Il nucleo dell’Anno liturgico è la passione e la risurrezione di Cristo. Questa azione salvifica centrale viene spesso designata dal Concilio Vaticano II come Mistero pasquale (Paschale mysterium)[1]. Mistero in senso liturgico significa l’insondabile azione salvifica divina in Cristo per gli uomini. La parola greco-latina Pascha risale all’ebraico pesach. Questa indica originariamente il passaggio dell’Angelo sterminatore che risparmia le case degli ebrei, che vivono nella schiavitù egiziana. In seguito essa viene riferita anche al passaggio di salvezza del popolo attraverso il Mar Rosso e il deserto pieno di pericoli, fino alla Terra Promessa. Pesach sta poi ad indicare anche il pasto rituale, memoriale di tutto ciò che si celebrava il 14 nisan (il plenilunio del primo mese di primavera), nel quale veniva mangiato l’«agnello di Pesach» come pasto sacrificale. Per la primitiva comunità cristiana era evidente il rapporto tra questa azione divina salvifica di un tempo e l’evento redentore di Cristo, tanto più che la crocifissione di Cristo coincise con il giorno di preparazione della festa ebraica di pasqua (cf. Gv 19, 14 e par.). Era l’ora in cui nel Tempio venivano immolati gli agnelli pasquali. Così San Paolo ispirandosi chiaramente al contenuto della festa pasquale ebraica può scrivere: “E infatti Cristo, nostra pasqua, è stato immolato!” (1Cor 5, 7; cf. Gv 19, 36; 1Pt 1, 19; Ap 5, 6.9). Egli col suo passaggio attraverso la spogliazione di sé, la passione e la morte, attraverso la risurrezione e la glorificazione, ha condotto il popolo di Dio della Nuova Alleanza alla comunione salvifica di grazia e di vita con Dio Padre (cf. Col 1, 12). Parlando del Mistero pasquale non dobbiamo pensare solo alla risurrezione il mattino di Pasqua, ma dobbiamo includere, come diceva San Agostino: “l’intero triduo santissimo del Signore crocifisso, sepolto e risorto”[2], dalla sera del Giovedì Santo alla domenica di Pasqua inclusa. Questo nucleo dell’Anno liturgico come fatto storico appartiene certo al passato, ma il suo elemento essenziale, il dono di sé e l’obbedienza fino alla morte continuano a vivere e a operare in Cristo glorificato. Poiché la sua volontà salvifica è universale egli, come Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, ne rende partecipi gli uomini di tutti i tempi, ogni volta che essi si riuniscono in assemblea per le celebrazioni liturgiche[3]. Quest’irradiamento attraverso l’Anno liturgico non può tuttavia essere inteso erroneamente come un dono di grazia operante automaticamente. Si tratta di un’offerta di grazia da parte di Dio agli uomini liberi in vista di un incontro di partecipazione, nel quale l’uomo deve portare la fede nella sua piena espressione. Ciò significa, nel senso del NT, sia professione di fede che fiducia e disponibilità alla volontà del Padre. E’ la fede che è caratterizzata dalla carità ed è operante attraverso di essa (cf. Gal 5, 6). Quando l’uomo si apre in tal modo all’offerta di salvezza di Dio, il Mistero pasquale diventa efficace e fruttuoso.
g.1) Pasqua e il suo ciclo
Però, prendendo in mano gli scritti neotestamentari, vi potete accorgere che essi non hanno ancora alcuna chiara affermazione su una celebrazione annuale del Mistero pasquale, anche se alcuni testi lasciano supporre che già la comunità primitiva celebrasse la festa ebraica di Pasqua con senso cristiano (cf. 1Cor 5, 7s.). Testimonianze chiare si hanno solo nel sec. II. Nella seconda metà di questo secolo scoppia la cosiddetta controversia pasquale. Mi spiego: mentre i cristiani dell’Asia Minore e della Siria compivano la celebrazione annuale, indipendentemente da un determinato giorno della settimana, sempre il 14 di nisan, il plenilunio del primo mese di primavera, la rimanente parte della cristianità si decise per la domenica dopo il 14 di nisan. Il concilio di Nicea del 325 pose termine a questa controversia interna della Chiesa a motivo della data pasquale con la prescrizione di celebrare sempre la Pasqua la domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Con quest’ordinamento dipendente dalle fasi lunari si accettò che questa data di Pasqua, in un computo del tempo basato sul sole, avesse un’oscillazione di cinque settimane (22 marzo - 25 aprile) e che così una gran parte dell’Anno liturgico fosse caratterizzata da feste mobili. Recenti sforzi per una fissazione (più stabile) della data di Pasqua sono rimasti finora senza esito[4]. La lingua latina come denominazione per la celebrazione annuale ha ripreso il greco Pascha (dall’ebraico Pesach), e di qui derivano anche le corrispondenti denominazioni in numerose lingue moderne (invece l’origine ad es. del termine tedesco Ostern o dell’inglese Easter è controversa)[5].
g.2) Il triduo pasquale
Originariamente la Chiesa celebrava la propria festa di Pasqua in un solo giorno e precisamente nella sola notte tra il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua[6]. Dal sec. IV, a partire da una prospettiva più storicizzante e da una forma di rappresentazione imitativa, si formò il “triduo santissimo del Signore crocifisso, sepolto e risorto”. Le celebrazioni liturgiche di questi tre giorni, dalla sera del Giovedì Santo alla Domenica di Pasqua, rappresentano da allora la vera celebrazione annuale del Mistero pasquale[7]. Poiché queste celebrazioni si erano rese molto bisognose di riforma già Pio XII dispose un rinnovamento radicale (1951 e 1955), una sostanziale anticipazione della riforma postconciliare del Messale Romano del 1970. La breve descrizione che ora farò fa riferimento al Messale Romano della CEI del 19832.
* La celebrazione del Giovedì Santo
Poiché secondo la concezione degli ebrei e in genere degli antichi il giorno si inizia la sera precedente, anche la sera del Giovedì Santo fa già parte dei tre giorni santi. Ciò si giustifica anche dal punto di vista del contenuto, poiché nell’Ultima Cena Gesù anticipa sacramentalmente il dono di sé nella morte sulla croce: cioè, durante l’Ultima Cena inizia propriamente la Passione. La Messa della Cena del Signore deve essere l’unica in questo giorno (a prescindere dalla Missa Chrismatis = Messa del Santo Crisma del vescovo nella mattina).
* La liturgia del Venerdì Santo
I primi secoli cristiani in questo giorno della morte di Gesù rinunciarono a una particolare liturgia e tennero in esso, come nel Sabato Santo, uno stretto digiuno di lutto. Verso la fine del sec. IV si conosceva a Gerusalemme, nella mattinata, l’adorazione della Santa Croce e nel pomeriggio una liturgia della Parola con la lettura della Passione. Di una liturgia della Parola riferisce anche San Agostino per il Nord-Africa. Inoltre nelle Chiese locali si svilupparono attorno ad una reliquia della croce (ad es. a Roma) delle cerimonie d’adorazione della croce. Attraverso la liturgia romana importata nei paesi franchi e l’elaborazione del Pontificale romano-germanico del sec. X, da una semplice liturgia di comunione si sviluppò lentamente la Missa praesanctificatorum senza Preghiera eucaristica. L’uso medievale di comunicare raramente portò alla pratica che solo il sacerdote comunicasse in tale Messa. In tale forma il Messale tridentino del 1570 assunse la liturgia del Venerdì Santo e la conservò per quasi 400 anni. Il nuovo ordinamento introdotto nel 1955 semplificò la tradizionale divisione in tre parti: liturgia della Parola, adorazione della croce, liturgia di comunione, e tolse il divieto della comunione dei fedeli. Il Messale Romano del 1970 ha sostanzialmente accolto tale riforma.
* La celebrazione della Veglia Pasquale
Il Sabato Santo, come giorno del riposo nel sepolcro e del digiuno di lutto, fin dai tempi antichi non ebbe alcuna liturgia propria. Col cadere dell’oscurità s’iniziava la “madre delle veglie”, cioè la santa veglia notturna a celebrazione della morte e risurrezione del Signore. La rinnovata liturgia della Veglia Pasquale si compone di lucernario, liturgia della Parola, liturgia battesimale e liturgia eucaristica e il solenne Alleluia del congedo. Le successive ore diurne della Domenica di Pasqua non avevano originariamente alcuna celebrazione eucaristica. Questa sorse solo quando verso la fine del sec. VI la Messa della risurrezione finiva già prima della mezzanotte. Del resto la pietà popolare in certi paesi si era creata negli ultimi secoli un surrogato della Veglia Pasquale perduta, nella tradizionale Celebrazione della risurrezione nel primo mattino della Domenica di Pasqua, prima che iniziasse la prima Messa. Dubbio sembra il tentativo, considerando i frequentatori della Messa solenne del giorno di Pasqua, che non hanno partecipato alla celebrazione notturna, di riprendere in tale Messa alcuni elementi della veglia. Non tutto ciò che piace a prima vista è la conclusione più sapiente (liturgicamente). I vespri di Pasqua formano la significativa conclusione del Triduo Pasquale. g.3) Il Tempo Pasquale (pentekoste) Come le grandi feste abbiano bisogno di un certo tempo di risonanza si può vedere già nel calendario liturgico ebraico, in cui 50 giorni (= sette settimane) dopo la festa di Pesach veniva celebrata la Festa delle settimane (= Shavuot) come festa della mietitura del grano e memoriale dell’Alleanza al Sinai. Corrispondentemente già il II secolo conosce il tempo pasquale dei 50 giorni (in greco Pentekoste), che secondo At 2, 1s. si compie con l’effusione dello Spirito Santo promesso, il vero frutto del Mistero pasquale. Le NG rimangono sul terreno della più antica tradizione quando affermano: “I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di Risurrezione alla domenica di Pentecoste si celebrano nell’esultanza e nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come «la grande domenica»” (n° 22). Espressione simbolica di quest’ininterrotta gioia festiva è la prescrizione di lasciare il cero pasquale come simbolo del Signore risorto, durante i 50 giorni, davanti all’assemblea, in prossimità dell’altare, e di accenderlo durante le celebrazioni. La prima settimana del tempo pasquale forma l’Ottava di Pasqua. La liturgia di quest’ottava è caratterizzata non solo dal Mistero pasquale, ma anche dall’attenzione per i neobattezzati, i quali nelle celebrazioni eucaristiche quotidiane venivano introdotti più profondamente nei misteri dei sacramenti dell’iniziazione da essi ricevuti (catechesi mistagogiche)[8]. Questa settimana si chiamava un tempo, a motivo delle vesti bianche dei neobattezzati, anche settimana in albis, e la domenica seguente domenica in albis. L’uso di celebrare la prima comunione in tale domenica risale al sec. XVIII[9]. Per sottolineare più fortemente l’unità del tempo pasquale le rispettive domeniche vengono chiamate ora domeniche di Pasqua, e la domenica in albis (ora anche la domenica della Misericordia divina) forma la seconda, mentre Pentecoste forma l’ottava domenica. Nel sec. IV sorse, il quarantesimo giorno dopo Pasqua, la festa dell’Ascensione, soprattutto ispirata ad At 1, 3. “I giorni dopo l’Ascensione, fino al sabato prima di Pentecoste, preparano la venuta dello Spirito Santo” (NG 26). In questo modo la novena di Pentecoste formatasi nel clima della pietà popolare è accolta anche nella liturgia ufficiale. Il cinquantesimo giorno dopo Pasqua = Pentecoste (dal greco pentekoste = cinquantesimo, sottinteso giorno), è la conclusione del tempo pasquale. Sempre più, tuttavia, si vide in essa la festa autonoma dell’invio dello Spirito Santo, le si diede una propria ottava e in certe parti della Chiesa un secondo e un terzo giorno festivo, e si parlò di un proprio ciclo di Pentecoste. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II si preoccupò di collegare di nuovo più saldamente questo giorno a Pasqua. Cade così anche l’ottava di Pentecoste e nei testi liturgici si fa di nuovo fortemente riferimento a Pasqua (cf. colletta e prefazio). La sequenza Veni, Sancte Spiritus è stata mantenuta obbligatoria per Pentecoste.
h)La Quaresima
Quanto allo sviluppo storico, occorre innanzitutto riferirsi al digiuno di lutto di due giorni, il Venerdì e il Sabato Santo, che nel sec. III venne esteso all’intera Settimana Santa (anche se non come digiuno pieno). Il concilio di Nicea del 325 conosce già prima del Triduo Pasquale un digiuno di 40 giorni, che a Roma iniziava la sesta domenica prima di Pasqua = prima domenica di digiuno. Poiché però non si digiunava la domenica e tuttavia si volevano avere 40 veri giorni di digiuno, si anticipò l’inizio di quattro giorni e si contarono inoltre anche il Venerdì e il Sabato Santo. Nel sec. VI per vari motivi si attribuì alle tre domeniche precedenti una particolare importanza e si diede loro il nome (con un calcolo approssimativo) di Quinquagesima (= il 50°), di Sessagesima (= il 60°) e di Settuagesima (= il 70°); le due settimane e mezza prima del Mercoledì delle Ceneri formarono così una sorta di prequaresima. Non venne richiesto il digiuno, ma il colore viola delle vesti liturgiche, e l’omissione del Gloria, dell’Alleluia e del Te Deum conferì a questo tempo un carattere penitenziale[10]. Il digiuno della Chiesa antica consisteva nel limitarsi a un pasto (la sera) e nell’astenersi dalla carne e dal vino, più tardi anche dai latticini (latte, burro, formaggio) e dalle uova. La caratterizzazione liturgico-ascetica di queste settimane era determinata essenzialmente dalle istituzioni del catecumenato (preparazione al Battesimo) e della penitenza pubblica. Nel Medioevo il motivo della passione (mistica della passione) raggiunse, in rapporto alla Quaresima nel suo insieme, un’importanza maggiore. Il nuovo ordinamento, secondo le direttive del Vaticano II (SC 109s.), venne determinato attraverso le NG 27-31. Il tempo preparatorio alla Quaresima venne lasciato cadere; i grandi temi della Quaresima relativi al contenuto (Battesimo, conversione, penitenza) e all’orientamento al Mistero pasquale vennero più fortemente accentuati. L’ingresso nella Quaresima è sempre formato dal Mercoledì delle Ceneri. Il rito dell’imposizione delle ceneri fu destinato originariamente solo ai pubblici peccatori, ma dopo l’abolizione della penitenza pubblica (sec. X) venne mantenuto per tutti i fedeli. La prescrizione secondo la quale per ottenere le ceneri si devono bruciare rami di palma dell’anno precedente, risale al sec. XII. La benedizione delle ceneri si compie dopo il Vangelo. L’imposizione che segue è accompagnata dalle parole di Gn 3, 19 o Mc 1, 15b. Il rito delle ceneri può essere compiuto anche fuori della Messa come liturgia della Parola. Le sei domeniche di Quaresima ricevono ognuna una propria caratterizzazione soprattutto attraverso il Vangelo dell’Eucaristia. Una caratteristica della quarta domenica di Quaresima (Laetare) consiste nelle vesti liturgiche di colore rosaceo (dal sec. XVI), che non devono essere collegate solo al suo carattere gioioso, ma anche all’uso papale di benedire in essa una rosa d’oro. Ciò si rifà probabilmente ad una festa primaverile romana, nella quale si andava alla liturgia portando dei fiori (sec. X). Il tema della passione trova una forte espressione nella denominazione della sesta domenica di Quaresima, che ora si chiama Domenica delle Palme e della passione del Signore. In essa la commemorazione dell’ingresso di Cristo in Gerusalemme si collega con quella della sua passione. Di una processione delle palme a Gerusalemme verso il 400 c’informa già la pellegrina Egeria[11]. In Occidente essa appare per la prima volta verso la fine del sec. VIII e assume presto elementi ludico-drammatici e folcloristici. Il nuovo Messale prevede svariate forme per la “Commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme”. La Messa è caratterizzata particolarmente dalla lettura della passione del Signore secondo i Sinottici a seconda dell’anno del ciclo. Anche i successivi giorni della Settimana Santa sono completamente contrassegnati dal tema della passione. Quanto ai rimanenti giorni feriali della Quaresima ognuno di essi ha un proprio formulario per la Messa. Le loro pericopi bibliche sono uguali ogni anno e prima lettura e Vangelo formano un’unità tematica. Con l’inizio della quarta settimana di Quaresima il Vangelo della Messa è costituito dalla lettura semicontinua di Giovanni. Mentre la sera del Giovedì Santo appartiene già al Triduo Pasquale, al mattino è prevista la Missa Chrismatis del vescovo con la benedizione degli oli occorrenti per l’amministrazione del Battesimo, della Confermazione, dell’Ordine, per l’Unzione degli infermi, per la consacrazione delle chiese e la dedicazione degli altari. Per motivi pratici questa Messa può essere celebrata anche in uno dei precedenti giorni della Settimana Santa, e precisamente come concelebrazione del vescovo col suo presbiterio, possibilmente nella chiesa cattedrale. Con questa celebrazione può essere unita anche la rinnovazione delle promesse sacerdotali.
i) Natale e il suo ciclo
i.1) Origine e liturgia della festa di Natale
Dalle liste dei giorni della morte dei vescovi romani (Depositio episcoporum) e dei martiri romani (Depositio martyrum) nel calendario di F.D. Filacalo nell’anno 354, risulta che il Natale era già celebrato a Roma il 25 dicembre dell’anno 336[12]. L’introduzione di questa festa di Cristo della città di Roma viene spiegata dall’ipotesi apologetica e storico-religiosa come la reazione della comunità romana alla festa pagana di stato del Natale Solis invicti (= festa della nascita del dio Sole invitto), che l’imperatore Aureliano introdusse nell’anno 274 a onore del dio Sole di Emesa in Siria, e con la quale egli sperava anche di consolidare il suo immenso impero. Per rendere immuni i cristiani romani da questa festa popolare la Chiesa di Roma avrebbe introdotto una festa della nascita di Cristo quale “sole della giustizia” (Mal 3, 20) e “luce del mondo” (Gv 8, 12)[13]. La cosiddetta ipotesi del computo parte dal fatto che già nel sec. III dei teologi cristiani cercarono di calcolare la data di nascita di Cristo, non ricordata nei Vangeli. Dato il diffuso simbolismo di Cristo-sole essi rivolsero una particolare attenzione agli equinozi e ai solstizi e pensarono che Giovanni Battista fosse nato nel solstizio di estate. Ma allora Cristo, secondo Lc 1, 26, doveva essere nato nel solstizio di inverno[14]. In un ponderato confronto degli argomenti delle due parti si è indotti a supporre che i tentativi di calcolo - anche se a noi oggi appaiono aprioristici e quindi sbagliati - hanno prodotto una disposizione e posto una certa premessa, ma che la festa del sole di Aureliano ha dato l’impulso decisivo. Il fatto che la nuova festa nella Chiesa di allora, poco centralizzata, si sia diffusa con così sorprendente rapidità in Occidente e in molte Chiese particolari dell’Oriente ancora nel sec. IV si spiega probabilmente, considerando anche che la lotta contro l’eresia ariana aveva messo più fortemente in risalto la persona - e non solo l’opera – dell’Uomo-Dio, e una festa della nascita di Cristo poteva dare anche un’adeguata espressione liturgica alla professione di fede di Nicea, che aveva condannato tale eresia (325). L’antico uso romano per cui il sacerdote a Natale può celebrare tre Messe è stato mantenuto anche dal nuovo MR. Questa pratica risale ad una particolarità della liturgia papale, che si era formata prima della metà del sec. VI e che con la diffusione dei libri liturgici romani fu imitata anche altrove[15]. Queste tre Messe vengono chiamate: Messa della notte, Messa dell’aurora e Messa del giorno. Alla liturgia della festa di Natale appartiene anche la Messa vespertina nella vigilia, prima o dopo i primi vespri. Queste Messe della vigilia delle feste, secondo il nuovo ordinamento, non sono più delle vigilie = veglie notturne, con carattere di penitenza e di preparazione. “Se si eccettua la veglia pasquale, che deve essere celebrata nel corso della santissima notte, col nome di «Messa della vigilia» si indica d’ora in poi la Messa che può essere celebrata nelle ore serali, con rito festivo, sia prima sia dopo i primi vespri di alcune solennità”[16] . Da numerosi testi delle Messe di Natale è evidente che anche Natale viene celebrato come una festa della nostra redenzione, anche se qui è in primo piano l’incarnazione (come concezione e nascita). In effetti ripetutamente si fa riferimento anche al Mistero pasquale. Considerando questa comunanza di contenuti con la festa di Pasqua si è avanzata la proposta di “distinguere meglio una «celebrazione pasquale della redenzione» e una «celebrazione natalizia della redenzione»[17]. Poiché la vita della vergine Maria è unita inseparabilmente col Mistero dell’incarnazione di Cristo, il suo nome è ricordato espressamente anche nelle inserzioni delle Preghiere eucaristiche I-III. Soprattutto però la sua memoria è particolarmente celebrata nel giorno dell’Ottava di Natale.
i.2) Il Tempo di Natale
Oltre a Pasqua, Natale è l’unica festa che ha conservato la sua ottava. Lo stesso giorno dell’ottava coincide con l’inizio dell’anno civile, che Gaio Giulio Cesare nell’anno 45 a .C. per la prima volta aveva spostato dal 1° marzo al 1° gennaio. Poiché i pagani celebravano tale capodanno ad onore del dio Giano bifronte, con grande sfrenatezza e con usi superstiziosi, la Chiesa in molti luoghi cercò di rendere immuni i fedeli da ciò con liturgie penitenziali[18]. A Roma vi si sostituì temporaneamente la memoria (natale) della Madre di Dio, in Spagna e nella Gallia si introdusse la festa della Circoncisione sulla base di Lc 2, 21. Solo nel sec. XIII-XIV troviamo questa festa anche a Roma, dove essa fu celebrata come Circoncisione del Signore e ottava di Natale con carattere mariano-natalizio fino alla riforma liturgica del 1960 (Codex rubricarum). Le NG ritornarono all’originario uso romano (solennità della Madre di Dio), unendovi la memoria dell’imposizione del nome di Gesù. Con buoni motivi ci si è rammaricati che l’inizio del nuovo anno celebrato solennemente presso quasi tutti i popoli abbia così poca considerazione nella liturgia. In effetti nel nuovo Messale tra le Messe in diverse circostanze della vita sociale c’è al primo posto una Messa “All’inizio dell’anno civile”, ma la rubrica che la precede sorprendentemente avverte: “Questa Messa si può celebrare nei primi giorni dell’anno, escluso il primo gennaio, solennità di Maria, Madre di Dio”. Chiaramente viene qui applicata la norma generale, per cui nelle solennità non possono essere celebrate Messe votive. Una nuova normativa sembrerebbe opportuna e urgente[19]. Già i più antichi calendari liturgici hanno una serie di feste di Santi immediatamente dopo Natale. Il Medioevo vide in questi Santi il seguito d’onore di Gesù bambino e li chiamò comites Christi (seguito di Cristo). Nella liturgia romana si tratta del protomartire (= primo martire) Stefano, il 26 dicembre, dell’apostolo ed evangelista Giovanni, il 27 dicembre e degli Innocenti di Betlemme uccisi da Erode, il 28 dicembre. Il 29 dicembre ricorre la memoria facoltativa del vescovo e martire Tommaso Becket di Canterbury, e il 31 quella del papa Silvestro I. La domenica nell’ottava si celebra la festa della Sacra Famiglia. Tuttavia se Natale e la sua ottava cadono in una domenica, allora essa è celebrata il 30 dicembre. Si tratta di una recente festa di devozione, che si è diffusa nel sec. XIX soprattutto dal Canada e che venne caldamente patrocinata da Leone XIII (dal 1920, nella prima domenica dopo l’Epifania). * Solennità dell’Epifania del Signore Una festa rilevante nel Tempo di Natale è la solennità dell’Epifania del Signore, il 6 gennaio (il nome deriva dal greco epiphanias = manifestazione). Le sue prime tracce si trovano già all’inizio del sec. III ad Alessandria. Molte cose fanno pensare che la scelta della data sia stata influenzata da una festa pagana (giorno della nascita del dio Eone). Si tratta dell’originaria festa della nascita di Gesù nella Chiesa orientale, alla quale si unì ben presto la memoria del suo battesimo (per questo è anche importante data battesimale) e del primo miracolo di Gesù alle nozze di Cana [20]. Nella seconda metà del sec. IV si ebbe, come già notato a proposito di Natale, l’accoglienza da entrambe le parti della festa della nascita, orientale e occidentale, e precisamente in modo tale che l’Oriente celebrava il 25 dicembre la nascita di Gesù e la venuta dei Magi, mentre dedicava il 6 gennaio alla memoria del Battesimo di Gesù e delle nozze di Cana, e in tal giorno celebrava il battesimo; l’Occidente invece il 6 gennaio celebrava la venuta dei Magi, il Battesimo di Gesù e il suo primo miracolo quali segni chiari della sua manifestazione. Nella gerarchia delle feste l’Epifania, nella Chiesa occidentale, era la seconda festa dell’anno liturgico (doppio di prima classe con ottava privilegiata di secondo ordine). Oggi essa è solennità senza ottava, e dove il 6 gennaio non è giorno festivo essa viene trasferita alla domenica tra il 2 e il 18 gennaio (NG 37). Nella pietà popolare del Medioevo i tre santi re Magi presero un tale rilievo che l’Epifania fu chiamata festa dei re Magi e considerata quasi una festa di Santi. Dal 1960 la memoria del Battesimo di Gesù, da sempre componente importante della festa dell’Epifania, è stata elevata a festa indipendente (dapprima ottava dell’Epifania). Si volle così mettere particolarmente in rilievo il suo significato storico-salvifico come rivelazione della filiazione divina di Gesù, la sua unzione con lo Spirito Santo per il compito messianico all’inizio della sua attività pubblica, e la santificazione dell’acqua come segno del perdono dei peccati nel Battesimo. Le NG hanno collocato tale festa nell’ottava dell’Epifania. Se l’Epifania, nella prospettiva della norma citata, viene spostata alla domenica 7 o 8 gennaio, allora la festa del Battesimo del Signore viene celebrata il lunedì seguente[21]. Con questa festa termina il Tempo di Natale. La settimana seguente conta già come la prima delle 33 o 34 domeniche del tempo ordinario.
i.3) L’Avvento come tempo di preparazione natalizio
Anche alla festa di Natale è premesso un tempo di preparazione, che dalla parola latina adventus = venuta (del Signore Gesù Cristo) chiamiamo Avvento. Le sue prime tracce si ritrovano in Gallia e in Spagna, dove l’Epifania, a motivo dello stretto collegamento con Bisanzio, fu la più antica festa della nascita di Cristo e per un certo tempo anche un’importante data battesimale. Come la veglia pasquale anche questa data battesimale fu provvista di un tempo di preparazione di quaranta giorni. Poiché secondo l’uso orientale il sabato non era giorno di digiuno esso comprese otto settimane e cominciò il giorno dopo l’11 novembre (Quadragesima sancti Martini)[22]. Il Sacramentario della città di Roma, di Gregorio I (Gregoriano – IX sec.) conosce quattro Messe domenicali e tre Messe delle Tempora con caratteristiche d’Avvento. Al centro di esse si trova non il ritorno di Cristo alla fine dei tempi, ma la sua venuta nella carne. Le cose erano diverse in Gallia, dove sotto l’influsso dei missionari irlandesi in primo piano c’era l’attesa escatologica, e l’Avvento divenne tempo penitenziale (vesti liturgiche viola, omissione del Gloria, dell’Alleluia e del Te Deum). Alcuni di questi elementi nel sec. XII penetrarono nella liturgia romana. Roma tuttavia attraverso la conservazione dell’Alleluia festivo ha dato a capire di non vedere nell’Avvento alcun vero tempo penitenziale. La soluzione romana di quattro domeniche d’Avvento s’impose solo lentamente. Il rito ambrosiano (in Lombardia) ha oggi ancora sei domeniche d’Avvento. Le NG vedono il senso dell’Avvento sia come preparazione al Natale sia come attesa della venuta del Signore alla fine dei tempi. “Per questi due motivi il tempo di Avvento si presenta come tempo di devota e gioconda attesa” (n° 39). Con più precisione vengono distinte due fasi dell’Avvento: il tempo dal 17 al 24 dicembre è ordinato in modo particolare alla celebrazione della festa di Natale, la parte che precede invece, più al ritorno escatologico[23]. In entrambe le parti però si affermano tutt’e due gli aspetti. Non si parla affatto di un tempo penitenziale. Già nel CIC del 1917 non si richiedeva più di un digiuno d’Avvento. La liturgia della Messa delle quattro domeniche è determinata essenzialmente dal loro Vangelo: a tale tematica sono riferiti in minore o maggiore misura gli altri testi. Sono preferite le letture di Isaia e i brani relativi a Giovanni Battista. Entrambi sono i veri “predicatori dell’Avvento”. Una particolarità è presentata dalla terza domenica d’Avvento (Gaudete), la quale con il suo carattere gioioso e le vesti liturgiche di colore rosaceo rappresenta una specie di parallelo con la quarta domenica di Quaresima. La liturgia della Messa dei giorni feriali d’Avvento possiede per ogni giorno della seconda fase dell’Avvento il suo Proprio. Per i giorni feriali che precedono c’è una serie settimanale che si ripete, così che ad es. ogni lunedì ha lo stesso Proprio eccettuata la Colletta e le letture bibliche, che presentano ogni giorno testi particolari. I giorni feriali tra il 17 e il 23 dicembre hanno ricevuto un particolare arricchimento in quanto le famose antifone della liturgia delle ore (Magnificat) sono state inserite nei rispettivi formulari come versetti del canto al Vangelo. Esse uniscono ogni volta un appello elogiativo all’atteso Messia ad una invocazione della sua venuta soccorritrice.
i.4) Due feste natalizie fuori del ciclo
In connessione tematica con il mistero dell’incarnazione sono due feste, che finora erano trattate per lo più come feste mariane, ma che per i misteri celebrati sono da considerare più come feste di Cristo, e che perciò nel nuovo ordinamento hanno conosciuto un cambiamento di nome.
* La festa della Presentazione del Signore (2 febbraio), 40 giorni dopo il Natale, si fonda sui fatti riferiti in Lc 2, 22-39 e nei quali in realtà protagonista è più Gesù che sua madre. In Oriente questa festa, della quale parla già la pellegrina Egeria, ha ricevuto il nome festa dell’incontro (greco: hypapanté): incontro di Gesù con il tempio, con Simeone e Anna. A Roma a questa festa, della quale si hanno testimonianze già dal sec. V, si unì presto una processione con candele attraverso la città, che doveva sostituire un’antica processione espiatoria, che veniva tenuta ogni cinque anni all’inizio di febbraio come processione cittadina ( = Amburbale). Il suo carattere penitenziale era ricordato dal colore viola delle vesti liturgiche, prescritto fino al 1960. Le candele portate in processione ricordano la parola di Simeone su Cristo come “luce per illuminare le genti”. La loro benedizione sorse in Gallia già prima del passaggio al secondo millennio. Il nome ufficiale, fino al 1969, di Purificazione di Maria (Purifcatio BMV) deve essere considerato come inadeguato. La festa popolarmente viene chiamata con il nome Candelora.
* La Solennità dell’Annunciazione del Signore (25 marzo), nove mesi prima della festa della nascita di Cristo, ha per oggetto l’incarnazione del Figlio di Dio nel grembo di Maria. In Oriente essa è testimoniata la prima volta al sec. VI, in Occidente, al sec. VII, se si eccettuano certi indizi precedenti[24]. Poiché il 25 marzo cade per lo più in Quaresima, la festa non poté avere grande affermazione. Se essa viene a cadere nella Settimana Santa o - in casi rari - nella Settimana di Pasqua, viene trasferita al lunedì dopo l’ottava di Pasqua. Le NG hanno preferito la denominazione, già conosciuta anche precedentemente, di Annunciazione del Signore; però anche il nome di Annunciazione di Maria è pienamente significativo con riferimento a Lc 1, 26-38. Qualunque sia il significato dell’oggetto della festa non si dovrebbe dimenticare che l’incarnazione fu da sempre già oggetto della festa di Natale.
j) Il Tempo Ordinario
j.1) La nuova divisione
Il tempo tra i due grandi cicli festivi viene chiamato tempo ordinario o tempo per annum. Esso, insieme con i cicli festivi, forma il Temporale o Proprio del tempo. Si tratta di 33 o 34 settimane, che si articolano in due sezioni con numerazione continua: dal lunedì dopo la festa del Battesimo del Signore al Mercoledì delle Ceneri, e dal lunedì dopo Pentecoste all’Avvento. In questo computo le domeniche del Battesimo del Signore e di Pentecoste valgono (in modo del tutto fittizio) come domeniche del tempo ordinario. Se un anno ha solo 33 domeniche ordinarie, si salta quella settimana che seguirebbe immediatamente Pentecoste. Viene così garantito che i testi liturgici (nella Messa e nella Liturgia delle Ore) delle settimane 33 e 34, con il loro carattere escatologico, non debbano mai venire a cadere.
j.2) Solennità mobili del tempo ordinario
Nel secondo millennio dell’era cristiana si sono formate nell’ambito del tempo ordinario quattro solennità, dipendenti dalla data della Pasqua e quindi mobili. Sono le solennità della Trinità, del Corpo e del Sangue di Cristo, del Sacratissimo Cuore di Gesù e di Cristo Re. Tutte hanno in comune di essere il prodotto dell’atteggiamento devozionale di un’epoca, e sono da considerare come feste di devozione. * La solennità della SS.ma Trinità Nel clima della difesa dall’arianesimo si sviluppò, specialmente in Spagna e in Gallia, una particolare accentuazione della fede nella Trinità nella predicazione e nella pietà, per la quale si hanno molte testimonianze nel sec. VI-VII. Verso la metà del sec. VIII appare nel Sacramentario Gelasiano Antico l’attuale prefazio della Trinità, una formulazione breve della teologia classica della Trinità. Verso l’800 s’incontra per la prima volta una Messa votiva della Trinità per le domeniche, alle quali si cerca ora di dare una più forte impronta trinitaria. Una festa della Trinità la domenica dopo Pentecoste fu forse celebrata già prima del 1000 nei monasteri benedettini franco-gallicani. Roma s’oppose durevolmente alla nuova festa, ma infine il papa Giovanni XXII nel 1334 durante l’esilio di Avignone la introdusse per tutta la Chiesa. Per la sua collocazione alla domenica dopo Pentecoste essa può essere interpretata come uno sguardo retrospettivo riconoscente sul mistero della salvezza compiuto, mistero che, secondo la teologia dei Padri, il Padre opera attraverso il Figlio nello Spirito Santo[25].
* La solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo
Essa viene celebrata il giovedì (o la domenica) dopo la festa della Trinità. La sua origine deve essere rapportata con il culto del sacramento dell’altare, che si sviluppa potentemente nel sec. XII. Tale culto riguardava, più che una celebrazione appropriata dell’Eucaristia, la presenza reale e permanente di Cristo nel pane consacrato. Ad esso si unì un grande desiderio di vedere l’Ostia, che portò tra l’altro all’elevazione dell’Ostia consacrata dopo la consacrazione, testimoniata la prima volta per Parigi verso il 1200. Una visione della monaca agostiniana beata Giuliana di Liegi, che si ripeté più volte a partire dal 1209, divenne in questa situazione l’impulso efficace per l’introduzione di una particolare festa in onore del SS. Sacramento. Il vescovo Roberto di Liegi la introdusse la prima volta nella sua diocesi nel 1246; nel 1264 il papa Urbano IV la prescrisse per tutta la Chiesa. San Tommaso d’Aquino, su desiderio dello stesso papa, compose probabilmente i testi per la Messa e per il Breviario, anche se a dire il vero oggi la sua esclusiva paternità dei magnifici inni dell’Ufficio del Breviario viene messa in dubbio. La morte del papa, seguita nello stesso anno, ritardò la diffusione della festa, la quale entrò in vigore per tutta la Chiesa solo sotto Giovanni XXII con la pubblicazione della bolla d’indizione di Urbano IV nelle Decretali clementine[26]. La nuova denominazione della festa, che menziona espressamente anche il sangue di Cristo, ha reso superflua la festa del Preziosissimo Sangue, che era stata introdotta da Pio IX nel 1849 in ringraziamento per il suo ritorno dall’esilio (ultimamente era celebrata il primo luglio): si tratta infatti di un doppione evidente. Una processione del Corpus Domini è testimoniata la prima volta a Colonia tra il 1274 e il 1279. Ancora nel sec. XIV essa trova nella maggior parte dei paesi un’accoglienza entusiasta e una messa in opera fastosa. In essa l’Ostia consacrata viene portata in un ostensorio. In certi paesi le vengono uniti elementi delle processioni delle rogazioni. Si compiono delle tappe a quattro altari all’aperto e in esse vengono cantati gli inizi dei quattro Vangeli in direzione dei quattro punti cardinali, vengono fatte delle preghiere di intercessione e viene impartita la benedizione sacramentale. Specie nell’epoca barocca questa processione si sviluppa in un giorno di splendore trionfalistico e sfarzoso. La Congregazione dei Riti dichiarò nel 1959 che la processione del Corpus Domini non deve essere considerata come atto ufficiale della liturgia romana, ma che come pio esercizio cadeva sotto la competenza dei vescovi[27]. Un disagio diffuso nei confronti della forma tradizionale della processione del Corpus Domini portò nei decenni dopo il Concilio Vaticano II a tentativi di messa in opera diversa ad es. come solenne celebrazione dell’Eucaristia in pubbliche piazze, alla quale le singole parrocchie di una città si portavano processionalmente (cf. le liturgie stazionali dell’antica Roma) “per sentirsi, nel «sacramento dell’unità», grande comunità con Cristo e l’uno con l’altro”[28]. Più recentemente si moltiplicano però le voci a favore di un mantenimento o di un ripristino della processione teoforica.
* La solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù
In questa solennità fissata per sé al 3° venerdì dopo Pentecoste, il giorno più vicino all’ottava del Corpus Domini, troviamo una tipica festa di devozione, la quale onora l’Uomo-Dio dal punto di vista del suo amore simbolizzato nel cuore. Spunti di un tale culto si trovano già presso i Padri, che si richiamano specialmente a luoghi del Vangelo di Giovanni (ad es. 7, 37; 19, 34). Ad essi s’riallacciarono teologi del Medioevo, sporadicamente già nel sec. XII, ma soprattutto nel sec. XIII. Specialmente la mistica dei secc. XIII e XIV ha dato un forte impulso a questo culto, attraverso personalità come Metilde di Magdeburgo, Geltrude di Hefta, Enrico Susone. Più tardi la Devotio moderna e nel sec. XVI l’Ordine dei Gesuiti si sono particolarmente presi a cuore questa devozione. Nel sec. XVII con gli oratoriani francesi di P. Bérulle (†1629) e San Giovanni Eudes (†1680) si giunse ad un altro momento culminante. San Giovanni Eudes fu anche colui che con il permesso del suo vescovo celebrò per primo una festa a onore del Cuore di Gesù nelle chiese della sua comunità (20 ottobre 1672). Tra il 1673 e il 1675 Santa Margherita Maria Alacoque, dell’Ordine della Visitazione, ebbe a Paray-le-Monial molte visioni, nelle quali Cristo la incaricò di adoperarsi per l’introduzione di una festa del Cuore di Gesù il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini, e per la diffusione dei primi venerdì del mese e dell’ora santa. Roma si oppose per quasi 100 anni; solo Clemente XIII nel 1765 permise ai vescovi polacchi e all’arciconfraternita romana del Sacro Cuore di Gesù di celebrare tale festa. Pio IX nel 1856 la introdusse come obbligatoria per tutta la Chiesa. Leone XIII nel 1899 ne alzò il grado e all’avvicinarsi dell’inizio del nuovo secolo ordinò la consacrazione del mondo al Sacratissimo Cuore di Gesù[29]. Un rifacimento della liturgia della festa si ebbe nel 1928 sotto Pio XI, unita ad un altro innalzamento di grado. Per la celebrazione del primo centenario dell’estensione della festa a tutta la chiesa, papa Pio XII nel 1956 pubblicò l’Enciclica dedicata al Sacro Cuore, Haurietis aquas[30]. Soprattutto il Giansenismo e i teologi dell’Illuminismo hanno contrastato fortemente il culto del Sacro Cuore. Anche nel nostro secolo si sono avute riserve espresse più o meno apertamente, delle quali anche Pio XII si é occupato diffusamente nell’Enciclica sopraccitata. Molte esitazioni fondate su malintesi possono essere superate se s’intende la parola cuore come una parola o un concetto primordiale nel senso di Karl Rahner: “poiché quando gli scritti, la dottrina e la prassi della Chiesa parlano del Cuore di Gesù presuppongono quella accezione primordiale e universale di cuore che indica il nucleo intimo e originario della totalità psicofisica della persona. L’oggetto del culto al Sacro Cuore è quindi il Signore con riferimento al suo Cuore visto in questa luce”[31]. Altre forme del culto al Sacro Cuore si trovano nella pratica dei primi venerdì del mese e nella cosiddetta Ora santa la sera precedente gli stessi. Per i primi venerdì del mese Leone XIII approvò nel 1899 una speciale Messa votiva. In molte parrocchie le due pratiche, con una catechesi e una Messa in opera adeguata e opportuna, hanno da tempo dato prova del loro valore pastorale.
* Solennità di Cristo Re
Occasione per l’introduzione di questa recente festa d’idea da parte di Pio XI nell’anno 1925 fu la celebrazione del 1600° anniversario del primo Concilio Ecumenico di Nicea. Nella sua Enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925 il papa sviluppò l’idea che il mezzo più efficace di salvezza contro le forze devastatrici dell’epoca era il riconoscimento della regalità di Cristo[32]. Come data della festa il papa scelse l’ultima domenica d’ottobre, in considerazione della successiva festa di Tutti i Santi. In essa doveva aver luogo anche l’annuale consacrazione al cuore del Redentore. Anche se la nuova festa dapprima incontrò un’accoglienza entusiasta, sorsero ben presto dei dubbi perché la festa d’idea s’esprime già in modo organico in altri giorni dell’anno liturgico come in Avvento, a Natale, all’Epifania, a Pasqua, all’Ascensione e anzi in ogni domenica in quanto giorno celebrativo del Kyrios = Cristo. E’ certo un progresso che il nuovo ordinamento abbia spostato questa “solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo”, come suona la denominazione completa della festa nel Messale della CEI, all’ultima domenica dell’Anno liturgico, che per il suo carattere escatologico sottolinea l’idea che il Signore glorificato è il punto centrale dell’universo e della vita cristiana.
j.3) Altre feste del tempo ordinario
* Festa della Trasfigurazione del Signore (6 agosto)
Alla base d’essa sono i racconti dei Sinottici, che concordano per l’essenziale (Mt 17, 1-8 e par.). Mentre una tale festa era conosciuta nelle Chiese orientali già nel sec. V, essa fu introdotta per tutta la Chiesa occidentale solo nel 1457 da Callisto III, e precisamente a grata memoria della vittoria sui Turchi nell’anno 1456.
* Festa dell’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre)
Essa ha origine a Gerusalemme. Ivi, il 13 settembre del 335 venne dedicata la doppia basilica della Risurrezione e della Crocifissione (Anastasis e Martyrium). Il giorno seguente il vescovo di Gerusalemme innalzò la grande reliquia della Croce e la presentò alla venerazione del popolo (Exaltatio crucis = esaltazione della croce). Questa seconda festa superò ben presto come importanza la festa vera e propria della dedicazione, e trovò vasta diffusione. In Occidente si determinò attorno a questa festa una certa confusione. La liturgia gallicana infatti celebrò una festa della croce il 3 maggio (dal sec. VIII). Questo era il giorno nel quale l’imperatore Eraclio nel 628 aveva riportato a Gerusalemme la reliquia della Croce rapita dai Persiani. Anche questa festa fu accolta nel calendario liturgico romano; a Roma a motivo della reliquia della croce ivi conservata (basilica della S. Croce di Gerusalemme) già era celebrata solennemente il 14 settembre. Invertendo le connessioni storiche, si chiamò la festa del 3 maggio Invenzione della Croce (il ritrovamento da parte di Elena è testimoniato per il 14 settembre) e la festa del 14 settembre Esaltazione della Croce, pensando però alla reliquia della Croce riportata dall’imperatore Eraclio. Sotto Giovanni XXIII la festa del 3 maggio venne soppressa (1960). Le NG hanno confermato quest’abolizione e hanno ridato alla festa della Croce del 14 settembre il suo senso originario[33].
* Festa della Dedicazione della Chiesa
Impulsi per una solenne celebrazione anniversaria della dedicazione di una chiesa vennero sicuramente anche da 1Mac 4, 59 e dalla tradizione pagana, nella quale era comune la celebrazione del natale templi. Il più antico testimone della dedicazione di una chiesa cristiana è lo storico ecclesiastico e vescovo Eusebio di Cesarea, il quale nel 314 aveva dedicato la chiesa episcopale di Tiro celebrando l’Eucaristia e tenendo un’omelia[34]. Siamo informati per Gerusalemme verso l’anno 400[35] che anche l’anniversario della dedicazione di una chiesa era celebrato solennemente. Queste feste della dedicazione di una chiesa avevano dapprima solo un’importanza locale. Eccezioni esistenti ancor oggi sono le feste della dedicazione delle basiliche romane di San Giovanni in Laterano (9 novembre), di San Pietro in Vaticano (18 novembre), di San Paolo fuori le Mura (ugualmente il 18 novembre) e di Santa Maria Maggiore (5 agosto). Particolare importanza per ciascuna diocesi ha la festa della dedicazione della rispettiva cattedrale, la quale è celebrata in tutte le parrocchie come festa propria della diocesi e, nella cattedrale stessa, come solennità. Il giorno della dedicazione delle altre chiese, se conosciuto, è celebrato alla sua data come solennità. Se esso non è conosciuto, viene celebrato come solennità nella commemorazione annuale comune fissata per ogni diocesi.
* Le Quattro Tempora
S’intendono con questo nome il mercoledì, venerdì e sabato di quattro settimane nel corso dell’anno, che coincidono approssimativamente con l’inizio delle quattro stagioni e che vennero designate a Roma, a partire dal sec. VIII, come Quattro Tempora = quattro tempi. Si tratta di una specifica istituzione romana, che rimase sconosciuta in Oriente. La sua origine non è chiarita definitivamente[36]. Recenti ricerche individuano le radici di questi giorni di digiuno in corrispondenti disposizioni veterotestamentarie sul digiuno; devono aver avuto qui un ruolo particolare Zc 8, 19 e Gl 2, 12-19: una supposizione confermata soprattutto dalle omelie sulle Tempora di Leone I[37]. Diversità di data in Occidente furono eliminate da papa Gregorio VII nel sinodo romano del 1078. Da allora valse la norma che inizio delle Tempora è di volta in volta il mercoledì dopo la prima domenica di Quaresima, dopo Pentecoste, dopo l’Esaltazione della Croce e dopo la festa di Santa Lucia. Da diverse testimonianze storiche e liturgiche, il loro significato risulta essere quello di un particolare sforzo ascetico all’inizio delle quattro stagioni specialmente nell’ambito della terna: preghiera, digiuno ed elemosina. Nello stesso tempo i giorni delle Tempora costituivano un ringraziamento per i diversi raccolti nel corso dell’anno e, a partire dal sec. V, servirono alla preparazione e all’amministrazione degli Ordini sacri. In epoca più recente si aggiunse la preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose. Il nuovo ordinamento della celebrazione delle Tempora mantiene fondamentalmente i giorni delle Tempora, rimette però la determinazione della loro data e della loro messa in opera alle Conferenze episcopali, affinché si possa meglio tenere conto delle situazioni locali (NG 46). Quanto al significato, il commento ufficiale alle NG sottolinea che gli attuali problemi mondiali della pace, della giustizia e della fame danno alle pratiche periodicamente ricorrenti della penitenza e della carità cristiana un senso particolare. In applicazione della direttiva citata e tenuta presente la situazione locale, la CEI in Precisazioni su alcune ricorrenze dell’Anno liturgico ha stabilito che: “La tradizione delle «Quattro Tempora», originariamente legata alla santificazione del tempo nelle quattro stagioni, può essere opportunamente ravvivata con momenti di preghiera e di riflessione che pongano in rilievo il mistero di Cristo nel tempo. In tali occasioni si potrà ad esempio usare qualche formulario particolare di preghiera universale o dei fedeli o anche, nel Tempo Ordinario, valersi dei formulari delle Messe per varie necessità nei giorni del cambio della stagione»[38].
* La celebrazione del Giovedì Santo
* La liturgia del Venerdì Santo
* La celebrazione della Veglia Pasquale
h)
i.1) Origine e liturgia della festa di Natale
j.1) La nuova divisione
* La solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù
* Festa della Trasfigurazione del Signore (6 agosto)
[2] S. Agostino, Epist. 55, 24, in Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, Wien 1866s., v.34/2, 195.
[3] Cf. J. Pascher, Mysterium paschale - Das Ostergeheimnis im liturgischen Jahr, in A. Hänggi (a cura di), Gottesdienst nach dem. Konzil..., Mainz 1964, 80-94.
[4] Diffusamente in A. Adam, Das Kirchenjahr…, op. cit., 53-56; con ulteriore bibliografia.
[5] Ivi, 70.
[6] Bibliografia più importante: O. Casel, Art und sinn der ältesten christlichen Osterfeier, in Jahrbuch für Liturgiewissenschaft, 14(1938), 1-78; B. – J. Wagner (a cura di), Paschatis Sollemnia, Basel 1959; H. Becker, Osterfeier-Osterglaube-Ostererfahrung, in Trierer theologische Zeitschrift, 88(1979), 1-18.
[7] Cf. Norme Generali per l’ordinamento dell’Anno liturgico e del Calendario, Roma 1969, n. 18s. Useremo abbreviazione NG.
[8] Il più antico esempio conosciuto sono le omelie pasquali di Asterio Sofista, le più famose sono le cinque catechesi mistagogiche di Cirillo (Giovanni?) di Gerusalemme. Si veda: A. Adam, Das Kirchenjahr..., op. cit., 76 [trad. it., L'anno..., 95-96].
[10] Si veda: A. Adam, Das Kirchenjahr..., op. cit., 97 [trad. it., L'anno..., 103].
[11] Cf. Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, Città nuova editrice, Roma 1985 (Collana di testi patristici, 48).
[13] Cf. H. Frank, Frühgeschichte und Ursprung des römischen Weinachtsfestes im Lichte neuerer Forschung, in Archiv für Liturgiewissenschaft, 2(1952),1-24.
[14] L. Duchesne, Origines du culte Chrétien, Paris 19255 ; H. Engberding, Der 25 Dezember als Tag der Feier der Geburt des Herrn, in Archiv für Liturgiewissenschaft, 2(1952), 25-43.
[16] Commento alle NG I, II.1. Una Messa di questo genere esiste anche per Pentecoste e per le solennità della Nascita di San Giovanni Battista, degli apostoli Pietro e Paolo e dell’Assunzione di Maria in cielo (ivi).
[17] R. Berger, Ostern und Weinachten. Zum Grundgefüge des Kirchenjahres, in Archiv für Liturgiewissenschaft, 7(1963), 19.
[18] Cf. A. Adam, Das Kirchenjahr..., op. cit., 117 [trad. It., L’anno..., 145].
[19] Cf. R. Schwarzenberger, Die liturgische Feier des 1. Januar…, in Liturgisches Jahrbuch, 20(1970, 216-230; Id., Die Liturgie ist für die Menschen da, in Gottesdienst, 4(1970), 185-187.
[20] Cf. K. Holl, Der Ursprung des Epiphaniefestes, in Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wìssenschaften, 1917, 402-438; F. Nikolasch, Zum Ursprung des Epiphaniefestes, in Ephemerides Liturgicae, 82(1968), 393-429.
[21] Cf. Notitiae, 13(1977), 477.
[22] Sulla storia dell’Avvento: W. Croce, Die Adventsliturgie im Lichte der geschichtlichen Entwicklung, in Zeitschrift für katholische Theologie, 70(1954), 257-296, 440-472; J.A. Jungmann, Advent und Voradvent, in Id., Erbe..., 232-294.
[23] NG 42 e Commento.
[25] A. Klaus, Ursprung und Verbreitung der Dreifaltigkeitsmesse, Werl 1938; inoltre si veda: P. Browe, Zur Geschichte des Dreifaltigkeitsfestes, in Archiv für Liturgiewissenschaft, 1(1950), 65-81.
[26] Cf. P. Browe, Die Ausbreitung des Fronleichnamsfestes, in Jahrbuch für Liturgiewissenschaft, 8(1928), 142s.; Id., Die Verehrung der Eucharistie im Mittelalter, München 1933.
[28] A.A. Häussling, Leitideen für Fronleichnam heute, in Gottesdienst, 3(1969), 78s.
[29] Cf. Leone XIII, Enciclica «Annum sacrum», in ASS, 31(1899), 646-651.
[30] In: AAS, 48(1956), 309-353. Sulla storia del culto al Sacro Cuore informano tra gli altri: J. Stierli, Cor Salvatoris..., Freiburg i.Br. 1954; A. Bea - H. Rahner (a cura di), Cor Jesu..., Roma 1959, vv. I-II; sulla teologia del culto: K. Rahner, Herz-Jesu-Verehrung, in Schriften zur Theologie III, Einsiedeln 1956, 377-415 [trad. it., Alcune tesi per una teologia delle devozioni al S. Cuore di Gesù, in Saggi di Cristologia e di Mariologia, Paoline, Roma, 277-316].
[32] AAS, 17(1925), 593-610.
[33] Documentazione storica: tra gli altri in M. Righetti, Manuale di storia liturgica, Milano, v. II, 261.
[34] Historia Ecclesiae, X, 4, in Dal Ton (a cura di), Eusebio. Storia ecclesiastica, Roma 1964, 734-768.
[35] Egeria, Pellegrinaggio…, op. cit., cap. 48s
[37] Di Leone I sono state tramandate 25 omelie sulle Tempora; documentazione in A. Adam, Das Kirchenjahr..., op. cit., 154s. [trad. It., L’anno..., 161].154 s. [trad. it., L'anno..., 193s.].
[38] Bibliografia recente in: G. Langgärtner, Erneuerung der Quatember…, Würzburg 1976; W. von Arx, Geistliche Erneuerung..., in Gottesdienst, 14(1980), 126s.