III. La celebrazione sacramentale del Mistero Pasquale (CCC 1135-1209)
1. Celebrare la liturgia della Chiesa
1.1. Chi celebra? (CCC 1136-1144)
Prima di rispondere a questa domanda, bisogna capire il senso del celebrare stesso. Che cosa vuol dire una celebrazione viva, rituale, fatta con segni sensibili, partecipata e consapevole? E’ vero che oggi viene messo molto in risalto l’aspetto attivo: fare qualche cosa durante le celebrazioni. E di conseguenza si ha la percezione della necessità della partecipazione, ma è indispensabile educare ai vari aspetti richiesti: capire il senso, capire che cosa significa la partecipazione piena, attiva e comunitaria.
La SC al n° 2, dice: "La liturgia, mediante la quale si attua l'opera della nostra redenzione, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa".
Attraverso la liturgia, i cristiani rivelano il mistero di Cristo nella loro vita e lo dimostrano agli altri: è il momento originario e sintetico che dà forma e senso autentico al cammino di fede dei credenti, alla loro speranza e al loro impegno caritativo. Per questo la liturgia è alimento insostituibile per la vita di ciascuno e insieme luogo in cui ogni vissuto personale e comunitario s’innesta in Cristo e nella Chiesa.
Non è facile spiegare il senso del celebrare, perché non si tratta solo di capire le parole che si dicono, ma anche i gesti che si fanno, gli abiti e gli oggetti che si usano, i vari servizi che si svolgono… Tutto il popolo deve conoscere e capire quello che fa e dice. Infatti, la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano solo come muti ed estranei spettatori alla liturgia, ma che, la comprendino bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, pienamente ed attivamente (cf. SC 14).
I nostri incontri servono proprio a quest’educazione – formazione; ma certamente sono, in modo particolare, i Parroci e i catechisti che devono occupare un ruolo importante in questa formazione. A loro spetta il compito di "studiare e spiegare attentamente il senso talora recondito, ma inesauribile e vivo, dei segni e riti liturgici, osservando non tanto il loro simbolismo naturale, ma considerando piuttosto il valore espressivo proprio che essi hanno assunto nella storia dell’antica e della nuova alleanza" (CEI, Rinnovamento della catechesi, 44).
Ora, la Chiesa, intesa come "comunione" e "sacramento di salvezza", non può che essere una comunità. In questa comunità tutti, nessuno escluso, sono chiamati a svolgere un ruolo particolare, cioè tutte le sue membra sono chiamate a servire, in modi diversi e complementari, secondo la vocazione propria. Si tratta allora di una comunità dei servitori. La Chiesa, poi, è anche una comunità sacerdotale per il fatto che i suoi membri sono stati incorporati in essa con il Battesimo, che li abilita al culto vero. La stessa LG parla del sacerdozio dei fedeli, detto sacerdozio comune perché comunicato a tutti i cristiani e ne parla in senso reale e non metaforico.
Riassumendo: "La Liturgia è «azione» di «Cristo tutto intero» (Christus totus)" (CCC 1136). L’affermazione "Christus totus" vuol dire che in quest’azione è coinvolta sia la Chiesa quaggiù che quella lassù (celeste). Per questo "coloro che qui la celebrano (cioè la Liturgia), al di là dei segni, sono già nella Liturgia celeste, dove la celebrazione è totalmente comunione e festa" (CCC 1136).
Queste "cose" ci rivela l’Apocalisse di san Giovanni quando parla di "un trono nel cielo, e sul trono Uno… seduto" (Ap 4, 2): "il Signore" (Is 6, 1; cf. Ez 1, 26-28). Poi, si parla dell’Agnello, "immolato e ritto" (Ap 5, 6; cf. Gv 1, 29) il Cristo crocifisso e risorto, l’unico Sommo Sacerdote del vero santuario (cf. Eb 4, 14-15; 10, 19-21; ecc), lo stesso "che offre e che viene offerto, che dona ed è donato". Infine, il "fiume d’acqua viva" che scaturisce "dal trono di Dio e dell’Agnello" (Ap 22, 1), uno dei simboli più belli dello Spirito Santo (cf. Gv 4, 10-14; Ap 21, 6).
Il CCC n° 1138, dice che "«Ricapitolati» in Cristo, partecipano al servizio della lode di Dio e al compimento del suo disegno: le Potenze celesti (cf. Ap 4-5; Is 6, 2-3), tutta la creazione (i quattro esseri Viventi), i servitori dell’Antica e della Nuova Alleanza (i ventiquattro Vegliardi), il nuovo Popolo di Dio (i centoquarantaquattromila) [cf. Ap 7, 1-8; 14, 1], in particolare i martiri «immolati a causa della Parola di Dio» (Ap 6, 9-11 ), e la santissima Madre di Dio, infine «una moltitudine immensa, che nessuno» può contare, «di ogni nazione, razza, popolo e lingua» ( Ap 7, 9 )".
"E’ a questa Liturgia eterna che lo Spirito e la Chiesa ci fanno partecipare quando celebriamo, nei sacramenti, il Mistero della salvezza" (CCC 1139).
La Liturgia come "azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato" (OGMR 16) non è mai un fatto privato, ma rappresenta e manifesta l’unità dei fedeli che costituiscono un solo corpo in Cristo (cf. LG 3). In questo senso ogni azione liturgica appartiene all’intero Corpo della Chiesa, lo manifesta e lo implica (cf. SC 26). E la Chiesa celebra nel segno dell’Assemblea, cioè ha sempre un riferimento a dei soggetti, a delle azioni, a delle situazioni concrete.
L’assemblea liturgica (comunità) diventa così il soggetto della celebrazione ed ha il diritto e il dovere di esprimere questa centralità (cf. CCC 1140; OGMR 91). Chiaramente si tratta dell’assemblea dei battezzati i quali "per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in un sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano" (LG 10). Ciò vuol dire che la celebrazione liturgica è azione di tutti: ha come poli principali colui che presiede e l’assemblea e come soggetti interagenti tutti i cristiani chiamati ad esercitare il loro sacerdozio battesimale, assumendo compiti specifici per servire all’altare, proclamare la parola di Dio, eseguire musiche e canti, accogliere i partecipanti, animare la celebrazione…ecc.
Possiamo dire che si tratta non più di una Liturgia clericale, ma comunionale (Chiesa- comunità), in cui il soggetto celebrante è la Chiesa intera, popolo sacerdotale, nel segno concreto dell’assemblea riunita sotto la presidenza del ministro ordinato.
Oggi, nonostante la riforma dei riti, dei luoghi, dei libri liturgici…, tanti fedeli coscienti e desiderosi di partecipare attivamente restano passivi perché lasciati, forse, nell’incertezza del loro isolamento, non sempre incoraggiati a coinvolgersi personalmente in un’azione corale, magari anche mortificati in un ruolo di puri destinatari anziché di protagonisti della celebrazione.
Invece, l’assemblea liturgica non deve essere un insieme piatto e confuso, una folla estranea di persone che assistono a un rito, ciascuna per conto proprio, ma essere guidata a divenire una vera comunità orante, icona della realtà che celebra.
Bisogna ricordare con forza che nell’assemblea liturgica nessuno siede come spettatore, ma tutti hanno qualcosa da fare: diviene allora molto importante sapere che cosa è realmente "di competenza" di ognuno secondo le parole della SC n° 28: "Ciascuno, ministro e semplice fedele… si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza".
Nella celebrazione liturgica ci sono alcune parti che non ammettono di essere demandate a dei ministri, lasciando che i fedeli restino semplicemente a guardare e sentire. L’assemblea intera deve manifestare la propria unità anche con la voce, rispondendo al sacerdote nei dialoghi che intercorrono durante il rito, proclamando le letture bibliche, proponendo le intenzioni della Preghiera dei fedeli e partecipando al canto.
Dice san Paolo: "le membra non hanno tutte la stessa funzione" (Rm 12, 4). Alcuni sono chiamati da Dio, nella Chiesa e dalla Chiesa, ad un servizio speciale della comunità. Questi servitori sono scelti e consacrati mediante il sacramento dell’Ordine (cf. PO 2 e 15; CCC 1142).
I ministri ordinati sono: l’episcopato, il presbiterato e il diaconato. Ora, l’episcopato e il presbiterato sono ministeri che configurano in maniera speciale a Cristo, sommo ed eterno sacerdote. Essi operano nel nome e con l’autorità di Gesù nella predicazione, nella celebrazione dei sacramenti, totalmente a servizio delle comunità cristiane, in particolare il vescovo che è, nella propria comunità, il centro unificatore, il segno visibile di Gesù, capo della Chiesa. Il loro servizio, in ambito celebrativo, si esprime nella presidenza e nella guida della preghiera, coinvolgendo tutta l’assemblea in un’azione liturgica comune.
Letteralmente possiamo dire che colui che presiede "sta davanti" con la sua persona, il suo volto, i suoi gesti, che rivelano l’intensità della sua fede e la sua capacità di far comunione e di saper coinvolgere nella celebrazione.
Chi presiede è al servizio di Cristo Risorto, di cui è e deve apparire segno e ministro. Ma è anche al servizio della Chiesa, concretamente visibile nella comunità radunata in assemblea e ne interpreta la vita e la preghiera.
Il diaconato, a sua volta, è un ministero di servizio. Egli è il segno sacramentale, la testimonianza visibile, la manifestazione della vocazione diaconale alla quale tutta la Chiesa è chiamata. Durante la celebrazione le possibilità di "servire" sono molte, in particolare nei confronti della Parola. Infatti, non solo gli spetta la proclamazione del Vangelo, ma la possibilità, secondo l’opportunità, di tenere qualche volta l’omelia. Nella nostra Diocesi finora non ci sono ancora i diaconi permanenti.
Al fine di servire le funzioni del sacerdozio comune dei fedeli, vi sono inoltre altri ministeri particolari, non consacrati dal sacramento dell’Ordine, la cui funzione è determinata dai vescovi secondo le tradizioni liturgiche e le necessità pastorali (cf. SC 29). A più di 40 anni dal Concilio Vaticano II, possiamo fare un elenco di questi ministeri particolari (cf. CCC 1143):
a) i ministeri istituiti dal Vescovo: l’accolitato, il lettorato, il ministero straordinario della Comunione;
b) i ministeri di fatto - dei servizi occasionali, spontanei e passeggeri, che si caratterizzano per una minore stabilità: il salmista, i ministranti, il commentatore, il cerimoniere, il coro liturgico o schola cantorum (animatore musicale, organista liturgico, assemblea), gli addetti all’accoglienza, il gruppo liturgico, il sacrista, i responsabili per il decoro della chiesa, i responsabili per l’addobbo floreale, coloro che raccolgono le offerte. "In questo modo, nella celebrazione dei sacramenti, tutta l’assemblea è «liturga», ciascuno secondo la propria funzione, ma nel «unità dello Spirito» che agisce in tutti".