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Ministri straordinari

 

Corso d’Aggiornamento per i Ministri Straordinari della Comunione (2007)

 

(tenuto da don Pietro Jura)

Il Congedo liturgico e la sua teologia
- Ite, missa est: l’Eucaristia come impegno per la missione
- Questionario di riflessione sul Congedo Liturgico. Per lo studio personale e per il lavoro di gruppo

 

«Coloro poi che sono nell’abbondanza, e vogliono [dare], danno a discrezione quello che ognuno vuole, e quanto è raccolto viene depositato presso colui che presiede; ed egli stesso presta soccorso agli orfani e alle vedove, e a coloro che sono trascurati per malattia o per altra causa, e a quelli che sono in carcere, e a coloro che soggiornano come stranieri: in poche parole, [egli] si fa provveditore per tutti quelli che sono nella necessità » (Giustino)

 


1. «Ite, missa est!»: l’Eucaristia come impegno per la missione

Nella tradizione romana la Messa si chiudeva sempre con parole che tutti sapevano a memoria: "Ite, missa est". Si tratta di una formula problematica, sulla quale si sono arrovellati lungo i secoli gli interpreti. In questa sede ci appoggeremo sulla spiegazione più spirituale, ripetutamente proposta e per noi più stimolante, quella che intende l’enigmatico termine Missa alla luce di dimissio o missio, nel senso cioè di invio in missione. Questa scelta, - a prescindere dall’attendibilità o meno del nesso etimologico - ci permetterà di trarre una conclusione teologicamente certa. Dunque il presbitero presidente, al momento di sciogliere l’assemblea, non si limiterebbe a un saluto gentile, ma rivolgerebbe un invito impegnativo che suona così: "Andate e realizzate la missione alla quale siete inviati!". I testi biblici gli danno ragione.

E’ noto che il quarto evangelista si è dispensato dal narrarci l’istituzione dell’Eucaristia. Tuttavia Giovanni nel capitolo 6 del suo vangelo ci ha lasciato preziosi spunti di meditazione sul pane di vita. Inoltre con il racconto della lavanda dei piedi (Gv 13, 1-15) ci invita a prolungare nel nostro quotidiano gli impegni derivanti dalla fede eucaristica. Dal racconto di Giustino poi sappiamo che, nella primitiva comunità cristiana, la celebrazione eucaristica si traduceva in premuroso «soccorso agli orfani e alle vedove, e a coloro che sono trascurati per malattia o per altra causa, e a quelli che sono in carcere, e a coloro che soggiornano come stranieri: in poche parole, a lutti quelli che sono nella necessità».

Sotto il profilo dell’impegno etico è esemplare l’anafora alessandrina di san Basilio che, nell’intercessione per la Chiesa nel mondo, chiede a Dio di darci tutto il necessario perché lo possiamo condividere con gli altri. Leggiamo: "Ricordati, Signore, anche della salvezza di questa nostra città, e di coloro che nella fede di Dio abitano in essa. Ricordati, Signore, del clima e dei frutti della terra. Ricordati, Signore, delle piogge e delle sementi della terra. Ricordati, Signore, della crescita misurata delle acque dei fiumi. Rallegra ancora e rinnova la faccia della terra: inebria i suoi solchi, moltiplica i suoi germogli; rendicela quale deve essere per il seme e per la messe... Governa la nostra vita: benedici il ciclo dell’anno della tua benevolenza, a causa dei poveri del tuo popolo, a causa della vedova e dell’orfano, a causa del forestiero di passaggio e del forestiero residente, a causa di noi tutti che speriamo in te e invochiamo il tuo santo Nome: poiché gli occhi di tutti in te sperano, e tu dai loro il nutrimento al tempo doto... Riempi di gioia e di letizia i nostri cuori perchè avendo sempre e dovunque tutto il necessario, abbondiamo in ogni opera buona, per fare la tua santa volontà".

Alcune di queste suppliche possono sembrare poco familiari alle società del benessere, che fortunatamente non sanno più che cosa sia la precarietà dell’esistenza legata ai cataclismi stagionali e alle conseguenti carestie. Tuttavia, se proviamo a uscire dai nostri egocentrismi, ci accorgiamo che una parte consistente dell’umanità del terzo millennio, quella cui è toccato nascere in paesi eternamente provati, non ha difficoltà ad associarsi ai fedeli della Chiesa di Alessandria che in ogni Eucaristia ripetevano: «Ricordati di quanti fra noi soffrono la fame!». Che dire poi della richiesta a Dio di ricordarsi della «crescita misurata delle acque dei fiumi»? Questa supplica non sembra forse scritta per noi che, grazie a uno sfruttamento inconsulto del territorio, ad ogni scroscio di pioggia rischiamo le inondazioni?

Ma il tenore di questa richiesta è significativo soprattutto perché essa non è finalizzata tanto a soddisfare i bisogni materiali di chi prega, ma piuttosto ad assicurare sostentamento ai poveri, agli orfani e alle vedove, ai forestieri residenti, nonché ai forestieri di passaggio. Insomma, si chiede a Dio di fare la sua parte, di benedire cioè i raccolti, affinché chi non è costretto dalla necessità possa impegnarsi in favore di chi ogni giorno vive la necessità.

Sarebbe interessante provare ad aggiornare il testo di questa intercessione per la Chiesa nel mondo, sostituendo alcune categorie allora in difficoltà - ma che oggi sono tutelate dalle leggi civili - con i gruppi che la società del benessere, della frenetica ricerca della vita vissuta al livello più intenso, continua ad escludere, ad emarginare.

In ogni caso dobbiamo riconoscere che la sensibilità documentata da queste formulazioni rimane per noi viva, fresca e toccante.

Da queste richieste sgorga inequivocabile la riflessione circa l’impegno etico. Infatti domandare a Dio di benedire i nostri raccolti e di riempire i nostri granai significa risolverci a un impegno fattivo in favore di quanti, privi di sostegno, tutto attendono dalla benevolenza del Signore e dalla generosità di noi che attendiamo al raccolto.

Le intercessioni della preghiera eucaristica di s. Basilio ci invitano quindi a riflettere sul rapporto che intercorre tra liturgia e impegno etico, ovvero tra preghiera e azione. Si tratta di due modi complementari e strettamente interdipendenti di vivere la fede: senza liturgia è difficile che si dia vero impegno etico; senza impegno etico è impossibile che vi sia vera liturgia.

Se ciò vale per ogni momento liturgico, vale a maggior ragione per l’Eucaristia, che la tradizione delle Chiese bizantine chiama «la Divina Liturgia». Infatti la trasformazione «in un solo corpo», che l’epiclesi richiede e le intercessioni prolungano e allargano, è verticale e orizzontale a un tempo. La dimensione verticale, ossia la nostra tensione e attenzione a Dio, trova la sua naturale verifica nella dimensione orizzontale, ossia nella nostra tensione e attenzione a coloro cui dobbiamo farci prossimi.

Entrando in chiesa, noi portiamo tutto il vissuto di gioia e d’angoscia del mondo, per viverlo al massimo grado in quella particolare relazione a Dio e agli altri che è la celebrazione eucaristica. Uscendo di chiesa poi, noi portiamo nella quotidianità tutti gli impegni assunti e riassunti al ritmo delle nostre Eucaristie. Se, entrando in chiesa, non portiamo con noi le preoccupazioni nostre e del mondo, è inutile che vi entriamo. Parimenti se, uscendo di chiesa, non portiamo con noi precisi impegni di vita personale, familiare, professionale, civile ed ecclesiale, era inutile che vi entrassimo, giacché un’Eucaristia senza la volontà di assumere impegni etici
soprattutto in riferimento al prossimo - è, per chi vi partecipa, un’Eucaristia nulla. Senza impegni fattivi, il culto resta un diversivo comodo, un culto vuoto, una parvenza di culto.

Troviamo rassicurante attendere da Dio interventi straordinari, ma ci sbagliamo. Dio non ci vuole spettatori, sia pure ammirati, del suo agire. Egli ci ha dato occhi per vedere, orecchi per sentire, mani per operare. I nostri occhi devono essere quelli con cui Dio vede le necessità, i nostri orecchi quelli con cui Dio ascolta i lamenti, le nostre mani quelle di cui Dio si serve per venire in soccorso. Per questo nelle nostre Eucaristie domandiamo il suo aiuto, per avere di che dare, ma anche e soprattutto per ottenere da lui l’attenzione e la sensibilità indispensabili per rimetterci ogni giorno all’opera.

Un pressante invito a stabilire intensi rapporti tra la lex orandi eucaristica e la conseguente lex agendi, ovvero tra culto e vita, ci è rivolto pure da Nicola Cabàsilas, teologo bizantino del XIV secolo. Nel suo trattato sulla mistica sacramentale così egli scrive: «Se contempliamo davvero queste cose e se questi pensieri regnano nella nostra mente, anzitutto non si farà strada in noi nulla di ciò che è male... Non apriremo la bocca a una lingua malevola, se avremo in mente la mensa eucaristica e la qualità del sangue che ha imporporato questa nostra lingua. In qual modo useremo gli occhi per fissare ciò che non si deve, allorché hanno goduto di così tremendi misteri? Non muoveremo i piedi, né tenderemo le mani a ciò che è male, se avremo operante nell’anima questa considerazione, che cioè queste nostre membra sono membra di Cristo, sono sacre e, quali una fiala, contengono il suo sangue».


2. Questionario di riflessione sul Congedo Liturgico. Per lo studio personale e per il lavoro di gruppo


1. Molti accusano i cristiani di confinare la loro religiosità nella preghiera, avallando così una frattura comoda tra liturgia e vita. L’esame dei formulari anaforici mostra invece che dimensione verticale e dimensione orizzontale si compenetrano, al punto che non si dà l’una senza l’altra, cioè non si dà l’osservanza dei comandamenti che riguardano Dio senza l’osservanza previa dei comandamenti che riguardano il prossimo, e viceversa. Il magistero della lex orandi ci fa comprendere che la preghiera eucaristica, aprendoci su Dio e sull’uomo, crea una forte tensione verticale, che non sarebbe autentica se sfuggisse alla verifica del quotidiano. Che cosa pensi in proposito?


2. Quali sono, nel concreto della tua esistenza, i pericoli di ridurre la liturgia a un diversivo comodo e rassicurante?

3. Così prega l’anafora di san Basilio: «... benedici il ciclo dell’anno della tua benevolenza perché, avendo sempre e dovunque tutto il necessario, abbondiamo in ogni opera buona...», Quali sono le implicazioni etiche che emergono da questa domanda?


4.. Così scrive Nicola Cabàsilas: «Se l’amore folle di Dio diventerà davvero l’oggetto privilegiato della contemplazione, non apriremo la bocca a una lingua maldicente..., non useremo gli occhi per fissare ciò che non si deve..., non muoveremo i piedi, né tenderemo le mani a ciò che è male…». Che cosa suggeriscono in concreto queste considerazioni dettate dalla mistica dei sacramenti?


5. Entrando in chiesa, noi portiamo tutto il vissuto di gioia e di angoscia del mondo. Uscendo di chiesa poi, noi portiamo nella quotidianità tutti gli impegni assunti e riassunti al ritmo delle nostre Eucaristie. Se, entrando in chiesa, non portiamo con noi le preoccupazioni nostre e del mondo, è inutile che vi entriamo. Parimenti se, uscendo di chiesa, non portiamo con noi precisi impegni, era inutile che vi entrassimo, giacché un’Eucaristia senza la volontà di assumere precisi impegni di etica personale, familiare, professionale, ecclesiale e sociale è, per chi vi partecipa, un’Eucaristia nulla. Come reagisci dinanzi a queste affermazioni?


6. Aiutandoci con il racconto di Giustino, che colloca la descrizione dell’impegno caritativo a conclusione della liturgia eucaristica, come potremmo arricchire la comprensione di quanto - sotto il profilo della solidarietà cristiana - nel rito romano ci è dato di fare al momento della preparazione dei doni?

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