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Ministri straordinari

Corso per i Ministri Straordinari della Comunione

La liturgia eucaristica: 
- preparazione dei doni 

- preghiera eucaristica

- riti di comunione

- possibilità celebrative


1. La preparazione dei doni

Il rito prevede che a questo punto l’altare venga preparato, portando tutto ciò di cui c’è bisogno per l’azione eucaristica. Questa parte conserva il suo valore e il suo significato. Prima di tutto si prepara l’altare che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il Messale e il calice. Poi, "si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo" (73). "La natura di segno esige che la materia della celebrazione eucaristica si presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli" (OGMR 321). "Il vino per la celebrazione eucaristica deve essere tratto dal frutto della vite (cf. Lc 22, 18), naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee" (OGMR 322).

Per quanto riguarda la l’offertorio (domenicale): "è bene che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote… li riceve in luogo opportuno e adatto e li depone sull’altare… Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori dalla mensa eucaristica" (OGMR 73).

L’assemblea rimane seduta in atteggiamento meditativo e si prepara alla posizione in piedi che, per contrasto, corrisponderà all’azione eucaristica.
Una pausa ben percettibile darà il segno che con l’orazione sulle offerte si conclude "la preparazione dei doni e ci si prepara alla Preghiera eucaristica" (OGMR 77).

2. La Preghiera eucaristica
Costituisce il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione. Si tratta della "preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa Preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio. La preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con riverenza e silenzio" (OGMR 78).

La programmazione celebrativa (e questo riguarda soprattutto il sacerdote che deve presiedere!) prevede anche quale Preghiera eucaristica scegliere. Per questo, occorre ricordare che la preferenza non va fatta in base alla loro lunghezza e durata, ma utile a valorizzare certi tipi di linguaggio, tenendo conto non delle proprie scelte che molte volte sono poi sempre per la stessa Preghiera eucaristica, ma delle esigenze dell’assemblea, le circostanze, gli eventi celebrati. Si deve evitare le abitudini e la scelta più sbrigativa. Molte assemblee sono fossilizzate sulla seconda e terza Preghiera eucaristica: ne esistono molte di più da far conoscere e gustare. Anche molti prefazi, lasciati alla scelta libera, sono finiti nell’oblio. Una seria programmazione della celebrazione comporta anche la scelta del prefazio più appropriato, ben collegato con le letture bibliche e che rinnovi, nell’oggi celebrativo, la lode grata e adorante al Padre che opera in "questo" mondo e in questa "ora".

Dobbiamo ricordare che nella Preghiera eucaristica chi presiede prega a nome di tutta l’assemblea, rivolgendosi a Dio in Cristo. Il testo non va letto in modo livellato, ma deve essere incarnato nel gesto giusto, senza scadere di tono, evitando voci fiacche: deve essere inteso, ascoltato, partecipato dall’assemblea, senza sovrapposizione di suoni o canti.

Quali sono gli elementi principali di cui consta la Preghiera eucaristica? Sono otto (cf. OGMR 79):

a) l’azione di grazie che si esprime particolarmente nel prefazio;

b) l’acclamazione: tutta l’assemblea canta il "Santo"; quest’acclamazione fa parte della Preghiera eucaristica ed è proclamata da tutto il popolo col sacerdote e non solo dal coro;

c) l’epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, "perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione4, giovi per la salvezza di coloro che vi partecipano";

d) il racconto dell’istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, "si compie il sacrificio che Gesù stesso istituì nell’ultima Cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero";

e) l’anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo per mezzo degli Apostoli, "celebra il memoriale di Cristo, commemorando specialmente la sua beata passione, la gloriosa risurrezione e l’ascensione al cielo";

f) l’offerta: nel corso di questo stesso memoriale la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, "offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma imparino anche ad offrire se stessi e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti";

g) le intercessioni: con esse si esprime che l’Eucaristia "viene celebrata in Comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrena, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza ottenuta per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo";

h) la dossologia finale: con essa si esprime "la glorificazione di Dio; viene ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo: «Amen»".

3. Riti di comunione
"Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue del Signore come cibo spirituale. A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla Comunione" (OGMR 80).

L’invito alla preghiera del Signore, il "Padre nostro", la recitazione comune, l’embolismo concluso dal popolo con la dossologia (Tuo è il regno), chiedono il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono anche un riferimento al pane eucaristico e si implora la purificazione dei peccati, così che realmente i santi doni vengano dati ai santi (cf. OGMR 81).

Segue il rito della pace, preghiera e gesto per implorare ed esprimere amore unità e pace, "prima di comunicare al Sacramento" (OGMR 82). Non si tratta di un atto di calorosa affettività, ma di un gesto simbolico che esprime un atteggiamento che deve essere vero interiormente. "Conviene tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio" (OGMR 82).

Il gesto della frazione del pane è quasi occultato in molte celebrazioni: esso significa "che i molti fedeli, nella Comunione dall’unico pane di vita, che è Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo" (OGMR 83). Il sacerdote spezzando il pane mette una parte dell’ostia nel calice, per "significare l’unità del Corpo e del Sangue di Cristo nell’opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù vivente e glorioso" (OGMR 83). Il canto o la recita dell’ "Agnello di Dio" accompagna questo gesto; segue un tempo di preghiera personale del sacerdote celebrante e dei fedeli che sfocia nell’invito "al banchetto di Cristo"; poi, insieme, si esprimono i sentimenti di umiltà e di fede, servendosi delle parole del Vangelo ("O Signore, non sono degno..."). La brevità e la semplicità non esimono dal valorizzarne l’intensità.

Si giunge al momento della comunione: i ministri prima, l’assemblea dopo attraverso i ministri, la cui pluralità è simbolica dei servizi e ministeri nella Chiesa radunata e significata dall’Eucaristia, ma anche pratica, per non caricare di un tempo più lungo il rito, perché non porti squilibrio a tutta la celebrazione che spesso patisce, a questo punto, un calo di tensione.

Il movimento della processione di comunione va predisposto, di volta in volta, secondo il numero dei partecipanti, perché avvenga senza intoppi, evitando la calca e la confusione, facendolo svolgere con sobria speditezza, utilizzando coloro che ordinano i movimenti processionali dei fedeli (servizio!).

"Si desidera vivamente che i fedeli, come anche il sacerdote è tenuto a fare, ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa e, nei casi previsti, facciano la comunione al calice, perché, anche per mezzo dei segni, la comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto" (OGMR 85).

Anche per questo rito è opportuno programmare una didascalia che indichi le modalità per partecipare alla processione di comunione, orienti verso i luoghi di distribuzione, suggerisca sia gli atteggiamenti comuni relativi al canto sia quelli interiori per condividere il rito di comunione.

4. Possibilità celebrative
La preparazione dell’altare e l’offerta dei doni sono gesti che spettano ai vari ministri e ministranti, e non tanto al presidente che partecipa al rito stando seduto. Per ministri s’intendono il diacono e gli accoliti istituiti, così com’è previsto per la celebrazione "tipica" della Messa.

In loro mancanza e in celebrazioni con connotati più familiari e fraterni quali quelle parrocchiali, possono intervenire ministranti preparati e capaci o membri dell’assemblea, incaricati del servizio.

La processione offertoriale prevede che si porti il vino: il calice, quindi, va collocato sulla mensa con tutti gli altri oggetti e non presentato come offerta. Accanto al pane e al vino vi possono essere altri doni: siano anch’essi reali e autentici, non si cerchi la teatralità assurda come il "portare la vita di tutti i giorni nel culto". Non si porta mai il libro delle Sacre Scritture!

E’ detto che "il sacerdote si lava le mani" e non che s’inumidisce le dita: sia un gesto discreto, ma con eloquenza significativa per tutti. Chiunque dei presenti può compiere questo servizio, recandosi al cospetto del sacerdote celebrante con la brocca dell’acqua, il vassoio per raccoglierla e un asciugamano e poi riporre il tutto sulla credenza. Si evita così il miope ritualismo che fa trovare il recipiente dell’acqua e il manutergio già sull’altare e lì vi restano per tutto il tempo della celebrazione.

Le azioni contenute all’interno della Preghiera eucaristica, parole, silenzio, canto, gesti richiedono modalità diverse di comunicazione. Nel suo corso è richiesto il salutare, il proclamare, l’acclamare, l’invocare, l’evocare, il raccontare, il supplicare: non sono e non significano tutti la medesima cosa, per cui respingono una mortificante pianificazione e una recita anonima. La Preghiera eucaristica richiede, come esigenza meditativa propria, un’interiorizzazione che viene facilitata dal silenzio, dalla calma dei gesti, da qualche stacco distensivo e intelligente.

Dopo la consacrazione è prevista l’acclamazione: "Annunciamo la tua morte" e al termine di tutta la Preghiera eucaristica troviamo la dossologia finale con il suo "Amen" corale. Sono tipiche azioni che richiedono il canto celebrativo, ma spesso questo è dirottato ad altri momenti in cui non è richiesto.

Anche i quattro momenti dei riti di comunione: la preghiera del Signore, il gesto di pace, la frazione del pane, la comunione, sono ricchi di significati ed è irresponsabile farne una semplice esecuzione materiale, caratterizzata da piattezza abitudinaria.

Il rito della pace sollecita una ripetuta catechesi sul suo significato vero, perché non diventi falso, sia autentico, si esprima con una forte carica umana e senza timore per l’estemporaneo disordine che può creare all’interno dell’assemblea. Non è previsto il canto della pace che si è introdotto in modo discutibile, generalizzato e con testi di eccessivo "buonismo". Questa prassi del canto di pace durante il gesto della pace, omettendo l’Agnello di Dio, non è liturgicamente corretta, perché si abolisce ciò che deve essere cantato da tutta l’assemblea.

La libertà di ricevere la comunione in bocca o nella mano non può scontrarsi con imposizioni che limitino queste possibilità: anche su questo gesto è bene, periodicamente, offrire motivazioni educative e indicative del significato (senza fare il segno della croce prima e dopo la comunione!).

Tutti i partecipanti al rito devono avere la possibilità di accedere, in quel momento, al banchetto eucaristico. Anche coloro che svolgono il servizio del canto devono prevedere di compiere la comunione a questo punto.

Preparare la celebrazione della Messa è un servizio che si radica in varie diramazioni: nei rapporti fra le persone; nel senso di appartenenza a una comunità; nella partecipazione o nella sensibilità all’attività e alla problematica pastorale della Chiesa; nella conoscenza anche minima del significato fondamentale dei gesti sacramentali.

Il culto cristiano, bisogna sempre ricordarlo, si situa nella dimensione del segno sacramentale, che rimanda sempre ad un’altra realtà e che si attua nei rapporti interpersonali, nei valori di vita che vengono perseguiti, nella feriale quotidianità dell’esistenza.

La liturgia ce lo ricorda sempre: esprime una realtà che precede e alimenta anche ciò che segue. Pertanto, se è importante che il rito sia espressivo di ciò che sta a monte, è altrettanto importante che esso sia segno profetico del progetto futuro. E con questa intenzione che il rito deve essere preparato. Non si tratta semplicemente di fare una "bella cerimonia", ma di esprimere un messaggio e una realtà in via di costruzione. Anche la celebrazione, come ogni altra attività artistico-espressiva che pretenda di comunicare qualcosa, deve essere studiata e preparata. "La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia di comune intesa fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della chiesa e sentito anche il parere dei fedeli per quelle cose che li riguardano direttamente. Al sacerdote che presiede la celebrazione spetta però sempre il diritto di disporre ciò che a lui compete" (OGMR 111).

Tra le cose da preparare ci sono anche i canti. Quali canti scegliere per la liturgia? Certamente quelli con testi e musica adatti all’evento celebrato, al tipo di assemblea. al momento celebrativo. Non tutti i canti, anche se belli, possono essere adatti per la liturgia: andranno bene per la catechesi, per giornate di spiritualità, per incontri di preghiera, ma non per la celebrazione dei riti. La liturgia richiede canti che abbiano senso comunitario, contenuto biblico e servano da segni validi per esprimere l’azione liturgica.
Nemmeno si devono fare programmi dove si deve cantare sempre e cantare tutto. E necessario distribuire i canti secondo i diversi partecipanti e le possibilità di ciascuno, con un occhio attento e preferenziale per l’assemblea che non possiede sempre bene la capacità di interpretare certe composizioni.

I gruppi giovanili accompagnano volentieri il canto con strumenti di vario genere: flauti, chitarre, batterie. Non vanno esclusi a priori, "purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica" (SC 116).

Anche il canto gregoriano e la polifonia occupano un posto degno nella liturgia, se si superano le innegabili difficoltà pratiche e le esigenze di troppa specializzazione. Soprattutto il canto gregoriano, con la sua lunga tradizione, va conservato come vuole la Chiesa, se questo è possibile e se il popolo cristiano, comprese le giovani generazioni, può essere avviato a conoscere un repertorio minimo. In ogni caso non corrisponde allo spirito della celebrazione riformata dal Concilio, l’assolutizzazione e l’esclusivismo nell’uso di questi canti, anche perché si andrebbe a soppiantare la lingua liturgica che oggi è quella parlata.

Se manca il coro, il cantore, l’organista, non si può far uso di dischi, cassette, animatori liturgici elettronici: il loro impiego è una prassi sbagliata, inopportuna, sconsigliata, perché nella celebrazione liturgica è richiesta la partecipazione attiva e quindi diretta e non artificiale dei suoi protagonisti.

La liturgia non ha bisogno di spettacolo: la vera solennità è data da una assemblea "che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede" (MS, 5).

Anche la Liturgia della Parola richiede una sua preparazione: leggere prima i testi da proclamare, sempre a voce alta, per renderli familiari. Poi si cerca di capire bene quello che si è letto, perché non si può comunicare in maniera comprensibile ciò che non si è capito. La preparazione deve basarsi su di una proclamazione delle letture ben articolata, osservando la punteggiatura, controllando il ritmo, le pause, il volume della voce, il tono delle emissione sonore, la melodia delle frasi, la riduzione delle cadenze, il superamento delle inflessioni dialettali. La parola proclamata richiede una dizione tipica ed espressiva: è una parola a volte dolce, a volte sferzante, a volte poetica, ma sempre divina. Non può essere preparata e quindi letta in modo freddo, né tanto meno in modo teatrale: si tratta di proclamazione e non di recitazione e neppure di declamazione o di semplice lettura di un testo qualunque.

La proclamazione delle letture sollecita una lettura diversificata, per cui nel prepararsi si richiede quel lieve e diverso modo di leggere a seconda che si tratti di orazioni, di invocazioni, di salmi, di sequenze. Prima che inizi la celebrazione, il lettore si assicuri che il Lezionario sia aperto alla pagina giusta, che il testo sia all’altezza necessaria per leggere bene, che su di esso cada una buona illuminazione.
Si prenda cura del microfono, regolandolo sulla propria statura, portandolo al livello della bocca e verificando che funzioni, evitando i dannosi e fastidiosi soffi nel microfono.
Le norme liturgiche prescrivono che al termine delle prime due letture, si dica: "Parola di Dio" e nel farlo si metterà in atto uno stacco, cambiando tono e mettendo in evidenza le parole, per suscitare la risposta dell’assemblea.

E’ invalso l’uso di dire, invece della formula prescritta, la variante: "E’ parola di Dio", attribuendo alla lettura un’ampiezza maggiore di quella che svolge. E’ bene stare alle indicazioni, senza sostituirle con altre dettate da presunzione, impiegando invece la formula rituale di quest’esclamazione, riportata dai libri liturgici.

 

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