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Scuola dei Ministeri

Esequie cristiane (CCC 1680-1690)

 
L’evento della morte, oggi, è vissuto in modi diversi dai parenti dei defunti e dalle comunità cristiane. Accanto a situazioni che interrogano e spesso lasciano costernata una comunità, ci sono situazioni dove l’esperienza della morte passa quasi inosservata. Spesso i funerali diventano quasi un atto dovuto, più che una celebrazione con motivazioni spirituali e di fede. In tante persone si sta affievolendo la fede nella sopravvivenza dopo la morte e in qualche altra si fa strada l’idea, mediata dalla religiosità orientale, della morte come possibilità di “ricominciare” una nuova vita. La morte stessa fa paura e si cerca di esorcizzarla creando un clima di reticenza intorno al morente. E’ in crescita il fenomeno del suicidio. Per tutti questi motivi sembra necessaria un’opera d’evangelizzazione sul problema della morte che aiuti i credenti a leggere nella fede cristiana questa realtà.

1. Significato della Esequie Cristiane
Le esequie, come tanti altri elementi della liturgia cristiana, co­stituiscono una classe di riti paragonabili a quelli di altre religio­ni. Un buon metodo per scoprire i valori specificamente cristiani delle esequie è il confronto con i riti funebri pagani, nei quali si possono sottolineare le seguenti dimensioni: sono allo stesso tem­po un atto profondamente umano e un rito religioso e sacro; in essi si congiungono il culto divino e il culto dei morti; esprimono l’intima comunione tra i vivi e i defunti e manifestano in qualche modo la speranza nell’aldilà. In relazione con ciascuna di queste dimensioni, possiamo esaminare anche i valori principali delle ese­quie cristiane.

2. Celebrazione liturgica della morte
I riti e le preghiere che la Chiesa celebra per la morte di un cri­stiano si possono interpretare come semplice espressione di senti­mento umano. Ma se in tutte le culture i funerali hanno sempre avuto un valore e un significato religioso, nel cristianesimo tutto questo è molto più profondo, poiché in esso tutto ciò che è auten­ticamente umano può acquisire un senso sacro.
La celebrazione liturgica della morte si svolge nei momenti che precedono immediatamente l’ultimo respiro e nella morte stessa: il viatico e la raccomandazione del moribondo sono le azioni li­turgiche che trasformano un atto fisiologico in una celebrazione cristiana, a cui il moribondo stesso prende parte attiva. La morte può essere oggetto della celebrazione liturgica nella misura in cui viene inserita nel Mistero pasquale di Cristo, in definitiva l’unica realtà celebrata dai cristiani. Il senso cristiano della morte “si manifesta appunto alla luce del Mistero pasquale della Morte e della Risurrezione di Cristo, nel quale riposa la nostra unica speranza” (CCC 1681). Per il cristiano la morte raggiunge il suo pieno significato quando è il mezzo per incorporarsi defini­tivamente a questo Mistero pasquale.
Il giorno della morte inaugura per il cristiano, al termine della sua vita sacramentale, il compimento della sua nuova nascita cominciata con il Battesimo, la «somiglianza» definitiva all’«immagine del Figlio» conferita dall’Unzione dello Spirito Santo e la partecipazione al banchetto del Regno anticipato nell’Eucaristia, anche se, per rivestire l’abito nuziale, ha ancora bisogno di ulteriori purificazioni” (CCC 1682).
La Chiesa che, come Madre, ha portato sacramentalmente nel suo seno il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, lo accompagna al termine del suo cammino per rimetterlo «nelle mani del Padre». Essa offre al Padre, in Cristo, il figlio della sua grazia e, nella speranza, consegna alla terra il seme del corpo che risusciterà nella gloria (cf. 1Cor 15, 42-44). Questa offerta è celebrata in pienezza nel Sacrificio eucaristico; le benedizioni che precedono e che seguono sono dei sacramentali” (CCC 1683).
Le esequie contribuiscono a mettere in rilievo questo aspetto di celebrazione della morte, senza dimenticare altre espressioni com­plementari. La Chiesa, mediante le esequie, prega per il defunto e dà insegnamenti ai vivi, ma principalmente celebra il fatto della morte, non in se stesso, evidentemente, ma in quanto evento di salvezza, poiché è collegata alla fonte di cui emana ogni salvezza, cioè la morte e la risurrezione del Signore.

3. Venerazione cristiana del corpo
Anche nel cristianesimo possiamo parlare dei riti funebri come d’onori funebri tributati al defunto, ma in un senso molto di­verso da quello pagano, nel quale il culto ai morti ha le caratteri­stiche di timore superstizioso, oppure aspetti specificamente divi­ni. La Chiesa onora nelle esequie il corpo del defunto per motivi di fede: il corpo del cristiano è stato strumento dello Spirito Santo ed è chiamato alla risurrezione gloriosa.
I riti e le cerimonie che da sempre costituiscono la toilette fu­nebre del cadavere sono l’espressione della venerazione cristiana del corpo: la stessa realtà corporale che, in vita, era stata aspersa con l’acqua del Battesimo, Unta con l’olio santo, nutrita con il pa­ne e il vino Eucaristici, segnata col segno della salvezza, protetta con l’imposizione delle mani, insomma, quella realtà che era stata lo strumento dell’efficacia dei sacramenti, diventata cadavere, con­tinua ad essere oggetto delle sollecite cure della madre Chiesa. Il rituale attuale prevede - e forse converrebbe rivalutare questi ge­sti - che il corpo del defunto sia asperso con acqua santa, incen­sato solennemente, portato con tutti gli onori in processione, illu­minato con le luci e trattato col massimo rispetto. Tutto ciò vuol significare che il corpo è qualcosa di sacro per il cristiano e che per il cristianesimo non ci sono dicotomie artificiali: l’oggetto della salvezza è l’uomo intero, anima e corpo, che formano un’unità vitale.

4. Comunione tra vivi e defunti

Il cristianesimo accoglie la convinzione pagana secondo cui il defunto non scompare né si allontana totalmente dal mondo degli esseri viventi, ma la innalza a un piano illuminato pienamente dalla fede. Il cristiano non muore da solo, ma circondato dalla comuni­tà dei credenti, la quale, a sua volta, lo raccomanda alla comunità ecclesiale. Questa verità è dimostrata in modo ammirevole da vari aspetti tradizionali dei riti delle esequie cristiane.
a) Presenza della comunità accanto al cadavere
All’inizio si trattava forse solo del gruppo familiare. In seguito era la comunità parrocchiale, anche se rappresentata soltanto dal parroco, che si faceva presente al momento della morte e nella ce­lebrazione dei riti post mortem. Negli ordini monastici ha ancora molta importanza il raduno affettuoso di tutti i membri della co­munità prima attorno al letto del moribondo, poi accanto al fere­tro. L’uso della veglia accanto al cadavere ha lo stesso significato.
Il Rituale attuale ha restaurato inoltre l’antico rito chiamato «Ultima raccomandazione» o saluto finale al cadavere, rito che
-            svolto nei diversi luoghi secondo gli usi della propria cultura
-            si dovrebbe considerare come il culmine della celebrazione del­le esequie: è il saluto di tutta la comunità al membro defunto nel momento del suo ritorno alla casa del Padre.
b) Convocazione dei santi
Tanto nelle preghiere di raccomandazione del moribondo, quan­to nelle preghiere e nei canti che accompagnano i riti mortuari, ci sono invocazioni alla Madonna, agli Angeli e ai Santi. Senza negare il loro aspetto d’intercessione per il defunto, dobbiamo ri­cordare che l’intenzione principale della liturgia è quella di chia­mare, di convocare tutti i membri della Chiesa celeste perché ac­
colgano colui che fino adesso faceva parte della comunità terrena.
  
c) Processione
Le esequie si possono considerare un tipo particolare di pro­cessione liturgica. Come ogni processione, simboleggiano la Chiesa quale popolo di pellegrini in marcia verso la meta definitiva della gloria (cf. CCC 1680). La morte di uno dei suoi membri è un richiamo alla comu­nità ecclesiale perché non si ritenga installata in questo mondo e sperimenti al vivo la sua condizione transitoria, quale gruppo di uomini e donne che non hanno quaggiù una stabile dimora, ma che aspirano a quella futura.
Attualmente giusti motivi costringono a sopprimere i cortei fu­nebri, specialmente nelle grandi città, e perciò il Rituale prevede la possibilità d’organizzare le esequie in tre tipi principali secon­do il numero di stazioni e di processioni, perché sembra necessa­rio conservare in qualche modo il senso processionale delle esequie.
d) Preghiera per il defunto
Una delle finalità principali della liturgia dei funerali è quella d’innalzare preghiere d’intercessione per il defunto, con le quali s’esprime anche l’intimo vincolo che c’è tra i vivi e i morti. Le preghiere della Chiesa si concentrano sul perdono dei peccati del defunto, sulla liberazione dalle pene dell’inferno, sull’ingresso nella gloria celeste. Anche il sacrificio Eucaristico offerto per il defunto ha questa finalità d’intercessione, così come le preghiere che si fanno durante la veglia funebre. Tutto ciò è prova evidente degli stretti vincoli che esistono tra la comunità dei vivi e il membro de­funto. E’ interessante notare come la più antica preghiera dei de­funti - inserita tuttora nella preghiera eucaristica - dice sempli­cemente: Memento, «Ricordati, Signore», volendo esprimere che il «ricordo» di Dio per i defunti è intimamente vincolato al «ricordo» che di essi conservano i fedeli vivi mediante le loro pre­ghiere e suffragi.
e) Catechesi per i vivi
Buona parte della liturgia delle esequie è destinata ad istruire i fedeli vivi sul significato della morte. La Chiesa valorizza il fatto della morte di uno dei suoi figli per impartire un insegnamento vi­vo ed efficace e per rafforzare i vincoli d’unione tra tutti i suoi figli. Le letture bibliche e l’omelia costituiscono una parte essen­ziale di quest’insegnamento catechetico; anche i canti e le pre­ghiere contengono una grande ricchezza dottrinale. Un aspetto interessante di quest’insegnamento - che dimostra anche il vinco­lo con il defunto - è che quest’ultimo, in certo qual modo, illu­mina l’assemblea con la sua presenza muta e con una serie di testi detti in persona defuncti. 

5. Speranza nella risurrezione

La speranza nella risurrezione è uno dei leitmotiv più evidenti delle esequie cristiane. I testi delle letture bibliche, dei Salmi, delle antifone e delle preghiere esprimono costantemente la fiducia nel­la risurrezione dai morti. Il rito dell’inumazione o sepoltura ha lo stesso significato indicato da San Paolo: «Si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si se­mina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (1Cor 15, 42-45). Il ricco simbolismo dell’inumazione, ereditato da altre religioni, spiega la lunga resi­stenza della Chiesa cattolica ad ammettere un altro trattamento del cadavere. Oggi la legislazione canonica ammette anche la cre­mazione e l’incinerazione, sempre che non comporti un disprezzo del dogma della risurrezione dei morti né si svolga con un atteg­giamento anticristiano.
Sintetizzando, se vogliamo caratterizzare l’originalità specifi­ca delle esequie cristiane in relazione ai riti funebri civili o di reli­giosità naturale, dobbiamo parlare, con la costituzione Sacrosanc­tum Concilium (n. 81), del «significato pasquale della morte», cioè, del legame della morte cristiana con il Mistero pasquale di Gesù Cristo. E non può essere che così, poiché la specificità del cristianesimo, la sua novità radicale, è precisamente la persona di Cristo, nel suo aspetto dinamico di morte e risurrezione.

6. Celebrazione delle Esequie secondo il Rituale attuale
La Chiesa ha sempre celebrato lungo la sua storia, nelle ese­quie dei suoi figli, i valori rilevati sopra. Nell’impossibilità di presentare - neppure in maniera sintetica - l’evoluzione storica attraverso cui, tanto in Oriente quanto in Occidente, è passata la liturgia dei defunti, ci limitiamo a descrivere la situazione attuale nel rito romano, frutto della riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
La Costituzione sulla Liturgia ha de­cretato quanto segue: «Il rito delle esequie esprima più apertamente l’indole pasquale della morte cristiana e risponda meglio, anche quanto al colore liturgico, alle condizioni e alle tradizioni delle sin­gole regioni» (SC 81). «Si riveda il rito della sepoltura dei bambi­ni, e sia arricchito di Messa propria» (SC 82). Il 15 agosto 1969 venne pubblicata l’edizione tipica latina dell’Ordo Exsequiarum e il 21 settembre 1974 fu confermato dalla Congregazione per il Culto divino il Rito delle Esequie[1] preparato dalla Conferenza Episcopale Italiana, la quale elaborò pure alcune direttive pastorali e adatta­menti liturgici[2].
Ultimamente la CEI, è precisamente la Commissione Episcopale per la Liturgia, ha preparato un Sussidio intitolato: “Proclamiamo la tua risurrezione. Sussidio pastorale in occasione della celebrazione delle esequie[3] che offre un aiuto per quelle situazioni non contemplate dal RE, ma nelle quali, “il ministro ordinato o il laico, sono di fatto invitati ad esprimere la sollecitudine della comunità cristiana verso la famiglia colpita dal lutto[4]. Questo sussidio, a parte le buone Premesse teologiche e pastorali ad ogni capitolo, offre una ricca scelta di preghiere, schemi celebrativi e testi biblici. Si divide in sei capitoli e sei appendici:
- Cap. ISubito dopo la morte (Preghiere subito dopo la morte; Prima visita alla famiglia del defunto; Preghiere presso il defunto);
- Cap. II Veglia di preghiera (sei schemi);
- Cap. III Alla chiusura della bara;
- Cap. IV Celebrazione delle esequie (suggerimenti liturgico – pastorali);
- Cap. VPreghiere al cimitero;
- Cap. VIFunerali in caso di cremazione;
- Appendici – (testi biblici, proposte di schemi per la liturgia della Parola; Preghiere per le varie circostanze; Preghiera del Santo Rosario; Preghiere dei fedeli; Canti). 
A questo punto, bisogna ricordare che le esequie cristiane non conferiscono al defunto “né un sacramento né un sacramentale, poiché egli è «passato» al di là dell’economia sacramentale. Nondimeno esse sono una celebrazione liturgica della Chiesa (cf. SC 81-82). Il ministero della Chiesa in questo caso mira ad esprimere la comunione efficace con il defunto come pure a farvi partecipare la comunità riunita per le esequie e ad annunciarle la vita eterna” (CCC 1684).

7. Diverse forme del rito delle Esequie
I differenti riti delle esequie esprimono il carattere pasquale della morte cristiana, e rispondono alle situazioni e alle tradizioni delle singole regioni, anche quanto al colore liturgico (cf. SC 81)” (CCC 1685).
Il Rito delle esequie della liturgia romana (sia quello degli adulti che quello dei bambini) propone tre tipi di celebrazione (cf. CCC 1686):
- il primo corrisponde ai tre luoghi del suo svolgimento (la casa, la chiesa, il cimitero);
- il secondo ne prevede solo due: nella cappella del cimitero e al sepolcro;
- il terzo prevede una sola stazione: nella casa del morto.  
a) Primo tipo di esequie
Il primo modello comprende normalmente tre stazioni: nella casa del defunto, in chiesa e al cimitero, con due processioni in­termedie. E’ il modello ideale, il più tradizionale ed espressivo. Il Rito italiano però prevede che qualora fosse difficile realizzarlo - caso frequente nei grandi nuclei urbani -, si possono elimina­re le stazioni liturgiche in casa e al cimitero con le processioni intermedie; si fa l’accoglienza e il saluto del cadavere alla porta del­la chiesa, conservando integri tutti gli elementi della stazione in chiesa (cf. CCC 1687). Però è sempre più frequente la celebrazione dei riti delle esequie solamente nella cappella dei servizi funebri municipali. Questo primo modello prevede la celebrazione della Messa del­le esequie in chiesa, proibita soltanto nel Triduo Pasquale, nelle so­lennità di precetto e nelle domeniche di Avvento, Quaresima e Pa­squa. Ma se per motivi pastorali le esequie si dovessero celebrare in chiesa senza Messa - rinviata ad un altro giorno - resta l’ob­bligo della liturgia della Parola di Dio, in modo che la stazione in chiesa, con o senza celebrazione eucaristica, inizi sempre con la liturgia della Parola e si concluda con il rito dell’ultima racco­mandazione e commiato (cf. RE 5-6). 
b) Secondo tipo di esequie
Comprende soltanto due stazioni, entrambe al cimitero: una nel­la cappella e l’altra davanti al sepolcro. Non include la Messa; si può celebrarla se la si ritiene conveniente, e in ogni caso si dovrà celebrarla in un altro momento opportuno, prima o dopo le ese­quie, assente il cadavere (cf. RE 7).
c) Terzo tipo di esequie
Questo si fa soltanto nella casa del defunto. Il rituale non scen­de ai particolari, ma suggerisce alcune indicazioni da adattare alle diverse circostanze. Indipendentemente dalle esequie, si può sem­pre - ed è consigliato - fare una veglia di preghiera davanti al defunto a casa sua (cf. RE 8).

8. Elementi dinamici del rito delle Esequie

E’ importante avvertire che i diversi tipi d’esequie hanno fon­damentalmente la medesima struttura, composta da quattro ele­menti: rito di accoglienza, celebrazione della Parola di Dio, cele­brazione eucaristica, rito di commiato. La celebrazione dell’Eu­caristia però non è strettamente necessaria come parte integrante delle esequie, anche se appartiene essenzialmente alla preghiera della Chiesa per il defunto.  
a) Rito di accoglienza (cf. CCC 1688)
Consta di un saluto, accompagnato eventualmente dall’asper­sione del corpo del defunto con l’acqua santa, di un canto e di una preghiera, e ha lo scopo di manifestare ai fedeli radunati il motivo della celebrazione facendo di essi una comunità orante, offrendo loro parole di conforto e preparandoli a partecipare all’azione li­turgica. Nelle esequie celebrate interamente in chiesa conviene che il rito d’accoglienza sia fatto all’ingresso (cf. RE 40-44).
b) Celebrazione della parola di Dio (cf. CCC 1687)
Prevede una o più letture bibliche, alcuni canti interlezionali, l’omelia e le preghiere dei fedeli. Ha lo scopo di assicurare alle ese­quie l’espressione di fede cristiana, grazie alla Parola di Dio proclamata e accettata. Si prevedono celebrazioni della Parola nelle seguenti occasioni: nella veglia celebrata nella casa del defunto o in chiesa prima del seppellimento; in chiesa se non si celebra la Messa, nel primo tipo d’esequie; nel ricevimento del cadavere in chiesa, quando le esequie non si fanno immediatamente; nella cap­pella del cimitero, nel secondo tipo d’esequie; nella casa del mor­to, nel terzo tipo.
Il Rituale offre una grande varietà di testi biblici da scegliere, sia del Nuovo che dell’Antico Testamento, che proclamano il Mi­stero pasquale oppure alimentano la speranza dell’incontro con i defunti nel regno di Dio, o semplicemente insegnano la pietà ver­so i morti, o esortano a testimoniare la vita cristiana (cf. parte del RE con le letture).
c) Celebrazione eucaristica (cf. CCC 1689)
La celebrazione eucaristica rappresenta un momento importante dei funerali cristiani, perché manifesta il vincolo della morte del cristiano con il Mistero pasquale di Gesù Cristo e, allo stesso tem­po, è il più eccellente suffragio per il defunto. Perciò la Messa è vista come parte integrante del primo tipo d’esequie; è prescritta, prima o dopo le esequie vere e proprie, in quelle del secondo tipo, e si raccomanda anche nelle esequie domestiche. Però non è mai prescritta come un elemento necessario e imprescindibile: i tipi se­condo e terzo non la includono, e si può omettere anche nel primo tipo, sia per mancanza del ministro idoneo, sia per motivi pasto­rali importanti.
Se si celebra la Messa delle esequie, il canto d’ingresso proprio fa parte del rito di accoglienza, e dopo il postcommunio si compie il rito dell’ultima raccomandazione e commiato.
Oltre alla Messa delle esequie si possono celebrare Messe dei defunti in altre occa­sioni: appena saputa la notizia della morte, o in occasione della sepoltura, o quella del primo anniversario, nei giorni in cui ci sia una memoria obbligatoria o una feria. Tutte le altre si devono con­siderare «quotidiane» e si possono celebrare soltanto nei giorni in cui si permettono le Messe votive, purché siano applicate ai de­funti. In linea di massima, non bisogna esagerare nel preferire le Messe dei defunti, poiché ogni Messa viene offerta allo stesso mo­do per i vivi e per i defunti e in tutte le preghiere eucaristiche si fa il ricordo dei defunti.
d) Rito di commiato (cf. CCC 1690)
L’«ultima raccomandazione e commiato» sostituisce l’antica «assoluzione» del rito romano. E’ l’ultimo saluto con il quale la comunità cristiana si congeda da uno dei suoi membri e prega per lui prima che il corpo sia sepolto. Non è un saluto definitivo, poi­ché la separazione della morte non rompe l’unità dei cristiani, vivi e defunti, membra di Cristo.
Il rito si svolge nel modo seguente (cf. RE 10): il celebrante lo introduce con una monizione, quindi seguono alcuni istanti di silenzio, i gesti dell’aspersione e dell’incensazione, che alludono al Battesimo e al destino glorioso del corpo del cristiano; il canto finale è un elemento importantissimo, perché sottolinea il carattere pasquale e festivo di tutto il rito. Questo canto è bene che sia esegui­to da tutti e appaia come il momento culmine del commiato. Se non è possibile cantare, «si esortino i presenti a pregare tutti insieme per il defunto e si suggeriscano le invocazioni adatte» (RE 76).
e) Altri elementi e suggerimenti pratici
* Quanto al colore liturgico, prima era prescritto il nero, adesso, normalmente, nelle esequie degli adulti s’usa il viola, e in quelle dei bambini il bianco. Si possono però usare anche altri colori, se ci sono motivi particolari.
* Le esequie dei bambini non sono in sé una celebrazione essen­zialmente diversa da quelle degli adulti, poiché in entrambi i casi l’oggetto principale della celebrazione è il Mistero pasquale di Cristo, ri-attualizzato nella morte di un battezzato. Si tratta solo di sfu­mature diverse: nelle esequie di un adulto la preghiera, anche se è piena di fede e di speranza, si concentra nella petizione della sal­vezza del defunto; in quelle dei bambini predomina la certezza gioio­sa, basata sulla fede, dell’ingresso del battezzato nella felicità del cielo e chiede piuttosto il conforto dei genitori e dei parenti.
Attualmente si permette la celebrazione delle esequie liturgiche per i bambini morti prima di ricevere il Battesimo, sempre che i genitori desiderassero battezzarli. Questo permesso - dice il Ri­tuale spagnolo (n. 56) - «non pregiudica la questione teologica della sorte eterna dei bambini morti senza aver ricevuto il Battesi­mo, né della necessità del Battesimo per salvarsi. E’ un’espressio­ne della sollecitudine materna della Chiesa, un’attenzione alla fe­de dei genitori che desideravano battezzarlo e una prova di fidu­cia nella bontà e nella misericordia del Signore».
Inoltre, la Commissione Teologica Internazionale nel documento “La speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere battezzati (20 aprile 2007)”, approvato dal papa Benedetto XVI, afferma che il tradizionale concetto di limbo (luogo dove i bambini non battezzati vivono in eternità senza comunione con Dio) riflette una visione eccessivamente restrittiva della salvezza[5]. L’argomento principale del documento è che la misericordia di Dio vuole che tutti gli essere umani siano salvati, la Grazia ha priorità sul peccato, e l’esclusione di bambini innocenti dal paradiso non sembra riflettere lo speciale amore di Cristo per i più piccoli.
* Si dovrebbe evitare l’usanza di invitare (a pagamento) dei solisti o pseudo-organisti per la celebrazione delle esequie.
* Non spetta, poi, alle onoranze funebri il compito di sostituirsi al Sacerdote nella preparazione liturgica delle esequie stesse o arrogarsi la facoltà nell’organizzazione della cerimonia stessa (con l’offerta inclusa!), degli ottavari, dei trigesimi o anniversari della morte.
* Si deve consigliare, in modo saggio, i familiari del defunto ad evitare sprechi per le onoranze funebri e i fiori ed a preferire piuttosto autentici gesti di solidarietà a vantaggio di reali necessità.
* Per l’annuncio della morte bisogna educare i cristiani ad usare espressioni rispondenti alla nostra fede: parole capaci di mettere in evidenza, insieme con il dolore, anche la speranza cristiana. Questo vale pure per le scritte sulle lapidi in cimitero.
* Per quanto riguarda i manifesti della morte: bisogna ricordare sia ai famigliari della persona defunta, ma soprattutto alle onoranze funebri, l’inopportunità di stampare sui manifesti le immagini della Madonna o dei Santi (ad es. S. Pio da Pietralcina), perché è Cristo che ci ha salvati dalla morte ed a Lui affidiamo la persona defunta.
* Per la celebrazione delle esequie non si dovrebbe usare il catafalco o il carrello (spesso fornito dalle pompe funebri), ma un decoroso e adatto tappeto per deporre la bara.
* Particolare attenzione deve essere data ai segni liturgici:  
- Se le Esequie si celebrano in chiesa parrocchiale si può porre a capo del feretro solo il Cero Pasquale, simbolo del Signore Risorto. In altri casi si possono porre alcuni ceri accesi all’intorno (cf. RE 59).
- Sul feretro, non ricoperto da alcuna coltre funebre, si può porre la Bibbia o l’Evangeliario, segno della Parola di vita e di risurrezione (cf. RE 59).
- Normalmente su ogni bara si trova la croce. Se questa però manca e/o non è ben visibile nelle vicinanze dell’altare, si può posare una anche sul feretro (cf. RE 59).
- Non si deve coprire la bara con dei fiori. Un segno floreale (il classico cuscino di fiori), simbolo d’affetto e d’intimo legame col defunto, va messo a parte, comunque nelle vicinanze della bara, ad es. sui gradini che portano in presbiterio o davanti all’altare. Inoltre, non si deve portare davanti all’altare tutti numerosi fiori e corone che il defunto “ha ricevuto” da parenti e amici.
* La sepoltura per inumazione resta quella preferibile. Poiché si fa sempre più frequente la richiesta di cremazione, a meno che tale richiesta non sia stata fatta in contrasto con la fede cristiana, come è stato già detto (cf. CIC 1176§3), le esequie, presente il corpo del defunto, si celebrano in chiesa prima della cremazione (cf. RE 15)[6].
* Se la cremazione è già avvenuta le ceneri non si devono portare in chiesa, ma direttamente al cimitero. Si deve celebrare comunque, in un altro momento o la Messa esequiale o la Messa di suffragio[7]. In caso eccezionale, ad es. a causa di una morte improvvisa lontano dalla patria per facilitare il rientro del defunto, può accadere che la cremazione precede le esequie. In queste situazioni, se viene richiesta la Messa con la presenza dell’urna cineraria, bisogna chiedere le indicazioni dell’Ordinario del luogo[8].
* E’ vietato spargere le ceneri  o conservare l’urna cineraria in un luogo diverso dal cimitero. Questo sarebbe il segno di una scelta compiuta per ragioni contrarie alla fede cristiana e pertanto
comporta la privazione delle esequie ecclesiastiche (cf. CIC 1184§1, 2°)
[9]
* Per quanto riguarda i casi particolari (apostati, eretici, scismatici; coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana; peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le Esequie senza pubblico scandalo), cioè quando una persona prima della morte non diede alcun segno di pentimento, deve essere privata delle esequie ecclesiastiche (cf. CIC 1184§1). Si “consulti comunque l’Ordinario del luogo, al cui giudizio bisogna stare” (cf. CIC 1184§2). Inoltre, “a chi è escluso dalle Esequie ecclesiastiche, deve essere negata ogni Messa esequiale” (cf. CIC 1185).
* Di fronte a casi di suicidio, bisogna consultarsi, se necessario, con l’Ordinario sul da farsi. Ci deve essere la preoccupazione di presentare il funerale come momento di preghiera per il defunto, di partecipazione e di conforto della Chiesa verso i familiari, nella comprensione della situazione concreta che ha provocato la morte. In ogni caso, pur salvando la carità e il tatto, si deve evitare di solennizzare le esequie, ad esempio con la concelebrazione, e si deve preferire una celebrazione animata con uno stile sereno e controllato che può essere un’implicita catechesi sulla necessità di attendere la morte dalla volontà misteriosa di Dio (cf. CIC 1184-1185).
* Pur di evitare di moltiplicare le SS. Messe, si deve evitare che gli ottavari, i trigesimi e gli anniversari fossero celebrati al di fuori della Messa d’orario. Bisogna ricordare anche che la Chiesa, celebrando, fa memoria costante ed universale di tutti i suoi figli defunti.
* Occorre anche spiegare, nella catechesi, che la celebrazione dell’Eucaristia non è mai un fatto privato, ma è sempre l’azione di Cristo e della sua Chiesa, memoriale del sacrificio della Croce, in cui Cristo ha offerto la sua vita per tutti. Per questo motivo, occorre evitare qualunque prassi che metta in ombra questo universale significato di salvezza.
* Per quanto riguarda la pronuncia del nome del defunto durante la celebrazione eucaristica: nelle Messe applicate per i defunti è necessario educare i fedeli a superare la tendenza ad intenderle come fatto privato. Per quanto riguarda la pronuncia del nome del defunto nella celebrazione eucaristica, si deve dire che tale ricordo ha a suo favore testimonianze antichissime e vuole che il defunto è stato e rimane un membro vivo della comunità cristiana. I presbiteri pertanto si devono attenere ai seguenti criteri:
- Eucaristia domenicale e festiva: occorre anzitutto garantire la priorità alla celebrazione “pro populo”, che ha per i Parroci la sua obbligatorietà in base alle vigenti norme canoniche; si devono evitare possibilmente le intenzioni per un particolare defunto; se, per esigenze dei fedeli, tali intenzioni non sono evitabili, si deve comunque omettere di pronunciare nome del defunto nella Preghiera eucaristica.
- Eucaristia feriale: pur applicando in suffragio di un particolare defunto, si deve evitare di pronunciare il nome nella Preghiera eucaristica a meno che la celebrazione sia quella “in die obitus” ed esequiale oppure nell’anniversario e trovi riuniti parenti ed amici del defunto; è piuttosto consigliato, caso mai, ricordare i defunti, in modo più particolare, nella Preghiera dei fedeli, oppure prima della celebrazione.
* Per quanto riguarda le SS. Messe celebrate in cimitero: è permessa solo quella nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Di conseguenza, senza il permesso dell’Ordinario del luogo, sono proibite tutte le altre celebrazioni dell’Eucaristia al cimitero.
   


[1] Useremo l’abbreviazione RE.
[2] Rituale Romanum, Ordo Exsequiarum, Editio typica, Città del Vaticano 1969; Rito delle Esequie della Conferenza Episcopale Italiana, Roma 1974.
[3] Libreria Editrice Vaticana, Roma 2007.
[4] F. Di Molfetta, Presentazione, in CEI - Commissione Episcopale per la Liturgia, Proclamiamo la tua risurrezione. Sussidio pastorale…, op. cit., 6. 
[5] Limbo – il concetto è nato nel XIII sec.
[6] Cf. Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, De cadaverum crematione (8 maggio 1963), in AAS 56(1964), 822-823; in modo particolare i nn. 2-3.
[7] CEI - Commissione Episcopale per la Liturgia, Proclamiamo la tua risurrezione. Sussidio pastorale…, op. cit., cap. VI
[8] Idem., 117.
[9] Idem., 117.
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