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Ministri straordinari

eucarestia-2.jpgSpunti in margine all’Esortazione apostolica

"Sacramentum caritatis" di Benedetto XVI

(Incontro per i Ministri Straordinari della Comunione,
tenuto da don Pietro Jura; 11 gennaio 2008)

L’Esortazione apostolica postsinodale "Sacramentum caritatis", firmata da Benedetto XVI il 22 febbraio 2007, è un documento molto serio che deve essere approfondito e capito.

Sin dal titolo, Sacramentum caritatis - espressione con cui san Tommaso d’Aquino definisce l’Eucaristia -, è evidente l’intenzione di Benedetto XVI di porre questo altro suo testo in naturale continuità con la sua prima Enciclica "Deus caritas est", come a ribadire che la chiave ultima di interpretazione del suo magistero è l’amore di Dio per l’uomo. «La Santissima Eucaristia - egli afferma all’inizio dell’Esortazione - è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo» (n. 1).

E come la prima Enciclica anche questa prima Esortazione apostolica ha avuto un’ampia eco tra i credenti e non. Non poteva essere altrimenti, visto che praticamente il Papa rilegge la vita alla luce del sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo. Dalla famiglia alla politica, dalla salvaguardia del creato alla pace, dalla solidarietà con i più poveri al senso della festa e del riposo, senza dimenticare, naturalmente, aspetti come il celibato sacerdotale, l’ars celebrandi e la Messa in latino o il tema della pastorale dei divorziati risposati, su ognuno di questi temi la parola di Benedetto XVI giunge puntuale, motivata, ma nello stesso tempo ferma e decisa.

Sono convinto che una lettura attenta e meditata di un documento così importante non potrà non portare a quello «stupore» verso il mistero dell’Eucaristia tanto invocato da Benedetto XVI, in modo tale da crescere nella spiritualità eucaristica, che nelle sue molteplici espressioni rende feconda e sostiene la testimonianza di tutti i credenti.

Commento alla Prima Parte dell'Esortazione

La prima parte dell’Esortazione apostolica postsinodale (intitolata «Eucaristia, mistero da credere», nn. 6-33) ha una duplice intenzionalità: dottrinale e pastorale.

Sotto il primo profilo, riprendendo a circa quattro anni di distanza le grandi linee dell’Enciclica sull’Eucaristia di Giovanni Paolo II, «Ecclesia de Eucharistia», il documento puntualizza nelle linee essenziali il «mistero della fede» che sta al centro del cristianesimo sin dalle origini, allorché i seguaci di Gesù si distinguevano da ogni altra comunità religiosa (e dalla stessa tradizione ebraica dalla quale pure discendevano) proprio per la celebrazione della domenica come «giorno eucaristico» di festa e di gioia, nella permanente memoria di Cristo Signore.

Dal secondo punto di vista, quello pastorale, l’Esortazione postsinodale ripensa e ripropone in questa prima sua parte tutti i sacramenti alla luce dell’Eucaristia, mostrando l’intima e stretta loro connessione attraverso il comune riferimento alla stessa Eucaristia e sviluppa in modo particolare la relazione tra questa e la famiglia.

Sarà soprattutto sulle implicazioni pastorali dell’Esortazione apostolica che si richiamerà qui l’attenzione, assumendo come fondamentale punto di riferimento ciò che il documento espone in ordine alla famiglia e al suo vitale rapporto con il Cristo eucaristico; non senza avere tuttavia analizzato alcuni aspetti generali di questa prima parte del documento, per meglio comprendere il contesto all’interno del quale si situa la riflessione del Pontefice.

1. Eucaristia e vita cristiana


Il richiamo alla centralità dell’Eucaristia nella vita del cristiano è il filo conduttore dei paragrafi nei quali, a partire dal richiamo alla fede eucaristica delle prime comunità cristiane, viene riproposta la tradizionale dottrina (nn. 6-15). Un particolare rilievo assume qui la sottolineatura (in verità un poco trascurata nella predicazione ordinaria) della dimensione trinitaria dell’Eucaristia. E’ infatti Dio nella sua pienezza, e dunque nella sua espressione trinitaria, che si fa compagno di strada degli uomini attraverso il dono di Cristo offerto nella cena pasquale. In questo senso, sottolinea Benedetto XVI, «il "mistero della fede" è mistero di amore trinitario, al quale siamo per grazia chiamati a partecipare» (n. 8). Il supremo dono dell’amore di Cristo per gli uomini esprime e rende manifesto l’amore per l’umanità del Dio-Trinità che nel Corpo e nel Sangue di Cristo si fa presente alla storia degli uomini.
Cristo, l’agnello di Dio immolato, è il tramite attraverso il quale il Dio trinitario assume su di sé, e dunque «toglie» e cancella - una volta per sempre e nello stesso tempo ogni volta che la comunità cristiana celebra l’Eucaristia - i peccati del mondo. Questa permanente e definitiva liberazione dell’umanità dal peccato è quanto la celebrazione eucaristica ricorda e attualizza, come perenne e sempre riproponentesi «novità» (n. 9).
Nasce di qui la valenza ecclesiologica dell’Eucaristia, il suo essere per la Chiesa. Nel mistero eucaristico è insito un interiore dinamismo tra «sfida» e «risposta»: alla permanente infedeltà dell’umanità, che con il peccato si allontana dal progetto di Dio, fa da costante contrappunto l’immutabile fedeltà di Dio, che in Cristo assume la sua forma storica. Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia, «il Signore esprime, per così dire, l’attesa che la Chiesa, nata dal suo sacrificio, accolga questo dono»: un dono perfetto, che non è una semplice ripetizione di quanto avvenuto una volta, in un tempo lontano, con l’istituzione dell’Eucaristia ma è, sempre, una «novità radicale». Ogni celebrazione eucaristica è così un appello di Gesù morto e risorto affinché i cristiani diventino capaci di «entrare nella sua "ora"» (n. 11). In questo senso si può affermare, in linea con l’intenzionalità profonda dell’Esortazione apostolica, che la celebrazione eucaristica è per eccellenza l’ora di Dio, il momento nel quale la presenza del Signore, e il suo appello di salvezza rivolto a tutti gli uomini, si manifestano in forma eminente e privilegiata.
L’Eucaristia introduce così nella storia del mondo un «cambiamento radicale», destinato a «suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero» (n. 11). Emerge qui un tema assai caro alla teologia contemporanea, e che la riflessione sull’Eucaristia è andata, seppur tardivamente (riappropriandosi tuttavia di una prospettiva significativa nella tradizione patristica dell’Oriente cristiano) riscoprendo, quello cioè della dimensione cosmica e non semplicemente personale e comunitaria del mistero eucaristico: il Corpo e il Sangue del Signore non solo costruiscono la Chiesa e cambiano le coscienze, ma trasformano il mondo, anticipando quel «mondo trasfigurato» nel quale «Dio sarà tutto in tutti», secondo la misteriosa ma nello stesso tempo entusiasmante riflessione di san Paolo (cf. 1Cor 15, 28, passo citato appunto a conclusione del n. 11 dell’Esortazione).
L’approfondimento di questo aspetto dell’Eucaristia, talora lasciato un poco in ombra nella pastorale ordinaria, potrà essere uno degli aspetti della Sacramentum caritatis sui quali la teologia è sollecitata a riflettere, anche perché in piena consonanza con la percezione, oggi più diffusa che in passato, della stretta correlazione esistente fra il destino dell’uomo e le sorti del mondo, alla luce di quella segreta fratellanza fra l’uomo e la natura che la cultura contemporanea ha riscoperto, all’indomani di una lunga stagione segnata da una cultura scientifica, quella della modernità, troppo spesso incline a una visione puramente razionale, e a un tempo strumentale, della relazione fra l’uomo e la natura.

2. Eucaristia e Chiesa


Riproponendo e sviluppando la connessione fra Chiesa ed Eucaristia già presente nella Ecclesia de Eucharistia, la Sacramentum caritatis ribadisce la «circolarità» intercorrente fra Chiesa ed Eucaristia: la Chiesa fa l’Eucaristia e nello stesso tempo l’Eucaristia fa la Chiesa (al cui interno soltanto la stessa Eucaristia può essere celebrata: cf. n. 14). In tal modo il mistero eucaristico è elemento costitutivo «dell’essere e dell’agire della Chiesa» (n. 14).
Di questo rapporto l’Esortazione postsinodale sviluppa in particolare la dimensione «unitiva»: il senso profondo del sacramento (quella che nel documento viene chiamata la sua res) è costituito dalla «unità dei fedeli nella comunione ecclesiale». Anche per questo le divisioni esistenti fra i cristiani (divisioni sulle quali il documento richiamerà anche successivamente l’attenzione) appaiono particolarmente drammatiche nel momento in cui toccano quello che dovrebbe essere per eccellenza il sacramento dell’unità. In vista della ricomposizione di questa frantumata unità, celebrare l’Eucaristia nella molteplicità e nella varietà delle Chiese particolari che costituiscono l’unica Chiesa cattolica - e insieme sottolineare la radice eucaristica di ogni autentica comunione ecclesiale - può «contribuire efficacemente anche al dialogo ecumenico» (n. 15). Attraverso l’unica Eucaristia nella quale tutte le Chiese cristiane, seppur talora con modalità diverse, si riconoscono, viene a stabilirsi, al di là dei confini confessionali, un «forte legame» (n. 15) fra le diverse Chiese cristiane, auspicabile preludio a una più piena comunione fra di esse.

3. Eucaristia e Sacramenti

Un’ampia e densa sezione dell’Esortazione apostolica (nn. 16-29) è dedicata al rapporto fra l’Eucaristia e sacramenti. Importanti le riflessioni e gli orientamenti pastorali qui proposti; fra essi saranno in particolare riprese e sviluppate le indicazioni concernenti la famiglia, in relazione soprattutto al significato del matrimonio e al ruolo della famiglia nell’iniziazione cristiana. Non possono tuttavia essere lasciate passare sotto silenzio le notazioni della Sacramentum caritatis in ordine alla precisa intenzionalità unificatrice che soggiace al mistero eucaristico. Nella catechesi ordinaria, infatti, troppo spesso i «sette sacramenti» vengono considerati separatamente e l’Eucaristia appare quasi soltanto uno di essi, seppure il più importante. L’Esortazione apostolica, al contrario, recupera e ripropone in prospettiva eucaristica la profonda unità del tradizionale «settenario», riprendendo per questa via la lezione del Concilio Vaticano II, qui a più riprese richiamato. Tale profonda unità fra i sacramenti ha rischiato talora di andare smarrita, all’interno di una visione particolaristica (e, a livello teologico, forse eccessivamente specialistica) dei singoli sacramenti.
Assai opportunamente, dunque, l’Esortazione postsinodale ripropone la centralità dell’Eucaristia e ad essa riconduce tutti gli altri sacramenti, a partire dalla visione della Chiesa - sacramento tipico del Vaticano II; e poiché la Chiesa nasce dall’Eucaristia e in essa e per essa vive, è questo il centro ideale verso il quale i singoli sacramenti convergono. La Chiesa come «sacramento della comunione trinitaria» (n. 16) celebra nell’Eucaristia questa comunione per poi rinnovarla, in forme particolari, in tutti gli altri sacramenti. La distinzione che nel corso della storia della Chiesa è stata operata fra i diversi sacramenti non dovrebbe fare dimenticare mai la loro intima e profonda unità alla quale l’Esortazione apostolica opportunamente richiama - di cui l’Eucaristia è insieme fondamento e suggello.

4. Eucaristia e famiglia


La vasta sezione del documento su «Eucaristia e sacramenti» si presta a una serie di approfondimenti, data la ricchezza dei contenuti proposti. Qui se ne vorrebbe proporre una lettura in senso lato «familiare», cercando cioè di cogliere le implicazioni del discorso per la famiglia: in primo luogo come importante soggetto dell’iniziazione cristiana (nn. 17-19); quindi nella sua relazione con l’ordine sacro, con particolare riferimento alle vocazioni ecclesiastiche (n. 25); ancora, in relazione al senso e al valore del matrimonio (nn. 27-28); infine in ordine alla questione dell’ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati (n. 29). Questa «lettura familiare» della Sacramentum caritatis può apparire parziale e riduttiva; e in effetti meriterebbero di essere approfondite anche le importanti notazioni sul sacramento della riconciliazione (in particolare riguardo alla progressiva perdita del senso del peccato denunziata al n. 20), così come le indicazioni circa una corretta ed evangelizzante celebrazione della liturgia, con il pieno recupero della centralità del Cristo eucaristico ed «evitando tutto ciò che possa dare la sensazione di un… inopportuno protagonismo» del sacerdote che presiede l’azione liturgica (n. 23). Né dovrebbero essere passate sotto silenzio le pagine sulla dimensione escatologica dell’Eucaristia (nn. 30-31) o il suggestivo riferimento finale della prima parte alla Vergine Maria, come colei che «icona della Chiesa madre, è il modello di come ciascuno di noi è chiamato ad accogliere il dono che Gesù fa di se stesso nell’Eucaristia» (n. 33). Tuttavia l’essenzialità di un breve commento e nello stesso tempo i limiti delle competenze del suo estensore esigevano una precisa scelta di campo. Ci si è dunque orientati a mettere in luce soprattutto le parti facenti specifico riferimento alla famiglia. Su altri aspetti di questo importante documento la riflessione teologica dovrà tornare nel momento in cui si tenterà di compiere un’approfondita lettura di insieme dell’Esortazione apostolica.

5. Eucaristia e Iniziazione cristiana

L’attenzione alle problematiche familiari comincia a emergere dai numeri (17-19) nei quali si affronta il problema dell’iniziazione cristiana e dei suoi percorsi: qui si profila subito il ruolo della famiglia come attore di primo piano, nella comunità cristiana, dell’inserimento delle nuove generazioni nella pienezza della vita nuova in Cristo.
In via preliminare il documento pone la questione (che fu oggetto di numerosi interventi dei Padri sinodali) di un’adeguata fondazione dell’attuale prassi delle Chiese di Occidente nelle quali (con un sensibile discostamento dalla prassi della Chiesa antica, alla quale rimane invece fedele l’Oriente cristiano) i tre sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia non vengono più amministrati contemporaneamente, bensì in tempi diversi, e cioè, come noto, subito dopo la nascita per il Battesimo, agli inizi dell’età scolare per l’Eucaristia, negli anni dell’adolescenza per la Confermazione. Pur se giustificato per ragioni pedagogiche, questo cammino a tappe può tuttavia far perdere di vista «lo stretto legame fra Battesimo, Confermazione ed Eucaristia» (n. 17). Di qui l’invito dell’Esortazione apostolica a favorire nella prassi pastorale «una comprensione più unitaria del percorso dell’iniziazione cristiana», che l’Eucaristia «porta a pienezza» (n. 17).
Preso atto dell’esistenza di prassi diversificate nelle varie Chiese cristiane, e sottolineata nuovamente l’esigenza di non perdere mai di vista l’unitarietà del percorso di iniziazione, la Sacramentum caritatis non prende decisamente posizione per l’una o per l’altra tradizione, ma invita a «verificare quale prassi possa in effetti aiutare meglio i fedeli a mettere al centro il sacramento dell’Eucaristia, come realtà cui tutta l’iniziazione tende»; verifica, questa, affidata sia ai competenti organi della Curia romana, sia alle Conferenze episcopali nazionali. Viene dunque implicitamente avallata la possibilità di esperimentare prassi diverse da quella attuale anche all’interno della Chiesa di Occidente.
Indipendentemente dalla futura articolazione del cammino di iniziazione (tema, tuttavia, che interessa da vicino le stesse famiglie, delle quali sarà opportuno conoscere gli orientamenti in vista di future eventuali sperimentazioni), viene sottolineata l’importanza del ruolo della famiglia che, osserva il documento, «deve» sempre essere coinvolta in tale itinerario. Di qui il dovere della comunità cristiana di sostenere la famiglia nel suo compito educativo e, in vista di ciò, di prepararla adeguatamente all’assunzione di tale altissima responsabilità (cf. n. 18).
L’esigenza di un più forte coinvolgimento delle famiglie è particolarmente avvertita in occasione dell’amministrazione del Battesimo ai bambini, dal momento che «ricevere il Battesimo, la Cresima e accostarsi la prima volta all’Eucaristia sono momenti decisivi non solo per la persona che li riceve ma anche per l’intera famiglia» (n. 20).
Non viene qui esplicitamente posto il problema dei padrini (ed eventualmente delle madrine) ma indubbiamente, in sede di pratica attuazione pastorale di queste indicazioni, si dovrà tenere conto, nel caso del Battesimo, non soltanto dei genitori ma anche di una figura meritevole di essere rivalutata dal punto di vista ecclesiologico, e non solo sotto il profilo pastorale, quella cioè dei padrini, soprattutto in presenza di società largamente secolarizzate, come quelle dell’attuale Occidente, nelle quali i genitori esprimono spesso una fede debole e incerta (anche se nella maggioranza dei casi continuano a richiedere il Battesimo per i propri figli), per cui hanno bisogno di essere sostenuti nel loro cammino dall’intera comunità e da specifiche figure che si assumano il compito di accompagnare i neo-battezzati nel lungo cammino che dovrebbe portarli a una fede adulta. Si pone al riguardo il problema di un’adeguata preparazione non solo dei genitori ma anche dei padrini.

6. Famiglia e vocazioni


La riflessione condotta nella Sacramentum caritatis interessa anche sotto un altro aspetto la famiglia cristiana, intesa questa volta, come luogo ideale per la nascita e la crescita di vocazioni di speciale consacrazione. Riaffermata nella tradizione della Chiesa di Occidente, la connessione tra ordine sacro e celibato, si pone tuttavia in rilievo la difficile situazione in cui molte Chiese particolari si sono venute a trovare per la carenza di clero. A queste carenze, a giudizio dei Padri sinodali, non può essere posto riparo rinunziando a un «adeguato discernimento vocazionale» o «ammettendo alla formazione specifica e all’ordinazione candidati che non possiedono le caratteristiche necessarie per il servizio sacerdotale» (n. 25). La via che il documento propone per non fare mancare alla Chiesa le vocazioni sacerdotali delle quali essa ha bisogno (soprattutto per continuare a porre il gesto fondamentale che è la celebrazione dell’Eucaristia) è quella di una rinnovata pastorale vocazionale che sappia «coinvolgere tutta la comunità cristiana in ogni suo ambito». In questa azione pastorale «è inclusa anche l’opera di sensibilizzazione delle famiglie, spesso indifferenti, se non addirittura contrarie, all’ipotesi della vocazione sacerdotale». Conseguentemente, l’auspicio del documento è che le famiglie cristiane «si aprano con generosità al dono della vita ed educhino i figli a essere disponibili alla volontà di Dio» (n. 25).
Questo breve ma importante passaggio del documento indica una prospettiva e insieme segnala implicitamente una lacuna. Troppo spesso, infatti, la pastorale vocazionale sembra rivolgersi essenzialmente ai ragazzi e ai giovani, coinvolgendo in misura alquanto limitata le famiglie: pastorale vocazionale e pastorale della famiglia hanno talora percorso strade diverse ed è sovente mancata, nell’azione rivolta alle famiglie, una specifica attenzione vocazionale, in relazione all’educazione a quelle attitudini - prime fra tutte la generosità, il distacco, la dedizione agli altri - che rappresentano la base di ogni autentico cammino vocazionale. Merita in particolare di essere coltivata quella vera e propria «pedagogia dell’abbandono» che renda i genitori consapevoli del dovere di lasciare ai figli la piena libertà delle loro scelte di vita, siano esse matrimoniali o celibatarie; presa di distanza rispetto ai propri personali progetti nei confronti dei figli che nei genitori non è favorita dalla riduzione numerica della famiglia e dai più intensi rapporti fra genitori e figli tipici della famiglia contemporanea, positivi per molti aspetti ma non tali da favorire una capacità di distacco che possa portare all’abbandono del tranquillo e a volte ovattato grembo della famiglia per realizzare la propria vocazione (anche, in ipotesi, quella al sacerdozio).
Sotto questo aspetto, il pur breve cenno alla necessità di coinvolgere le famiglie cristiane nella cura delle vocazioni apre prospettive sotto molto aspetti nuove a una pastorale vocazionale sollecitata a integrarsi più strettamente e organicamente con la pastorale della famiglia.
Venuta meno la situazione di cristianità nella quale sono maturate in passato tante vocazioni alla vita religiosa, il vero «seminario» del futuro potranno essere famiglie cristiane capaci di vivere e di testimoniare al loro interno la fede e di rendere gli stessi figli disponibili a giocare la loro esistenza in termini di risposta alla chiamata di Dio, quale essa sia.

7. Eucaristia e Matrimonio

Mentre ai due temi cui si è fatto dianzi riferimento (e cioè il rapporto tra famiglia e iniziazione cristiana da una parte e il problema vocazionale dall’altra) il documento riserva soltanto brevi, seppure importanti, cenni, il nesso tra Eucaristia e matrimonio forma oggetto di un’ampia sezione (nn. 27-29), dapprima in prospettiva essenzialmente teologica, quindi con intenzionalità pastorale, soprattutto in relazione alla complessa e delicata questione dell’ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati.
Di grande rilevanza per gli sviluppi di un’adeguata teologia del matrimonio è la sottolineatura, operata dalla Sacramentum caritatis (con accenti non usuali nella teologia del matrimonio), non solo dalla «dimensione sponsale» dell’Eucaristia ma anche, in parallelo, della «dimensione eucaristica» del matrimonio (n. 27).
Un passo della Sacramentum caritatis merita di essere posto in particolare rilievo per la sua rilevanza dottrinale e per la sollecitazione che ne deriva alla ricerca teologica al fine di mettere in luce questo specifico aspetto del matrimonio in relazione all’Eucaristia, ed è la «qualità eucaristica» del consenso. «Il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano in Cristo - nota il documento al citato n. 27 - e che li costituisce in comunità di vita e di amore, ha anch’esso una dimensione eucaristica. Infatti, nella teologia paolina (il documento aveva fatto in precedenza riferimento al noto passo della Lettera agli Efesini, cap. 5, 31-32 in cui Paolo parla, in riferimento alla Chiesa, del «grande mistero» del matrimonio cristiano), l’amore sponsale è segno sacramentale dell’amore di Cristo per la sua Chiesa, un amore che ha il suo punto culminante nella Croce, espressione delle sue "nozze" con l’umanità e, al contempo, origine e centro dell’Eucaristia». Passo, questo, in cui il «consenso» degli sposi assume senso e significato all’interno della «alleanza» fra Dio e l’umanità che trova il suo compimento nel Cristo eucaristico, punto conclusivo del percorso che inizia con l’incarnazione e continua con la morte del Figlio di Dio. Il matrimonio, come espressione di questa Alleanza a livello di rapporto d’amore fra l’uomo e la donna, acquista dunque, nella prospettiva accennata da questo passo della Sacramentum caritatis, un preciso significato cristologico: coloro che sinceramente e fedelmente si amano nel Signore diventano in tal modo un simbolo della definitiva e irreversibile Alleanza di Dio con l’umanità di cui l’Eucaristia è segno e suggello.

8. Rottura dell’Alleanza: divorziati risposati

Proprio da questo forte simbolismo del matrimonio, e dal suo originario e profondo legame con l’Eucaristia, nasce la difficoltà - fortemente avvertita dai Padri sinodali e oggetto di un vasto dibattito di cui il documento finale reca bene avvertibili tracce - di conciliare il segno di unità rappresentato dall’Eucaristia (e dal matrimonio cristiano che ad essa allude) con l’opposto «segno» della divisione espresso dalla rottura del vincolo coniugale e dal passaggio a nuove nozze, e cioè a una pallida e dimidiata nuova «alleanza» che sorge dalle ceneri dell’originaria e perduta Alleanza.
Il Sinodo dei vescovi ha mostrato di non ignorare la serietà e la complessità della questione dei secondi matrimoni dei divorziati, prendendo atto dell’estrema varietà delle situazioni e non escludendo l’ipotesi di una seria verifica della validità del matrimonio un tempo contratto e poi sciolto (n. 29). Si è raccomandata, conseguentemente, una diffusione capillare dei tribunali e dei consulenti ecclesiastici e si sono auspicate rapide decisioni in ordine all’eventuale riconoscimento della nullità di matrimoni precedentemente contratti, senza tuttavia dimenticare mai quell’«amore per la verità» che rimane il fondamentale punto di congiunzione tra oggettività del diritto e attenzione alle persone. Non escludendo, e anzi per certi aspetti incoraggiando, ogni qualvolta che si profili l’ipotesi della nullità, il ricorso ai tribunali ecclesiastici, l’Esortazione apostolica prende tuttavia atto del fatto che gran parte delle situazioni matrimoniali che hanno dato luogo alla rottura del vincolo e a successive nozze non sono sanabili per la via del riconoscimento della nullità. Di qui la drammaticità di situazioni di sofferenza di cui il Sinodo ha preso atto con viva sensibilità pastorale. Pur riconoscendo tuttavia che i divorziati risposati continuano ad appartenere alla Chiesa e possono percorrere con essa un lungo tratto di strada - con la partecipazione alla liturgia, l’ascolto della Parola, l’esercizio della carità, e così via - il Sinodo ha ritenuto di dover ribadire, e la Sacramentum caritatis ne riprende l’indicazione, la tradizionale prassi della Chiesa cattolica, quella della non ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia «perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata e attuata nell’Eucaristia» (n. 29). Mette conto di sottolineare l’avverbio oggettivamente, il cui impiego sta anche a significare che la Chiesa non si ritiene abilitata a esprimere un giudizio definitivo sull’interiorità delle coscienze (né può escludere, in linea di principio, che il primo matrimonio non fosse realmente tale) ma può solo prendere atto della rottura di una prima unione non formalmente dichiarata nulla e della contrattazione successiva di un secondo matrimonio non sacramentale. In presenza di questo oggettivo stato di cose, la Chiesa - per la responsabilità che su di essa incombe di essere gelosa custode della parola di Dio sull’indissolubilità - non si sente abilitata a inserire appieno i divorziati risposati nella vita della comunità cristiana (n. 29). Il tendenziale orientamento della Chiesa all’ampiezza della misericordia e alla remissione dei peccati incontra, a giudizio del Sinodo, un limite invalicabile nella consapevolezza di non potere disattendere la parola del Signore e nel conseguente dovere di salvaguardare, agli occhi della comunità cristiana, l’unicità e l’indissolubilità del matrimonio. Precludere l’accesso all’Eucaristia non implica tuttavia la esclusione dalla vita della comunità cristiana.

9. Formazione dei fidanzati

Proprio a conclusione del paragrafo dedicato alla situazione dei divorziati risposati, l’Esortazione apostolica inserisce un passaggio (la parte finale del citato n. 29) che merita di essere attentamente esaminato, data la sua rilevanza dal punto di vista pastorale.
Il Sinodo aveva dovuto constatare, con grande amarezza, che un non piccolo numero di matrimoni contratti in forma sacramentale è stato successivamente dichiarato nullo dai tribunali ecclesiastici per la mancanza di alcuni fondamentali requisiti; e che un numero ancora più elevato è stato assoggettato a una successiva insanabile rottura. Di qui il forte appello a un’attenta verifica preventiva in ordine alle convinzioni dei nubendi «circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del matrimonio» e l’invito ai pastori a un «serio discernimento a questo riguardo» (n. 29).
Al di fuori di ogni intenzionalità censoria, questo passaggio del documento suona come un implicito invito a riesaminare prassi di ammissione al matrimonio-sacramento non sempre adeguatamente preoccupate della messa in luce delle caratteristiche del matrimonio cristiano, prima fra tutte l’indissolubilità, e talora orientate all’accoglienza anche di persone che - nota ancora l’Esortazione postsinodale - si accingono «ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare», essendo indotte a chiedere il matrimonio-sacramento per «impulsi emotivi o ragioni superficiali» (n. 29) (nonché, si potrebbe aggiungere, per le sollecitazioni, e talvolta per le pressioni, delle famiglie di origine).
L’indicazione proveniente da questa preoccupata notazione del documento sembra essere quella di una sollecitazione rivolta alla pastorale prematrimoniale affinché essa si faccia carico non solo di una generale formazione dei promessi sposi all’amore e alla vita di relazione, ma anche di una specifica e limpida catechesi sulla indissolubilità del vincolo e dunque sulla irrevocabilità della decisione che essi si accingono ad adottare.
E’ possibile che da questa schietta presentazione dell’esigente progetto di Dio sul matrimonio alcuni nubendi possano essere indotti a optare per la forma non sacramentale (questa opzione rimane tuttavia al di fuori del testo del documento), ma ciò non dovrebbe indurre la comunità cristiana a omettere di annunziare il Vangelo del matrimonio sine glossa, in tutta la sua serietà. Del resto - nota ancora il documento - «troppo grande è il bene che la Chiesa e l’intera società si attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale» (n. 29). In conclusione, è in questione la profonda verità del matrimonio cristiano, e questa verità non può che essere esplicitamente annunziata. Si apre qui un difficile e delicato compito di una pastorale prematrimoniale che in Occidente deve confrontarsi con i profondi mutamenti culturali in atto e con una diffusa disaffezione nei confronti della proposta cristiana della irrevocabile fedeltà come fondamento del matrimonio.

10. Grandi idee di un «progetto» di pastorale famigliare


Esaminata in un’ottica familiare, la Sacramentum caritatis può essere considerata in questa sua prima parte (e senza escludere importanti sviluppi sotto il profilo propriamente teologico) come un’ideale ripresa di un altro importante documento, esso pure frutto del lavoro di un Sinodo dei vescovi, e cioè la Familiaris consortio (1981) di Giovanni Paolo II. Le indicazioni del Sinodo sull’Eucaristia possono infatti, sotto non pochi aspetti, essere considerate come una ripresa e una riproposizione di alcune idee-guida della Familiaris consortio, ancora sostanzialmente valide e capaci di illuminare il cammino della Chiesa anche nel XXI secolo.
Gli sviluppi, ora più articolati ora allo stato di indicazioni generali, di cui è suscettibile la Sacramentum caritatis sotto il profilo della pastorale familiare potrebbero essere (alla luce delle riflessioni condotte in questo essenziale commento) così sinteticamente riproposti:
- la riaffermazione della centralità dell’Eucaristia nella vita di famiglia, per il forte simbolismo che accomuna il dono totale di Cristo all’umanità e il dono reciproco, l’uno all’altro, degli sposi cristiani;
- il pieno coinvolgimento delle famiglie nel cammino dell’iniziazione cristiana, e in particolare nella preparazione alla recezione dell’Eucaristia;
- la valorizzazione del ruolo delle famiglie nella creazione, attraverso adeguati interventi educativi, di un ambiente favorevole a consapevoli scelte vocazionali;
- il riconoscimento della stretta connessione tra l’Eucaristia come sacramento dell’incontro fra Dio e gli uomini e la profonda unità degli sposi, che non può essere rotta senza che questa disunione precluda alla pienezza dell’incontro con il Cristo eucaristico;
- una più pregnante attenzione della pastorale prematrimoniale all’annunzio ai nubendi del «Vangelo dell’indissolubilità» e della fedeltà. Nel nuovo e problematico tempo della secolarizzazione che incombe su tutto l’Occidente, la pastorale della famiglia potrà trarre, dal vasto affresco della Sacramentum caritatis, importanti indicazioni per il suo rinnovamento e per l’acquisizione di una più lucida consapevolezza della centralità dell’Eucaristia nel cammino di fede delle famiglie, di quelle già formate e di quelle in formazione. Grazie a un più profondo radicamento nel Cristo eucaristico, la famiglia cristiana potrà maturare più consapevolmente la presa di coscienza del senso pieno del suo servizio alla vita e all’amore.
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