I. Introduzione alla liturgia (CCC 1066-1075)
1. Perché la liturgia?
Nel Credo che recitiamo durante Eucaristia, la Chiesa confessa il grande Mistero della Santa Trinità e il suo disegno su tutta la creazione: il Padre dona il suo Figlio e il suo Spirito Santo per la salvezza del mondo e per la gloria del suo Nome.
Questo è il Mistero di Cristo (cf. Ef 3, 4), rivelato e realizzato nella storia secondo un piano, una "disposizione" sapientemente ordinata che san Paolo chiama "l’Economia del Mistero" (Ef 3, 9) e che la tradizione patristica chiamerà "l’Economia del Verbo incarnato" o "l’Economia della salvezza".
Nella Sacrosanctum Concilium, al n° 5 leggiamo: "Quest’opera della Redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del Mistero pasquale della sua beata Passione, Risurrezione da morte e gloriosa Ascensione, Mistero col quale «morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ci ha ridonato la vita». Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa".
Per questo, nella Liturgia, la Chiesa celebra ed annuncia principalmente il Mistero pasquale per mezzo del quale Cristo ha compiuto l’opera della nostra salvezza.
2. Che cosa è la liturgia?
"La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa, e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore" (SC 10). Di conseguenza, non c’è azione più alta ed efficace che la Chiesa possa compiere.
La parola greca leiturgía (verbo: leiturgéin) è composta dal sostantivo érgon (= opera) e dall’oggettivo léitos (attinente il popolo; derivato da leós, ionico laós = popolo). Tradotto letteralmente leiturgía significa quindi opera-del-popolo o opera-pubblica. Si intendono con ciò i servizi prestati per il bene del popolo; più tardi con questa parola si intese qualunque prestazione di servizio e poi, a partire dal II sec. a.C., anche il servizio cultuale.
La traduzione greca dell’Antico Testamento (Settanta, circa 250-150 a.C.) usa il termine per il servizio nel Tempio da parte dei sacerdoti e leviti. In questo senso la parola ricorre più volte anche nel Nuovo Testamento (cf. Lc 1, 23; At 13, 2; Eb 9, 21; 10, 11); viene però usata anche in altri sensi, come per l’attività caritativa (cf. 2Cor 9, 12; Rm 15, 27; Fil 2, 25), per l’annuncio del Vangelo (cf. Rm 15, 16; Fil 2, 14-17.30) e il servizio degli angeli per le comunità (cf. Eb 1, 7.14). Una volta Cristo viene chiamato "liturgo del santuario e della vera tenda" (Eb 8, 2; il testo della CEI usa la parola "ministro" invece in greco abbiamo la parola "leiturgós"), e la sua mediazione "liturgia" (Eb 8, 6; anche qui il testo della CEI usa il termine "ministero", invece quello greco "leiturgías").
Da osservare che in tutti questi casi, si tratta del servizio di Dio e degli uomini. Nella celebrazione liturgica, "la Chiesa è serva, a immagine del suo Signore, l’unico «Liturgo» (cf. Eb 8, 2.6), poiché partecipa del suo sacerdozio (culto) profetico (annuncio) e regale (servizio della carità)" (CCC 1070).
Nell’epoca postapostolica il termine leiturgía viene a definire il servizio sia per Dio che per la comunità.
Pian piano, in Oriente di lingua greca, l’uso di questa parola si restringe però alla celebrazione dell’Eucaristia, un significato che ivi si è mantenuto fino ad oggi. In Occidente, invece, la parola dapprima è sconosciuta, e in suo luogo vengono usate per indicare le azioni liturgiche numerose espressioni latine (ad es. ministerium, opus, ritus, actio, celebratio, cultus, sacamentum ecc.). Solo nel sec. XVI "liturgia" viene introdotta anche nella Chiesa occidentale; e nei secoli XVIII-XIX viene adottata anche dalle chiese della Riforma.
Riassumendo: Il termine "liturgia", nella tradizione cristiana, vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio (cf. Gv 17, 4). "Attraverso la Liturgia Cristo, nostro Redentore e Sommo Sacerdote, continua nella sua Chiesa, con essa e per mezzo di essa, l’opera della nostra Redenzione" (CCC 1069).
3. Quale è l’essenza della liturgia?
Per cogliere quest’essenza, tralasciando la storia, partiamo subito dalle affermazioni del Concilio Vaticano II, e precisamente dalla Sacrosanctum Concilium: "Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della missione sacerdotale di Gesù Cristo, mediante la quale con segni sensibili viene significata e, in modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione dell’uomo, e viene esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado" (SC 7).
Da queste affermazioni risulta chiaro che nella liturgia non si tratta in primo luogo di uno sforzo umano, ma della redenzione – compiuta da Dio in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo – che continua ad operare (cf. SC 6).
Spero che ora capiamo un po’ meglio che nella liturgia l’iniziativa parte da Dio e che il suo protagonista ed attore principale è il sommo sacerdote Cristo. Per questo la liturgia è primariamente un evento di grazia, sia nella proclamazione della Parola che nei sacramenti con il Mistero pasquale di Cristo in essi rappresentato. Scopo invece è la santificazione dell’uomo. La liturgia come parola e sacramento è quindi caratterizzata dalla cosiddetta linea strutturale discendente.
Questo non significa però che l’uomo nella liturgia possa comportarsi in modo puramente passivo. Da lui viene richiesta soprattutto la disponibilità a udire e a credere, ad ascoltare e ad ubbidire. La parola di Dio lo spinge alla risposta, l’amore di Dio al contraccambio d’amore, la sua azione misericordiosa lo chiama alla lode riconoscente. E notate che questo non è solo voce di un uomo singolo, bensì di un membro della comunità che nella teologia di san Paolo Apostolo è designata come corpo mistico, il cui capo è Cristo stesso. Così all’azione salvifica di Dio risponde la lode dell’intera Chiesa, alla quale si associa Cristo. Per questo si ha nella liturgia anche la linea ascendente. La liturgia ha un secondo attore attivo, e cioè la Chiesa.
Di conseguenza una definizione adatta è rappresentata dalla frase essenziale: la liturgia è l’operare congiuntamente del Sommo Sacerdote (Cristo) e della sua Chiesa per la santificazione dell’uomo e la glorificazione del Padre celeste (cf. CCC 1071). Giustamente ciò è stato designato anche come dialogo tra Dio e gli uomini. Quindi la liturgia non è un percorso a senso unico, bensì un sacrum commercium, cioè un santo scambio.
4. Quale è l’ambito o i settori della liturgia?
La liturgia offre un molteplice quadro di forme espressive. Al centro sta la celebrazione eucaristica con la ri-presentazione salvifica del Mistero pasquale di Cristo. Poiché questo è il fondamento e la fonte di tutta la liturgia, i suoi settori vivono più o meno della celebrazione eucaristica, trovano in essa regola e coronamento, e si dispongono come centri concentrici attorno a questo loro centro.
Così attorno all’Eucaristia si dispone la celebrazione degli altri sacramenti. Primi in ordine di tempo i sacramenti della rinascita (iniziazione cristiana), Battesimo e Cresima, che introducono il credente nella comunità ecclesiale con tutti gli effetti di grazia che questo processo comporta. Il sacramento della Penitenza e l’Unzione degli Infermi vengono in aiuto del cristiano in particolari situazioni. L’Ordine Sacro e il Matrimonio sono una chiamata ed un’abilitazione, volta a volta, a particolari servizi nella Chiesa.
Importante settore della liturgia e l’annunzio della parola di Dio nella lettura e nell’omelia, sia in connessione con la celebrazione di tutti i sacramenti sia anche come liturgia della Parola a sé stante (cf. SC 51 = mensa della Parola).
Una funzione importante è anche quella della Liturgia delle Ore della Chiesa quale quotidiana liturgia di preghiera e di lettura (non solo per i preti e le suore, ma anche per i laici).
Infine, si possono pure considerare liturgia, in senso lato, le speciali assemblee liturgiche (ad es. alcune funzioni come l’adorazione comunitaria del SS. Sacramento o Veglie di preghiera).
Per quanto invece riguarda la pietà popolare (ad. es. la recita del Rosario, le processioni e altre manifestazioni) dobbiamo adeguarci a quanto ci insegna la SC 13: "I pii esercizi del popolo cristiano, purché siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, sono… raccomandati, soprattutto quando si compiono per mandato della Sede Apostolica. Di speciale dignità godono anche i sacri esercizi delle chiese particolari, che vengono celebrati per mandato dei vescovi (o non perché si faceva sempre così!)…Bisogna però che tali esercizi siano regolati" (e qui rimando al documento della nostra diocesi: Le feste religiose in Diocesi. Orientamenti e norme, Frosinone 2003).
5. Quali sono i "linguaggi" della liturgia?
L’esistenza umana è caratterizzata da uno stretto legame tra "esperienza" ed "espressione". L’uomo si rapporta alla realtà che lo circonda, attribuendole un certo significato ed esprimendo questo significato col linguaggio. Le parole, i gesti, l’uso di alcuni oggetti, il canto, la musica, le arti visive… sono "linguaggi" in cui l’uomo deposita il senso delle proprie esperienze.
Uno di questi linguaggi, forse il più profondo e il più complesso, è quello religioso che viene definito come linguaggio simbolico.
Nella liturgia cristiana sono impegnati diversi linguaggi. Mi soffermerò soltanto ad una semplice elencazione di questi linguaggi:
- linguaggio visivo (quello che vediamo: la bellezza e la pulizia del luogo sacro, degli arredi, dei vasi, architettura, arte, addobbo…);
- linguaggio olfattivo (quello che odoriamo: buon profumo, incenso, aria fresca…);
- linguaggio uditivo (quello che udiamo: parole, canto, musica);
- linguaggio rituale (lo svolgersi del singolo rito…);
- linguaggio gestuale (il segno della croce, stare in piedi, in ginocchio, seduti, l’inchino, lo scambio di pace, le mani alzate…).
6. Che cosa vuol dire che la Liturgia è "fons et culmen" della vita cristiana?
La Liturgia, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio (cf. CCC 1071), è il centro della vita cristiana. Essa "costituisce il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana la sua forza vitale" (SC 10; CCCComp 219).
Per poter trarre con abbondanza questi frutti di vita cristiana è necessario che chi vi prende parte sia educato ad una partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa (cf. SC 11).
Chiaramente la Liturgia "non esaurisce tutta l’azione della Chiesa" (SC 9): essa deve essere preceduta dall’evangelizzazione, dalla fede e dalla conversione. Solo allora è in grado "di portare i suoi frutti nella vita dei fedeli: la Vita nuova secondo lo Spirito, l’impegno nella missione della Chiesa e il servizio della sua unità" (CCC 1072).