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Scuola dei Ministeri

La religiosità popolare (CCC 1674-1676)

 

“Nell’uomo anche il meno pio, o prima o dopo suona sempre l’ora e viene il momento della pietà: non c’è un uomo senza pietà”[1].Il testo fondamentale per questa parte è quello emanato nel 2002 dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti[2]
Questo Direttorio è strutturato in modo seguente:
1. Introduzione.
2. Parte I: Linee emergenti dalla storia, dal Magistero, dalla teologia.
   - Cap. I: Liturgia e pietà popolare alla luce della storia.
   - Cap. II: Liturgia e pietà popolare nel Magistero della Chiesa.
   - Cap. III: Principi teologici per la valutazione e il rinnovamento della pietà popolare.
3. Parte II: Orientamenti per l’armonizzazione della pietà popolare con la Liturgia.
   - Cap. IV: Anno liturgico e pietà popolare.
   - Cap. V: Venerazione per la Santa Madre del Signore.
   - Cap. VI: Venerazione per i Santi e i Beati.
   - Cap. VII: Suffragi per i defunti.
   - Cap. VIII: Santuari e pellegrinaggi.
       
1. Caratteristiche generali
Il fenomeno della pietà popolare è spiegato da diversi punti di vista. Basta sfogliare i vari dizionari teologici o gli studi sull’argomento, dove ci vengono offerti dei concetti diversi, come religione popolare[3], religiosità popolare[4], pietà popolare[5], fede popolare[6], cattolicesimo popolare[7], devozione popolare[8], religione del popolo[9], religione delle classi subalterne[10]…ecc. Vorrei aggiungere che questo binomio viene letto anche da prospettive differenti. Tutto ciò rende difficile la convergenza delle interpretazioni e delle stesse denominazioni. È studiato da storici[11], antropologi[12], fenomenologi[13], sociologi[14], teologi[15], psicologi[16]... ecc., che, a seconda del proprio specifico approccio, parlano di questo fenomeno. Come conseguenza, i diversi autori si dichiarano a favore sia dell’uno come dell’altro termine. Non abbiamo tempo di soffermarci su questo aspetto! Diversi studiosi ritengono che il termine più illuminante par la comprensione del fenomeno sia quello della pietà popolare. Anche nell’insegnamento della Chiesa viene privilegiata questa espressione, ad es. Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi (n. 48)[17], Giovanni Paolo II nell’esortazione Catechesi Tradendae (n. 54)[18] o la Congragazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nel “Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti”[19].L’uomo, lungo i secoli, è stato definito in vari modi, ad es. come sapiens, faber, ludens, politicus, religiosus e festivus[20]. È stato descritto anche come animale cerimoniale[21]. Le feste e le cerimonie sono parte essenziale della vita umana. Nell’Europa cristiana l’anno era punteggiato dalle celebrazioni la cui origine era religiosa; molte di queste feste rimangono tuttora come vacanze, anche se spesso il loro significato originario è stato dimenticato. Perfino in quei paesi dove la religione era o è ancora ufficialmente bandita, la società sente il bisogno di trovare sul calendario date importanti e celebrazioni di feste siano pure secolari. Ad onta delle tante predizioni degli ultimi secoli circa la sparizione della religione - ricordiamo Marx, Engels e Lenin - o riguardo al superamento, da parte dell’uomo, del suo bisogno di avere una religione, la pietà popolare non è scomparsa. Anzi, sembra che sia cresciuta[22].
Il Concilio Vaticano II ricorda chiaramente che “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (SC 12), perché ad alimentare la vita spirituale dei fedeli vi sono anche “i pii esercizi del popolo cristiano” (SC 12); però questi esercizi devono essere ordinati in modo da essere in armonia con la liturgia, dalla liturgia devono in qualche modo trarre ispirazione, e alla liturgia devono condurre il popolo cristiano (cf. SC 13).  Generalmente si potrebbe dire che la pietà popolare è “la maniera in cui il cristianesimo si incarna nelle diverse culture e stati etnici e viene vissuto e si manifesta nel popolo”[23]. La pietà popolare è radicata nella tradizione ed esprime la memoria di un popolo, qualcosa che spesso perdiamo in una cultura tutta tesa verso il futuro, una cultura incantata dalla sua fede nel progresso (cf. SRS 27) [24].Il cristianesimo, come anche ogni religione, ha bisogno di una sana e ben orientata pietà popolare, perché è necessario che la fede si incarni nella vita e nelle azioni concrete della comunità[25].
Nell’Evangelii Nuntiandi (n. 48), Paolo VI indica gli aspetti positivi della “pietà popolare”: se la religiosità popolare “è ben orientata... è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo... genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione...”.

Proviamo a specificare alcune linee caratteristiche delle pietà popolare:  

a) La spontaneità e la ricchezza di sentimenti
Si potrebbe quasi parlare del popolare come di qualcosa di opposto a ciò che è di carattere ufficiale. Per cui il popolare sarebbe appunto ciò che è spontaneo, naturale, primigenio, pieno dei sentimenti, ciò che sgorga dalle radici, da una profondità immanente a un gruppo[26]. Questa spontaneità, legata con il sentimento, nasce dalla passione del “sentire” anziché da una sicurezza del ragionare. La logica del cuore prevale decisamente su quella della mente. La pietà popolare si esprime spesso in creatività spirituale e non in “fredda ripetitività rituale”. Questa religiosità esprime “bisogni, tensioni, speranze, attese, soddisfazioni e insoddisfazioni: tutti elementi dinamici che traducono la spontaneità del vissuto che fluisce piuttosto che l’esigenza di ingabbiarlo in quadri concettuali e istituzionali”[27].

b) La festività
La festività fa parte della vita umana e ha un compito comunitario: “il popolo celebra le feste come un momento di più intensa vita collettiva, realizza in essa una evasione dagli interessi e dagli impegni quotidiani e tende a favorire con esse un ravvicinamento dei membri della comunità anche nella espressione delle sue esigenze religiose”[28]. L’uomo non vive di solo lavoro, ma vive anche di riposo, di festa, di gratuità, di dono. Anzi è proprio in queste dimensioni che sperimenta in maggior pienezza la gioia di vivere e la propria autenticità. Il celebrare la festa rappresenta una sospensione della normale routine in un modo che dà nuovo vigore alla persona e la libera dalla schiavitù della monotonia. La festività, allora, è un’estasi “sul monotono, un superamento della routine quotidiana”[29].

c) La povertà radicale ed apertura al Trascendente
“Il vissuto nella pietà popolare si fa linguaggio che non è concettualizzazione ma simbolica immediatezza ed esperienza di una «povertà» esistenziale che tende al superamento dell’io e che rivela un bisogno di trascendersi”[30]. Si tratta allora di una possibilità di assunzione immediata, all’interno della fede, del Trascendente, della presenza di Dio umanamente percepita e talvolta vitalmente sofferta, al di là di ogni discorso razionale.

d) La memoria e la condivisione
La pietà popolare è “memoria” perché rivela un bisogno di cogliere la vita sostenendola nel ritmo di quanto si è sperimentato e visto e verso quanto anela. Tale esperienza del vissuto, tale animo “povero”, l’espressività simbolica, aprono all’umanità e alla partecipazione. 

e) Il bisogno di aiuto, di protezione e la ricerca della sicurezza
Si può parlare qui di una specie di filo conduttore della pietà. Nella maggior parte delle sue espressioni la pietà popolare è animata, appunto, da un fiducioso bisogno di aiuto e di protezione e dalla ricerca di sicurezza. 

f) Il richiamo alla tradizione
Questo richiamo alla tradizione significa “desiderio di identificazione, senso di appartenenza e di radicamento in una collettività, in un ambiente”[31]. La pietà popolare non è disposta a innovazioni, perché “il popolo è legato al suo passato, alle sue radici e che, se il tradizionale può diventare anche sinonimo di acritico, ciò avviene perché le esigenze fondamentali dell’uomo si ripetono e vi è un’identità inconscia cui rimanere fedeli”[32].

Si può parlare pure di alcuni “carismi” della pietà popolare:
* la pietà popolare ci parla in nome di una riscoperta del valore dei segni e dei simboli religiosi;
* ci suggerisce un atteggiamento meno intellettuale e meno formale nei confronti del religioso;
* è vicina alla natura, alla terra, a tutto ciò che ci circonda (attenzione “ecologica”);
* in essa, è sempre il popolo ad essere protagonista; è quindi una pietà gestita dal popolo.
In questa pietà popolare, la Vergine Maria occupa un posto speciale. Nella sua figura, la fede popolare ha sempre colto la presenza di un rapporto meraviglioso attraverso la realtà terrena e la forza soprannaturale. “Nella sua maternità si vede attuata una delle più belle e misteriose potenzialità della natura umana; nella concezione verginale adora e ammira l'azione onnipotente di quel Dio che si è fatto uomo nel suo seno. Nel mistero della maternità verginale i fedeli da sempre hanno intuito un rapporto privilegiato tra Dio e la Vergine Santa”[33]. Di conseguenza, si potrebbe dire che privare la pietà popolare dal riferimento mariano è come se, in un certo qual modo, la si ferisse nel cuore, nella sua essenzialità, nel suo dinamismo e in un largo strato delle sue molteplici espressioni.In un discorso durante l’udienza del 24 novembre 1976, rivolgendosi ai partecipanti al XII Convegno dei Rettori dei Santuari d’Italia[34], Paolo VI affermò: “Vogliamo lodare l’intenzione di approfondire il rapporto, che diremmo di corrispondenza e quasi di compenetrazione, che tradizionalmente unisce la Vergine benedetta e la pietà popolare. E’ proprio vero che Maria, come occupa il posto privilegiato nel mistero di Cristo e della Chiesa, così è sempre presente nell’anima dei nostri fedeli, e ne permea nel profondo, come all'esterno, ogni espressione e manifestazione religiosa”[35]. 

2. Primato della liturgia
Dobbiamo ricordare che “ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la  Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” (SC 7). Per questo motivo si deve superare l’equivoco che la liturgia non sia “popolare”. E’ da notare che il rinnovamento del Vaticano II ha inteso promuovere la partecipazione attiva del popolo nelle celebrazioni liturgiche, favorendo modi e spazi, ad. es. lingua del popolo, canti, coinvolgimento attivo, ministeri laicali…(cf. DPPL 11). L’eminenza della liturgia rispetto ad ogni altra possibile forma di preghiera cristiana deve trovare riscontro nella coscienza dei fedeli: “se le azioni sacramentali sono necessarie per vivere in Cristo, le forme della pietà popolare appartengono all’ambito del facoltativo…Ciò chiama in causa la formazione dei sacerdoti e dei fedeli, affinché venga data la preminenza alla preghiera liturgica e all’anno liturgico su ogni altra pratica di devozione” (DPPL 11).
La pietà popolare deve essere purificata e rinnovata! “Vale per la pietà popolare quanto asserito per la liturgia cristiana, ossia che «non può assolutamente accogliere riti di magia, di superstizione, di spiritismo, di vendetta o a connotazione sessuale»” (DPPL 12). In essa devono percepirsi: “l’afflato biblico, essendo improponibile una preghiera cristiana senza riferimento diretto o indiretto alla pagina biblica; l’afflato liturgico, dal momento che dispone e fa eco ai miseri celebrati nelle azioni liturgiche; l’afflato ecumenico, ossia la considerazione di sensibilità e tradizioni cristiane diverse, senza per questo giungere a inibizioni inopportune; l’afflato antropologico, che si esprime sia nel conservare simboli ed espressioni significative per un dato popolo evitando tuttavia l’arcaismo privo di senso, sia nello sforzo di interloquire con sensibilità odierne” (DPPL 12).
E ancora: la differenza oggettiva tra la pietà popolare e la liturgia deve essere visibile, ciò significa la non “commistione delle formule proprie di pii esercizi con le azioni liturgiche; gli atti di pietà e di devozione trovano il loro spazio al di fuori della celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti” (DPPL 13). Di conseguenza si deve evitare la sovrapposizione, poiché il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche; si deve superare, dove è il caso, la concorrenza o la contrapposizione con le azioni liturgiche (va salvaguardata la precedenza da dare alla domenica, alla solennità, ai tempi e giorni liturgici); si deve pure evitare di apportare modalità di “celebrazione liturgica” ai pii esercizi, che debbono conservare il loro stile, la loro semplicità e il proprio linguaggio (cf. DPPL 13). Si deve inoltre ricordare che la pietà popolare deve essere sempre cristologica!    

3. Linguaggi della pietà popolare
La pietà popolare possiede i suoi linguaggi. Si tratta soprattutto di linguaggio verbale, simbolico, corporeo e gestuale. Essi pur conservando la semplicità e la spontaneità d’espressione, devono essere curati, “in modo da far trasparire in ogni caso, insieme alla verità di fede, la grandezza dei misteri cristiani” (DPPL 14).
Si pensi ad esempio “all’uso di baciare o toccare con la mano le immagini, i luoghi, le reliquie e gli oggetti sacri; intraprendere pellegrinaggi e fare processioni; compiere tratti di strada o percorsi «speciali» a piedi scalzi o in ginocchio; presentare offerte, ceri e doni votivi; indossare abiti particolari; inginocchiarsi e prostrarsi; portare medaglie e insegne…” (DPPL 15). Questi e simili espressioni che sono tramandati da secoli di padre in figlio costituiscono modi diretti e semplici di manifestare esternamente “il sentire del cuore e l’impegno di vivere cristianamente”. Senza questa componente interiore c’è un grande rischio che la gestualità simbolica diventi una consuetudine vuota, formale, di routine (perché si faceva sempre così) e peggio ancora una superstizione.
Per quanto riguarda il linguaggio verbale, si deve ricordare che i testi di preghiere e formule di devozione devono “trarre ispirazione dalle pagine della Sacra Scrittura, della liturgia, dei Padri e del Magistero, concordare con la fede della Chiesa” (DPPL 16). Questi testi devono essere approvati dall’Ordinario del luogo (cf. CIC 826§3).
Tutto quello che si fa deve essere manifestazione di vera preghiera comune e non diventare mai un spettacolo (cf. DPPL 17).
Un posto privilegiato all’interno della pietà popolare occupano le immagini sacre. Si deve ricordare che l’iconografia per gli edifici sacri non è lasciata all’iniziativa privata. Di conseguenza si deve impedire che “quadri o statue ispirati da devozioni private di singoli siano imposte di fatto alla venerazione comune” (CIC 1188). Si deve stare attenti “affinché le immagini sacre variamente riprodotte ad uso dei fedeli, per essere esposte nelle case o portate al collo o custodite presso di sé, non scadano mai nella banalità né inducano in errore” (DPPL 18). 

4. Responsabilità e competenze
“Le manifestazioni della pietà popolare sono sotto la responsabilità dell’Ordinario del luogo: a lui compete la loro regolamentazione, di incoraggiare nella funzione di aiuto ai fedeli per la vita cristiana, di purificarle dove è necessario e di evangelizzarle; di vegliare che non si sostituiscano né si mescolino con le celebrazioni liturgiche; di approvare i testi di preghiere e di formule connesse con atti pubblici di pietà e pratiche di devozione” (DPPL 21; 288; CIC 826§3). Nella nostra diocesi un chiaro ordinamento è stato emanato dal vescovo Salvatore Boccaccio nel 2003: “Le feste religiose in Diocesi. Orientamenti e norme”. E’ un documento che deve essere studiato e messo in pratica[36]!


[1] G. De Luca, Introduzione alla storia della pietà, Roma 1962, 6.
[2] Città del Vaticano 2002. 
[3] Cf. P. Poupard (a cura di), Grande Dizionario delle Religioni, Assisi 1988, 1753-1754; B. Plongeron, La religion populaire dans l’Occident chrétien, Paris 1976.
[4] Cf. ad es.: S. De Fiores - T. Goffi (a cura di), Nuovo Dizionario di Spiritualità, Milano 1985, 1316-1331; J. Gevaert (a cura di), Dizionario di Catechetica, Torino 1986, 540-541.
[5] Cf. S. De Fiores - S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Milano 1986, 1111-1122.
[6] Cf. D. Pizzuti - P. Giannoni, Fede popolare, Torino 1979; G. Panteghini, La religiosità popolare. Provocazioni culturali ed ecclesiali, Padova 1996 (Strumenti di Scienze Religiose/Temi, 11), 141-153.
[7] Cf. R. Pannet, Le catholicisme populaire, Paris 1974.
[8] Cf. B. Gherardini, Chiesa, in NDM, op. cit., 363.
[9] Cf. V. Orlando, La religione del popolo, Bari 1980.
[10] Cf. C. Prandi, Religione e classi subalterne, Roma 1977.
[11] Cf. G. De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, Napoli 1971.
[12] Cf. C. Valenziano, La religiosità popolare in prospettiva antropologica, in AA. VV., Ricerche sulla religiosità popolare, Bologna 1979, 83-118; H. Bourgeois, Le christianisme populaire. Un problème d’anthropologie théologique, in «La Maison-Dieu», 122(1975), 116-141, 449; M. Squillacciotti, Per un approccio antropologico - culturale al fenomeno della religiosità popolare, in AA.VV., Liturgia e religiosità popolare, proposte di analisi e orientamenti, Bologna 1979 (Studi di Liturgia, 7), 189-216.
[13] Cf. A.N. Terrin, La religiosità popolare in prospettiva fenomenologica. Tentativo di fondazione antropologico - religiosa, in AA. VV., Ricerche sulla religiosità popolare, op. cit., 119-148.
[14] Cf. V. Lanternari, Festa, carisma e apocalisse, Palermo 1983; Idem., Crisi e ricerca d’identità. Folklore e dinamica culturale, Napoli 1977 (Contributi di sociologia, 30); C. Prandi, La religione popolare fra potere e tradizione, Milano 1983; E. Pace, Nuovi paradigmi sociologici in tema di religione popolare, in Quadri concettuali nello studio della religiosità popolare, Padova 1985; L. Dani, Domanda e offerta religiosa. Analisi di una parrocchia italiana, Messaggero, Padova, 1986 (Studi religiosi).
[15] Qui si potrebbe citare diversi studi che sono apparsi negli ultimi anni. Per la bibliografia si veda: F.G.B. Trolese, Contributo per una bibliografia sulla religiosità popolare, in AA.VV., Ricerche sulla religiosità popolare, op. cit., 273-325; per gli anni successivi si veda diversi aggiornamenti bibliografici di B. Bosatra, in «La Scuola Cattolica» 110 (1982), 65-84; 300-313; 451-472); 111 (1983), 450-475; 113 (1985), 546-574; 115 (1987), 48-83; 117 (1989), 487-525; 120 (1992), 613-650; cf. anche Pietà popolare mariana in Italia. Documentazione bibliografica (1962-1992), in Theotokos, II (1994/2), 461-500. In questo campo entrano anche gli studi di carattere teologico - pastorale, cf. ad es. F. Bosao, Cos’è la pastorale popolare?, in Equipe Seladoc. Religiosità popolare, 1. Documenti. Riflessione teologico - pastorale, Roma 1977 (Quaderni ASAL, 32), 129-173, 425; F. Boulard, La religion populaire dans le débat de la pastorale contemporaine, in B. Plongeron, La religion populaire dans l’occident chrétien. Approches historiques, Paris 1976 (Bibliothèque Beauchesne, 2), 27-49; G. De Rosa, La religiosità popolare. Storia, teologia, pastorale, Roma 1981.
[16] Cf. L. Pinkus, Aspetti psicodinamici della religiosità popolare, in AA. VV., Liturgia e religiosità popolare, proposte di analisi e orientamenti, Bologna 1979, 131-160; N. Criniti, Psicopedagogia della religiosità popolare. Alla ricerca di una metodologia, in Vivarium, 3(1995), 249-263.
[17] Cf. Esortazione Apostolica “Evangelii Nuntiandi” (8 dicembre 1975), in AAS, 68(1975), 5-76; l’altro documento di Paolo VI, dove si parla della pietà popolare, è l’Esortazione Apostolica “Marialis Cultus” (2 febbraio 1974), in AAS, 66(1974), 113-168.
[18]  Giovanni Paolo II, diverse volte e in diverse occasioni, ha “toccato” il tema della pietà popolare. Si veda: B. Testa, La religiosità popolare nel magistero di Giovanni Paolo II, in AA. VV., Religiosità popolare e teologia popolare, Milano 1987, 47-63.
[19] Lireria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2002.
[20] H. Cox, La festa dei folli, Milano 1971, 25.
[21] L. Wittgenstein, Note sul «Ramo d’oro» di Frazer, Milano 1975, 26.
[22] Cf. G. Agostino, Fede e pietà popolare, in Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola, Roma 1992, 11-24.
[23] E. Pironio, L’evangelizzazione in America Latina, in G. Caprile, Il Sinodo dei Vescovi 1974, Roma 1975, 152.
[24] Cf. Giovanni Paolo II, Sollicitudo Rei Socialis, (30 dicembre 1987), in AAS, 5(1988), 513-586.
[25] J. López Gay, Fondamenti teologici della religiosità popolare, in La religione popolare, Roma 1978, 105-106; cf. L. Gambero, La Madonna e la religiosità popolare, op. cit., 102.
[26] Cf. L. Maldonado, Introducciòn a la religiosidad popular, Santander 1985 (Presencia teològica, 21), 21; cf. anche V. Bo, Ricchezza e limiti della pietà popolare, in AA. VV., Liturgia e pietà popolare. Un popolo nuovo darà lode al Signore (Atti della XL Settimana Liturgica Nazionale - Taranto, 21-25 agosto 1989), Roma 1990, 69 (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae». Sectio pastoralis, 9), 63-73.
[27] G. Panteghini, La religiosità popolare..., op. cit., 175.
[28] Cf. Lettera pastorale dei Vescovi della Campania, Il culto popolare e la comunità cristiana, in Il Regno - Documenti, 19 (1974), 121.
[29] G. Agostino, Pietà popolare, in NDM, op. cit., 1114.
[30] Idem., 1114.
[31]  V. Bo, Ricchezza e limiti della pietà popolare, op. cit., 63.
[32] A.N. Terrin, Religiosità popolare e liturgia, in NDL, op. cit., 1094.
 [33] L. Gambero, La Madonna e la religiosità popolare, in Ephemerides Mariologicae, 30 (1980), 111.
[34] Il Convegno si è svolto a Roma dal 22 al 25 novembre 1976.
[35] Insegnamenti di Paolo VI, Città del Vaticano, 14(1976), 969. Queste frasi sono state riprese e sviluppate da Papa Giovanni Paolo II durante l’omelia al santuario di Zapopàn (Messico): “Si può dire che la fede e la devozione a Maria e ai suoi misteri appartengono all'identità propria di questi popoli, e caratterizzano la loro pietà popolare (...). In essa, Maria Santissima occupa lo stesso luogo preminente che occupa nella totalità della fede cristiana. Ella è la Madre, la Regina, la Protettrice e il modello. A lei si viene per onorarla, per chiederle la sua intercessione, per imparare ad imitarla, cioè, per imparare ad essere un vero discepolo di Gesù” (Giovanni Paolo II, Omelia al Santuario di Zapopàn, in L’Osservatore Romano, 1-2(1979), 5).
[36] “Il primo gennaio 2003 il documento diventa norma della diocesi e tutti vi si dovranno adeguare” (cf. S. Boccaccio, Le feste religiose in Diocesi. Orientamenti e norme, Frosinone 2003, 1).
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