparsi più da vicino delle rispettive particolarità. Qui è il caso solamente di notare un’affermazione dogmatica del Concilio di Trento, in cui si dice che la messa è la ripresentazione (repraesentatio), il memoriale (memoria) e l’applicazione del sacrificio della croce compiuto una sola volta da Cristo (DS 1740). Questo Concilio ha così messo in evidenza anche all’inizio dell’era moderna i concetti fondamentali, che abbiamo incontrato nella ricerca neotestamentaria. Lo stesso Concilio di fronte ai molti e non sempre felici modi di celebrare la messa ordina una riforma del messale romano. Essa entrò in vigore sette anni dopo la fine del concilio, sotto Pio V (1570), e rimase valida per 400 anni circa senza grandi cambiamenti .
Il Vaticano II nel secondo capitolo della sua costituzione liturgica si occupa diffusamente del «santo mistero dell’eucarestia». La sua particolare preoccupazione è «che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, con una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente, siano istruiti nella parola di Dio, si nutrano alla mensa del corpo del Signore, rendano grazie a Dio» (SC 48). A questo scopo il Concilio richiede una rielaborazione del rito della messa in modo «che appaiano più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli. Per questo i riti, conservando fedelmente la loro sostanza, siano resi più semplici; si sopprimano quegli elementi che col passare dei secoli furono duplicati o aggiunti inutilmente; siano invece ristabiliti secondo la primitiva norma dei santi padri quelli elementi che col trascorrere del tempo sono caduti in disuso, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria» (SC 50).
Seguendo queste direttive il "Consilium" romano elaborò dapprima la parte invariabile del messale, l’Ordo Missae, il quale dopo alcuni cambiamenti da parte dell’Autorità superiore fu approvato e posto in vigore il 3 aprile 1969 (Giovedì santo) con la Costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI. Seguì quindi un anno dopo l’edizione dell’intero messale. In testa vi si trovano i "Principi e norme per l’uso del messale romano" (= PNMR) e le norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario. Al contrario di quanto avveniva prima, i PNMR contengono non solo disposizioni rubricali, ma anche spiegazioni riguardanti i contenuti.
Dopo due anni di preparazione poté essere ultimata la traduzione in lingua italiana; essa, approvata secondo le delibere dell’Episcopato italiano, fu confermata dalla Congregazione per il culto divino il 29 novembre 1972. Il nuovo Messale romano fu pubblicato il 19 marzo 1973 e divenne obbligatorio il 10 giugno 1973, solennità di Pentecoste. Il 15 agosto 1983 veniva pubblicata una seconda edizione del Messale Romano (confermata della Congregazione per i sacramenti e il culto divino il 29 giugno 1983). Preparata secondo gli orientamenti dei competenti organismi della santa Sede e sulla base dell’esperienza maturata nei venti anni dalla promulgazione della SC essa conteneva le variazioni e gli arricchimenti della seconda edizione tipica latina del 1975 ed altri testi eucologici facoltativi di nuova composizione, maggiormente rispondenti al linguaggio e alle situazioni pastorali delle comunità italiane. Attualmente è in fase di traduzione la terza edizione del Messale Romano (promulgata il 20 aprile 2000). Per è stato tradotto ed approvato "Ordinamento Generale del Messale Romano" (25 gennaio 2004).
2. Fonte e culmine della vita ecclesiale
La celebrazione eucaristica, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio, è il centro della vita cristiana, fonte e culmine della vita della Chiesa (SC 10), celebrazione memoriale del mistero pasquale (PNMR 1).
Per poter trarre con abbondanza questi frutti di vita cristiana è necessario che chi vi prende parte sia educato ad una partecipazione consapevole, piena, sia interiore che esteriore, sostenuta dalla fede, dalla speranza e dalla carità.
Dobbiamo renderci conto che la partecipazione personale ed attiva all’Eucaristia è esigita dalla natura stessa della celebrazione. Questa partecipazione, inoltre, è un diritto e dovere che nasce dal Battesimo (PNMR 1-3).
Nell’Eucarista è "racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dalla spirito Santo e vivificante dà la vita agli uomini" (EE 1). In essa, la Chiesa "scopre la piena manifestazione dell’immenso amore" del suo Signore (EE 1).
3. I nomi e i doni dell’Eucaristia
Tutto cominciò quel «primo giorno della settimana», «il giorno della risurrezione», quando i discepoli incontrarono il Risorto. Riflettiamo sull’importanza di quel momento:
- Cristo è presente, vivo e reale: «Sono proprio io!» (Lc 24, 39);
- il suo incontro si celebra con i discepoli riuniti in comunità: «Si trovavano i discepoli riuniti.., venne Gesù» (Gv 20, 19); «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso...» (Gv 20, 26);
- «Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture» (Lc 24, 45) e spiegò loro che «sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24, 46);
- mostrò loro le piaghe come ricordo e presenza della croce: morte e risurrezione secondo il mistero pasquale;
- trasmise loro lo Spirito Santo con la missione e il potere di «perdonare i peccati» (Gv 20, 22-23);
- tutto questo avvenne nel contesto di un pasto: i discepoli di Emmaus diranno espressamente che «lo riconobbero nello spezzare il pane» (Lc 24, 35);
- nella dimensione della fede: «Non essere incredulo, ma fedele», dice a Tommaso la domenica successiva;
- e con una missione di testimonianza: «Essi riferirono ciò che era accaduto» (Lc 24, 35);
- «Abbiamo visto il Signore» (Gv 20, 25).
Da allora i cristiani cominciarono a riunirsi «il primo giorno della settimana», che sarà chiamato «dies domenica» o «giorno del Signore».
In quelle riunioni si realizzano sempre gli stessi elementi presenti negli incontri con il Risorto:
- una comunità di fede;
- che si incontra gioiosa con Cristo, presente e vivo;
- ascolta la parola e loda Dio per la fede, con la nuova luce della risurrezione;
- celebra la morte e risurrezione del Signore;
- durante un pasto comunica con il Signore risorto e glorioso riaffermando la comunione con i fratelli e le sorelle;
- riceve la missione di dare testimonianza.
È la celebrazione dell’eucaristia.
Da quelle comunità apostoliche fino ai nostri giorni, la celebrazione eucaristica ha mantenuto sempre questi punti fondamentali. La prima descrizione abbastanza detagliata che abbiamo della Messa (tramandata da Giustino verso la metà del secolo II) parla già di lettura delle «memorie degli apostoli», omelia, preghiera dei fedeli, bacio di pace, offerta del pane e del vino, grande preghiera eucaristica, comunione portata anche agli assenti e raccolta delle elemosine per i fedeli bisognosi.
Naturalmente le varie Chiese diedero origine a diversi formulari. Vennero usati anche nomi differenti: cena del Signore, frazione del pane, eucaristia, sacrificio, assemblea (synaxis), messa (in origine aveva il significato di «commiato»). Ma, dopo venti secoli, possiamo ancora affermare con Paolo: «Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane...» (1Cor 11, 23).
La prima Eucaristia fu celebrata dal Signore nell’ultima cena. Egli la celebrò nel contesto delle feste della Pasqua ebraica, che nel rito della cena commemorava l’opera più importante di Dio a favore del suo popolo: la Pesach, cioè il passaggio del Mar Rosso, che assumeva il significato di passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della Terra promessa.
Gesù inaugura nella sua cena una nuova Pasqua, un nuovo passaggio, il suo: arrivare al Padre attraverso la sua morte e risurrezione. E il grande avvenimento celebrato nell’Eucaristia.
Ora, nella Pasqua ebraica si commemorava anche l’alleanza di Dio con il suo popolo, il patto di perdono e di amore stabilito e rinnovato ogni volta che il popolo lo rompeva con il peccato. L’avvenimento era sigillato con un rito, il sangue di un animale offerto in sacrificio.
Nella cena, e quindi nell’Eucaristia, il Signore stabilisce «un’alleanza nuova ed eterna», sigillata nel suo sangue, «sparso per voi e per tutti per il perdono dei peccati».
E’ il sacrificio della nuova alleanza nella quale Cristo, «sacerdote, vittima e altare» offre il culto perfetto e redentore. Pane e vino separati, corpo spezzato e sangue versato rendono presente la dimensione sacrificale e cultuale dell’Eucaristia.
L’Eucaristia, in forza della sua natura, è una celebrazione della comunità ecclesiale e non solo un semplice e isolato avvenimento. Essa, come abbiamo detto prima, forma il culmine e la fonte di tutta la vita della Chiesa. In essa il Signore si dona alla Chiesa, la quale, in esso e per mezzo di esso, è e diventa pienamente il corpo di Cristo. Nell’Eucaristia la Chiesa riceve ciò che essa è: il corpo di Cristo. S. Leone Magno scrive: "La partecipazione al Corpo e Sangue di Cristo non ha altro effetto che questo: noi veniam cambiati in ciò che mangiamo e portiamo sotto tutti gli aspetti nella nostra anima e nella nostra carne Colui in cui e con cui siamo morti, sepolti e risorti" (Sermo 12 de Passione, in PL 54, 357). L’Eucaristia costituisce la Chiesa e viceversa, ma ciò avviene essenzialmente in e per mezzo di Gesù Cristo.
Si deve ricordare ancora che l’Eucaristia costituisce un dono per eccellenza (EE 11) e "radice di ogni altro dono" in quanto attraverso Eucaristia "Cristo comunica anche il suo Spirito" (EE 17); costituisce il "tesoro inestimabile… sorgente della stessa Grazia" (EE 25). Essa è il "«tesoro» troppo grande e prezioso per rischiare di impoverirlo e di pregiudicarlo" (EE 51).