L’Eucaristia è fonte e culmine della vita cristiana. Intorno all’Eucaristia tutta si raccoglie la vita del fedele e della comunità cristiana. Anzi: ad essa si conforma, della sua stessa sostanza partecipa. E’ questa l’idea-guida, l’architrave della terza parte dell’Esortazione apostolica «Sacramentum caritatis», quella centrata sulla testimonianza e sulla missione (cf. nn.70-93). Testimonianza e missione il cui paradigma è «la forma eucaristica della vita cristiana». Il mistero creduto e celebrato - vi si legge - genera un dinamismo, si fa, in noi, principio di vita nuova, anima della testimonianza e della missione: «colui che mangia di me vivrà per me» già in questo tempo.
1. Contenuto
3. Seconda questione: la Vocazione e la Missione dei Fedeli Laici
5. Quarta questione: discernimento e dialogo
Contro una certa retorica del facile dialogo che sconfina nell’irenismo, il cristiano deve essere avvertito: dialogo è anche discernimento critico, resistenza-opposizione a ciò che con il cristianesimo è in contrasto. Non tutte le culture si equivalgono, dal punto di vista cristiano. La storia testimonia che si danno circostanze nelle quali il rapporto dei cristiani con la cultura-ambiente ha assunto un profilo critico-polemico. Sino a prescrivere la figura estrema del martirio. Non di necessità quello cruento che comporta l’effusione del sangue. Anche oggi, a ben riflettere, la testimonianza cristiana comporterebbe sacrifici non indifferenti, in termini di soldi, di carriera, di vantaggi. Semmai, a dispetto di certo vittimismo, c’è da chiedersi se la scomparsa del martirio nella vita dei cristiani non sia indizio di un deficit di genuina qualità evangelica nel vissuto cristiano.
6. Quinta questione: la coerenza eucaristica nella vita politica
E’ il n. 83 dell’Esortazione, che ha fatto discutere all’atto della sua promulgazione, in quanto impropriamente decontestualizzato e schiacciato su polemiche politiche contingenti. E’ utile riprodurre qui il passo incriminato: «Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana». Considerata la densità del brano, merita fare qualche chiosa con stretta aderenza al testo. Innanzitutto, in premessa, si ripropone una tesi che già abbiamo fissato: il culto gradito a Dio non si concreta tanto nel rito quanto piuttosto nella vita del credente. Più esattamente in una via donata, cioè conforme al paradigma di Gesù. Una vita concreta e totale, cioè comprensiva di ogni suo aspetto e dunque anche delle relazioni sociali e della testimonianza pubblica. Tale «coerenza eucaristica» è prescritta a ogni battezzato, ma, a fortiori, a chi porta responsabilità sociali e politiche. Il Papa motiva tale supplemento di responsabilità in capo agli uomini politici: essi «prendono decisioni» che influiscono sulla vita delle persone e della società. Anche con riguardo a valori fondamentali quali la vita, la famiglia, la libertà di educazione, il bene comune in senso lato. La loro coscienza è chiamata a proporre e sostenere leggi e provvedimenti ispirati ai valori radicati nella natura umana. E’ utile approfondire qualche elemento di questa sorta di dispositivo. Primo: non si tratta di un ordine di servizio, ma di un appello alla coscienza responsabile dei laici cristiani impegnati nella politica e nelle istituzioni. Sbagliano coloro che interpretano tale monito come una sconfessione del principio, acquisito dal più consolidato Magistero della Chiesa, della peculiare responsabilità laicale nel cercare il regno di Dio trattando le realtà temporali e ordinandole secondo Dio (cf. LG 31). Anzi, l’appello alla coscienza di politici e legislatori testimonia l’esatto contrario. Semmai evoca una celebre pagina della Gaudium et spes ove si legge: «Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, a ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero» (n. 43). Un monito, questo, ripreso quasi alla lettera da papa Benedetto XVI nell’Enciclica Deus caritas est al n. 29 ove si legge: «Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è proprio dei fedeli laici come cittadini dello Stato... Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità». Secondo rilievo: i «valori fondamentali» esemplificativamente menzionati nell’Esortazione non esauriscono il più vasto campo delle questioni che interpellano la coscienza dell’operatore politico e del legislatore. Sia perché poi vi si aggiunge, come non meno cogente, il dovere della «promozione del bene comune in tutte le sue forme»; sia perché qualche paragrafo più avanti si tematizzano altre e altrettanto rilevanti questioni che hanno a che fare con la giustizia interna e internazionale, con la pace, con la salvaguardia del creato. Terza puntualizzazione: si chiede ai politici di «ispirarsi» a quei valori non negoziabili. Il verbo non è scelto a caso. Sottintende non già uno sconto, un di meno di tensione nel fare di quei valori il proprio orizzonte e la propria bussola, ma, questo sì, la consapevolezza dell’opera di mediazione, che è attività immanente all’azione politico-legislativa. In essa precisamente si concreta il bello e il difficile della «fatica del legislatore», il suo «dovere di stato», la sua deontologia. Esso, infatti, deve fare i conti con una doppia sfida: da un lato con l’ethos, il costume, le pratiche sociali; dall’altro con il pluralismo politico-culturale e delle stesse concezioni etiche, che contrassegnano le società moderne e che, nei regimi democratici, si riflette dentro gli organi elettivo-rappresentativi chiamati a prendere le decisioni pubbliche sulla base della regola della maggioranza. Regola discutibile quanto si vuole e tuttavia la meno imperfetta che la civiltà politica sia riuscita a concepire e realizzare. Del resto, è circostanza nota che quei «valori fondati nella natura umana» evocano una questione teorico-pratica cruciale per il legislatore sulla quale tuttavia si discute vivacemente in sede culturale oltre che politica. Alludo al controverso concetto di diritto naturale, al suo rapporto con il diritto positivo, alla disputa a proposito dell’appello a quella legge naturale a fronte di divergenze circa non solo la sua sussistenza ma anche la titolarità nella interpretazione autentica di essa. La consapevolezza di tale impegnativo compito in capo al politico e al legislatore affiora nelle parole pronunciate dal card. C.M. Martini nel 1998 nel quadro di una lezione tenuta alle scuole di formazione politica della diocesi di Milano: «Se è vero che i principi etici sono assoluti e immutabili e l’azione politica deve sempre ispirarsi ad essi, è pur vero però che l’azione politica non consiste di per sé nella realizzazione immediata dei principi etici assoluti, ma nella realizzazione del bene comune concretamente possibile in una determinata situazione». Si tratta della distanza che separa la giustizia più grande proclamata dal Vangelo che attinge la misura della dedizione totale e del perdono gratuito, dalla giustizia storicamente possibile. Una distanza che, sia chiaro, non esonera, anzi positivamente prescrive al cristiano, politico e non, di rendere tutta intera la testimonianza profetica di quei valori nella loro pienezza e che, se politico, lo impegna a farli rifluire nelle stesse leggi non appena ne maturassero le condizioni di costume e di consenso. E tuttavia una distanza che contempla un certo gradualismo. Infine, una distanza che, in certo modo, affligge in permanenza la condizione del politico cristiano, cui si richiede una severa disciplina, una sorta di ascesi nella dolorosa presa d’atto di un limite che ci istruisce a proposito della irriducibile incompiutezza di ogni impresa umana, che ci restituisce cioè all’umile consapevolezza che da noi soli non ce la possiamo fare e che semmai ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio. La coerenza eucaristica si nutre anche di questa antinomia: un cristiano realismo, un senso del limite che incombe sulla condizione umana e civile, ma, insieme e soprattutto, la cristiana speranza, la fiducia certa nelle promesse di un Dio che ci ama e che ci salva.