ABC della Liturgia/24-27
Gli edifici liturgici (Parte I)
Cercheremo di descrivere brevemente alcuni tipi di edifici liturgici:
a) Tempio – questa parola (latino: templum) deriva dal verbo greco témnein = tagliare, separare, e significa originariamente un pezzo di terra che è stato separato dal terreno rimanente per essere dedicato, come boschetto sacro o come edificio, ad una divinità. I cristiani all’inizio usarono il termine solo per Cristo e per la comunità cristiana. Negli attuali testi liturgici, questo termine viene usato anche nei confronti del mondo intero definito "tempio della santità" di Dio.
b) Ecclesia - chiesa - casa di Dio – i primi luoghi di riunione dei cristiani (dal III sec.) si chiamarono domus ecclesiae = casa della ecclesia e cioè della comunità dei fedeli. Il nome della comunità passò quindi anche al luogo di riunione, così che si può parlare di una ecclesia in senso spirituale e materiale.
Il termine usato nelle lingue di ceppo sassone conosce un’evoluzione inversa. Dapprima si parla di oikía kyriaké = la casa appartenente al Signore. La sua forma abbreviata più tardiva suonava kyriokón (latino: dominicum), e di qui vennero Kirche, church ecc. Più tardi questo termine fu applicato anche alla comunità. Esso sì è affermato soprattutto nelle lingue germaniche e slave, mentre ecclesia è piuttosto alla base delle lingue romanze.
La denominazione casa di Dio dovrebbe escludere l’idea ebraico-pagana di una casa, che, quale abitazione di Dio, gli appartiene e gli è riservata. Ma come casa dell’assemblea cristiana e della celebrazione liturgica essa diventa luogo dell’incontro con Dio, dove egli annuncia la sua parola e nei misteri cristiani si comunica ai fedeli, ma dove anche il popolo di Dio gli offre il sacrificio della lode e del ringraziamento e si unisce più strettamente a lui nella fede. In questo senso la parola casa di Dio è del tutto legittima.
(Pubblicato su Lazio Sette: 20 maggio 2007, p. 7)
Gli edifici liturgici (Parte II)
c) Basilica – dalla sua origine greca il termine deriva dal significato di aula regale (da basiléus = re) e indica originariamente il palazzo di un re o la sede di un suo alto ufficiale. Nella Roma precristiana esso sta anche per diverse costruzioni pubbliche. I cristiani adottarono questa parola in riferimento agli edifici liturgici costantiniani con riguardo sia allo stile (un edificio longitudinale diviso da file di colonne, con abside) che al loro re Cristo. Oggi usiamo il termine per le chiese dello stile basilicale o per chiese che hanno ricevuto questo nome come titolo d’onore dalla superiore autorità della chiesa. Il diritto canonico distingue al riguardo le basiliche patriarcali (= basilicae maiores) direttamente sottoposte al papa e provviste di trono e di altare papale, e basilicae minores (= basiliche più piccole) come titolo d’onore per chiese particolarmente significative in tutto il mondo.
d) Cattedrale – la parola greca cáthedra designa nell’antichità greca sia la sede del giudice, del maestro e di chi presiede sia la sedia che nell’antico banchetto funebre è lasciata libera per un determinato defunto. Questa espressione venne assunta per indicare la sede del vescovo nella liturgia cristiana. Da essa egli guida la liturgia e tiene l’omelia. Già nel sec. VI a motivo di questa cattedra le chiese episcopali sono chiamate anche cattedrali (così al Concilio di Tarragona nel 516). Quest’espressione diventa comune specialmente in Spagna, Francia e Inghilterra, mentre l’area linguistica tedesca e l’Italia preferiscono la parola duomo. La cattedrale di un arcivescovo si chiama anche chiesa metropolitana.
(Pubblicato su Lazio Sette: 27 maggio 2007, p. 9)
Gli edifici liturgici (Parte III)
e) Duomo – questa denominazione deriva da domus episcopalis (= casa del vescovo), per la quale si intendeva la cappella domestica del vescovo, che serviva anche per l’ufficiatura dei canonici e per l’amministrazione dell’arcidiacono. Nell’alto Medioevo questo nome passò alla chiesa episcopale. Anche alcune altre chiese ricevettero questo nome onorifico, anche se non ebbero mai un vescovo.
f) Collegiata – è il titolo d’alcune chiese, per lo più antiche, che magari in forza di una fondazione sono sede di un collegio di canonici formanti un Capitolo, distinto da quello della Cattedrale, con l’obbligo della celebrazione comunitaria dell’Ufficio. Nei paesi di lingua tedesca si trova, in qualche modo corrispondente, la parola Münster, dal latino monasterium = monastero. Il termine indica dapprima l’insieme degli edifici conventuali e viene poi a designare solo la chiesa conventuale. Esso è usato però anche per talune chiese collegiate o parrocchiali con un grande numero di sacerdoti addetti alla pastorale e di cappellani.
g) Abbazia – badia – si tratta di un monastero retto da un abate o da un’abbadessa. Il nome venne diffuso dai benedettini.
(Pubblicato su Lazio Sette: 3 giugno 2007, p. 2)
Gli edifici liturgici (Parte IV)
h) Cripta – la parola latina, presa dal greco, cripta significa nell’antichità un cammino coperto o anche un ambiente con soffitto a volta o una grotta. Con questa parola il cristianesimo primitivo indicava anche corridoi e camere catacombali. Più tardi si intesero gli ambienti, per lo più a volta, sotto l’abside, il coro o anche il quadrato (incrocio del transetto con la navata); tali ambienti sono in forma di galleria, di anello, di camera e di sala. Soprattutto le chiese romaniche hanno comportato la costruzione di cripte realizzando anche spazi a più navate, perfino con corone di cappelle. In conseguenza i presbiteri dovettero essere posti più in alto ed erano accessibili solo attraverso numerosi gradini. Nelle chiese gotiche e barocche raramente ci furono cripte. Punto di partenza per la costruzione delle cripte medioevali furono in molti casi tombe di santi o depositi di reliquie, spesso immediatamente sotto l’altare maggiore.
i) Cappella – la parola è il diminutivo del latino cappa = mantello (veste avvolgente per l’ufficiatura corale). Essa a partire dai re franchi del primo Medioevo indica il luogo di conservazione del leggendario mantello del santo vescovo Martino di Tours alla corte reale di Parigi (Sainte Chapelle). Infine questo nome fu usato anche per gli ambienti liturgici alle corti di signori secolari o religiosi (cappella di una casa, di una corte, di una rocca, di un palazzo, di un castello). Più tardi questo nome passò a indicare i sacerdoti (cappellani) e i cori di cantori di tali cappelle. Già nel Medioevo si costruirono nelle chiese più grandi numerose cappelle laterali, che, come cappelle battesimali e delle confessioni, assolvevano anche a funzioni cultuali o servivano a certi gruppi come luoghi di riunione liturgica.
Nell’uso attuale della lingua s’indica con cappella ogni ambiente liturgico che non possiede il pieno statuto giuridico di una chiesa parrocchiale. Si parla così di cappelle di luoghi di pellegrinaggio, di seminario, d’ospedale, di cimitero, di carcere, ecc.
j) Oratorio – derivato dal latino orare = pregare, corrisponde a sala o casa di preghiera e dall’alto Medioevo viene usato per indicare quegli ambienti sacri che non sono chiese parrocchiali, riconosciute dal diritto, ma servono a determinate comunità e famiglie. Oratorio può quindi essere bene equiparato a cappella. Il Codice di Diritto Canonico del 1983 distingue tra oratori e cappelle private (cf. can. 1223-1229).
(Pubblicato su Lazio Sette: 10 giugno 2007, p. 19)