II incontro di aggiornamento per i Ministri Straordinari della Comunione
16 marzo 2011
A partire dal II sec. abbiamo la testimonianza di San Giustino martire riguardante le linee fondamentali dello svolgimento della celebrazione eucaristica. E dobbiamo notare che esse sono rimaste praticamente invariate fino ai nostri giorni in tutte le grandi famiglie liturgiche[1].
- la “Liturgia eucaristica”, con la presentazione del pane e del vino, l’azione di grazie consacratoria e la comunione.
Queste due parti dell’Eucaristia costituiscono insieme “un solo atto di culto” (SC 56). “Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevano istruzione e ristoro” (OGMR 28)[2]. Senza dubbio quest’affermazione contiene una valorizzazione della liturgia della Parola, che prima era considerata per lo più come la parte che precede
1. Riti di introduzione.
Il loro compito consiste nel fare della comunità radunata un’assemblea consapevole, e nel preparare ad ascoltare la proclamazione della parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia.
Questi riti comprendono:
a) L’introito con il canto d’ingresso: lo scopo è quello di “dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri” (OGMR 47). Le possibilità della sua messa in opera sono molteplici (cf. OGMR 48). In nessun caso l’assemblea dovrebbe essere condannata a un ascolto muto, ma nel canto di ingresso cantore o schola e popolo dovrebbero, ognuno secondo la sua parte, unirsi nel canto e così trovarsi riuniti in una assemblea celebrante. Talvolta in luogo del canto si può anche eseguire un pezzo d’organo. Se non si esegue il canto d’ingresso l’antifona di introito del Messale viene letta dai fedeli o da un lettore o anche dal celebrante dopo il saluto (cf. OGMR 48).
Questa parte comprende:
a) La proclamazione delle letture: in tutte le domeniche e solennità sono previste tre letture (la prima dall’AT, seguita da un salmo), la seconda dagli scritti apostolici del NT, la terza è un brano dei Vangeli). Nei giorni feriali sono previste invece solo due letture (per la prima lettura ci sono due cicli annuali, di cui il primo è da seguire negli anni dispari e il secondo in quelli pari). Nelle feste e memorie dei Santi, le Messe rituali, per varie necessità e votive si proclamano le letture che si trovano nei rispettivi Lezionari con una ricca possibilità di scelta. Le letture vengono proclamate da un luogo che è designato come “ambone” (dal greco anabainein = salire). L’ OGMR 309 ne da la seguente motivazione: “L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante
b) I canti tra le letture: dopo le letture bibliche, dei canti fanno riecheggiare quanto si è ascoltato; essi costituiscono uno spazio di meditazione. Alla prima lettura segue così il Salmo responsoriale. L’ OGMR 61 lo considera un elemento essenziale della liturgia della Parola. Poiché esso è connesso come contenuto con la lettura, è presentato dai lezionari dopo la lettura stessa. Per i diversi tempi dell’anno liturgico e per singoli gruppi di feste di Santi esistono anche salmi responsoriali comuni. Si tratta qui di un canto responsoriale, e cioè il solo cantore o salmista esegue il salmo mentre l’assemblea dopo ogni strofa risponde con un ritornello invariabile. Dopo la seconda lettura segue l’Alleluia (= Lodate Dio) con un versetto, preso per lo più dal NT. Questo canto non si riferisce alla precedente lettura, ma prepara al Vangelo. Si tratta di un grido (acclamazione) a Cristo. Perciò l’assemblea deve cantarlo stando in piedi (OL, Premesse nr. 23)[5]. In Quaresima si omette l’Alleluia. Al suo posto si esegue il “Canto al vangelo”, detto prima Tratto. Se prima del Vangelo si esegue una sola lettura si possono eseguire entrambi i canti tra le letture o limitarsi a uno di essi. Due solennità, Pasqua e Pentecoste, hanno un altro canto tra le letture,
c) Il Vangelo: fin dai tempi antichi viene circondato da una speciale solennità così espressa: il ministro della proclamazione deve essere un diacono o un sacerdote; egli pronuncia una propria preghiera di preparazione o si fa impartire una speciale benedizione; il libro dei Vangeli (Evangeliario), nelle celebrazioni solenni, viene portato all’ambone processionalmente e con accompagnamento di incenso e di lumi; chi lo proclama segna il libro e se stesso con il segno della croce; in alcune celebrazioni, prima della proclamazione, si incensa il libro; prima e dopo la lettura i fedeli dicono (cantano) particolari acclamazioni (“Gloria a te, o Signore”; “Lode a te, o Cristo”); dopo la lettura il ministro bacia il libro e dice: “La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”; la benedizione dell’assemblea con l’Evangeliario (da parte del vescovo). Questa rispettosa messa in risalto del Vangelo rispetto alle altre letture non può ad ogni modo indurre ad un minore apprezzamento delle stesse. Anche esse infatti appartengono alle Sacre Scritture ispirate, contengono la parola di Dio e, in quanto fanno parte del NT, sono da considerare buona novella (= vangelo). Così anche l’OGMR 55, sulla scorta della SC del Vaticano II, afferma di tutte le Sacre Scritture, senza dare particolare rilievo al Vangelo: “… nelle letture… Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente per mezzo della sua parola, tra i fedeli”. Comunque, sappiamo che nel Vangelo è Cristo stesso che parla alla sua Chiesa. Non si tratta più solamente della Parola di Dio scritta, ma della Parola di Dio Fatta carne realmente ed effettivamente presente in questo sacramento della Chiesa. Questa realtà, questa prospettiva di fede, implica due conseguenze: l’assemblea si alza in piedi e spetta al ministro ordinato (vescovo, sacerdote, diacono) la proclamazione del Vangelo.
d) L’Omelia: il Concilio Vaticano II sottolinea che l’omelia è una parte della liturgia e, specialmente nelle messe comunitarie dei giorni domenicali e festivi, non deve essere omessa (SC 52). Per quanto riguarda i suoi contenuti essa deve presentare a partire “dal testo sacro, i misteri della fede e le norme della vita cristiana” (SC 52). Con riferimento alla prima Istruzione per l’attuazione della Costituzione liturgica (26 settembre 1964), l’ OGMR 65 amplia questa direttiva sui contenuti e prevede che l’omelia possa essere una spiegazione di altri testi della Messa del giorno “tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta”. Essa non è una lezione di catechismo, né un’esposizione teologica. Tanto meno è uno sfogo della propria vita personale né un’esercitazione di eloquenza. Essa deve rendere attuale e accessibile all’assemblea la parola di Dio che è stata appena proclamata. Essa è veramente un atto di Cristo che, per bocca del sacerdote, rende presente la sua Parola. Ecco perché, è sempre un ministro ordinato che deve fare l’omelia, e di preferenza il sacerdote che presiede l’Eucaristia[6].
e) La professione di fede: nelle solennità e nelle domeniche, dopo l’omelia, viene recitato o cantato il Credo (= professione di fede). Il suo significato profondo è di esprimere l’assenso dell’assemblea alla parola di Dio ascoltata nelle letture e nell’omelia, e alle essenziali realtà della fede; nello stesso tempo però è anche un’esaltazione del Dio uno e trino, che realizza la nostra salvezza. Inoltre, il Credo, nella celebrazione dell’Eucaristia è anche ricordo del Battesimo e invito alla rinnovazione dello stesso (cf. OGMR 67-68).
f) La preghiera universale: detta anche “preghiera dei fedeli”, conclude la liturgia della Parola. In questa preghiera l’orizzonte dei fedeli si amplia e il popolo di Dio esercita la sua funzione sacerdotale per l’intera umanità. In essa infatti, nella linea della 1Tm 2, 1-3, vengono accolte non tanto le personali intenzioni del singolo orante quanto le domande a respiro universale dell’intera Chiesa e di tutta l’umanità. Bisogna sottolineare che le intenzioni che vengono proposte devono essere “sobrie, formulate con una sapiente libertà e con poche parole” (OGMR 71). Di norma dovrebbe essere osservato questo seguito (cf. OGMR 70): per le necessità della Chiesa, per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo, per coloro che si trovano in difficoltà (ad. malati), per la comunità locale. Nell’ambito di queste categorie le intenzioni possono essere anche liberamente formulate come contenuto e come forma. E così possibile accogliere nella celebrazione eucaristica il “caldo respiro dell’attualità”. Compito del sacerdote celebrante è di recitare (o cantare) le formule di introduzione e di conclusione, mentre le singole intenzioni sono proposte da un diacono o da un cantore o anche da uno o più laici (cf. OGMR 71). L’assemblea fa seguire queste domande da un’invocazione collettiva o anche da una preghiera silenziosa.
3. Liturgia eucaristica.
Comprende:
a)
b) Preghiera eucaristica – questa parte comincia con il dialogo tripartito, nel quale incontriamo un’antichissima tradizione ebraica e cristiana (“II Signore sia con voi...; In alto i nostri cuori...; Rendiamo grazie...”) che introduce il Prefazio. In questo dialogo introduttivo diventa chiaro che anche
- l’Epiclesi preconsacratoria – è un’invocazione dello Spirito Santo perché trasformi il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù. Le ultime parole di questa epiclesi vengono sottolineate da due riti di benedizione: l’imposizione delle mani sui doni e la benedizione col segno di croce.
- il racconto dell’istituzione – il celebrante ripete ciò che Gesù fece prima della Passione (gli stessi gesti e le stesse parole) durante l’Ultima Cena. Da allora noi possiamo, oggi e ogni giorno, compiere l’azione di grazie e celebrare il sacrificio che Egli ha ritualmente offerto al Padre ordinando ai suoi: “Fate questo in memoria di me”.
- l’anamnesi – ora l’assemblea dopo le parole della consacrazione dice l’acclamazione “Annunziamo la tua morte, Signore...”. Con riferimento a 1Cor 11, 26 l’assemblea si proclama così riconoscente al suo Signore e alle sue opere salvifiche. La successiva Anamnesi (= memoriale) fa memoria dell’intera opera della salvezza di Cristo. Non si tratta però di un semplice ricordo, ma di un atto sacramentale con cui ciò che è stato compiuto nel passato, una volta per sempre, ci è realmente donato nel presente della fede della Chiesa e ci apre all’avvenire dell’umanità, chiamata a “ricevere” un giorno il Cristo nella sua gloria.
- l’offerta del sacrificio – è strettamente collegata con l’Anamnesi. Essa si riferisce innanzitutto all’unico sacrificio di Cristo, nel quale egli è nello stesso tempo sacrificio e sacerdote, e che viene reso presente sacramentalmente nella celebrazione eucaristica (presenza attuale).
- l’epiclesi postconsacratoria – in essa si prega anche per l’unità dei fedeli, che viene riconosciuta come opera particolare dello Spirito Santo.
- le intercessioni – sono per tutta
- la grande Dossologia (= parola di lode) – nel corso di essa il sacerdote eleva alquanto i doni consacrati e dice (canta): “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria nei secoli dei secoli”. Nella e attraverso la comunione con Cristo anche la nostra vita acquista valore nel senso dell’onore reso a Dio e raggiunge così il suo significato più profondo. L’assemblea conferma questa parola di lode con il suo “Amen” (OGMR 79h).
c) Riti di comunione – questa parte si apre con:
- l’Agnus Dei – nel frattempo la corale o il cantore in alternanza con l’assemblea cantano la preghiera litanica dell’Agnus Dei (Agnello di Dio).
- il ringraziamento – considerato il significato della comunione è logico e opportuno un ringraziamento che può esprimersi nella preghiera silenziosa o nel canto di un inno, un salmo o un altro canto di lode.
4. Riti di conclusione.
Comprendono:
- il saluto e la benedizione – il celebrante saluta l’assemblea con il tradizionale augurio “Il Signore sia con voi” e imparte
- il congedo – la parola conclusiva Ite missa est significa propriamente: “Andate, è il Congedo” (dal latino dimissio). Già nell’antichità era usuale indicare con queste parole il termine di una riunione. La traduzione italiana «La messa è finita: andate in pace» è quindi da intendere come un’interpretazione esplicativa. Del resto da questa parola latina di congedo deriva il termine “messa”. Poiché ogni dono di Dio diventa un impegno e comporta una vita di azione di grazie e di diffusione del messaggio e della grazia divina, si è inteso talvolta l’Ite missa est sulla scorta della parola latina missio anche nel senso di una missione, qualcosa come: “Andate, la vostra missione comincia”, “
[1] Cf. San Giustino, Prima Apologia, LXV-LXVII in G. Gandolfo (a cura di), Le due Apologie, Ed.- Paoline, Roma 1983, 115-119 (Letture cristiane delle origini. Testi, 10).
[2] Cf. SC 56, 48, 51.
[3] Così H. Noldin, Summa theologiae moralis, v. II, Innsbruck 19119, 278.
[4] Particolarmente utile per la comprensione delle singole parti, tra gli altri: J.A. Jungmann, Missarum Sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana. Edizione anastatica, Ed. Ancora, Milano 2004; R. Cabié, L’Eucaristia, in A.M. Martimort,
[5] OL = Ordo lectionum (Ordinamento delle letture della Messa), Roma 19691; cf. OGMR 62-63.
[6] “Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote con celebrante e, secondo l’opportunità, anche a un diacono; mai però a un laico (CIC 767§1). In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal Vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare” (cf. OGMR 66).
[7] Per quanto riguarda la qualità dei doni vale per il pane quanto stabilito dall’OGMR 320: “Il pane per la celebrazione dell’eucaristia deve essere di solo frumento, confezionato di recente e azzimo, secondo l’antica tradizione della Chiesa latina”. Il pane deve essere fatto in modo che “il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli” (OGMR 321). Per il vino si richiede che provenga dal “frutto della vite” e sia “naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee” (OGMR 322; CIC 924§3). Pane e vino devono essere in stato di perfetta conservazione e cioè il vino non deve essere diventato aceto e il pane non deve essersi guastato o diventato troppo duro (cf. OGMR 323).
[10] L’aver accolto nella messa romana questa acclamazione che risale alla transizione dal I al II sec. (Didachè 9, 4) è, nello stesso tempo, un piccolo passo nel senso dell’unità ecumenica. I cristiani evangelici infatti uniscono sempre questa preghiera al Padre nostro, da quando M. Lutero la accolse nella sua traduzione della Bibbia a partire dal modello greco da lui utilizzato del NT. Anche le chiese orientali l’hanno nella loro celebrazione eucaristica, anche se in una forma alquanto ritoccata.
[12] Secondo l’istruzione Eucharisticum mysterium del 25 maggio 1967 è possibile, seguendo le norme della Conferenza episcopale comunicarsi stando in ginocchio o in piedi (nr. 34).