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Ministri straordinari

euc.2.jpgII incontro di aggiornamento per i Ministri Straordinari della Comunione
16 marzo 2011


A partire dal II sec. abbiamo la testimonianza di San Giustino martire riguardante le linee fondamentali dello svolgimento della celebrazione eucaristica. E dobbiamo notare che esse sono rimaste praticamente invariate fino ai nostri giorni in tutte le grandi famiglie liturgiche[1].

Infatti il CCC ci insegna che la “Liturgia dell’Eucaristia si svolge secondo una struttura fondamentale che, attraverso i secoli, si è conservata fino a noi. Essa si articola in due grandi momenti, che formano un’unità originaria:- la convocazione, la “Liturgia della Parola”, con le letture, l’omelia e la preghiera universale;

- la “Liturgia eucaristica”, con la presentazione del pane e del vino, l’azione di grazie consacratoria e la comunione.
Queste due parti dell’Eucaristia costituiscono insieme “un solo atto di culto” (SC 56). “Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevano istruzione e ristoro” (OGMR 28)[2]. Senza dubbio quest’affermazione contiene una valorizza­zione della liturgia della Parola, che prima era considerata per lo più come la parte che precede la Messa, e la cui perdita una precedente teologia morale casuistica aveva classificato solo come una colpa “ve­niale”, trattandosi solo di una parte “insignificante” (pars exigua)[3]. Queste due “parti principali” sono delimitate dai riti di introduzione e di conclusione[4].

Lo schema strutturale che vi proporrò ora cerca di chiarire l’articolazione della Messa e di facilitare uno sguardo d’insieme.  

1. Riti di introduzione.

Il loro compito consiste nel fare della comunità radunata un’assemblea consapevole, e nel preparare ad ascoltare la proclamazione della parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia.

Questi riti comprendono:


a)  L’introito con il canto d’ingresso:
lo scopo è quello di “dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mi­stero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la proces­sione del sacerdote e dei ministri” (OGMR 47). Le possibilità della sua messa in opera sono molteplici (cf. OGMR 48). In nessun caso l’assemblea dovrebbe essere condannata a un ascolto muto, ma nel canto di ingresso cantore o schola e popolo dovrebbero, ognuno secondo la sua parte, unirsi nel canto e così trovarsi riuniti in una assemblea cele­brante. Talvolta in luogo del canto si può anche eseguire un pezzo d’organo. Se non si esegue il canto d’ingresso l’antifona di introito del Messale viene letta dai fedeli o da un lettore o anche dal cele­brante dopo il saluto (cf. OGMR 48).

b)  Il bacio dell’altare e incensazione: il sacerdote e il diacono venerano l’altare quale simbolo di Cristo  e del sacrificio di rendimento di grazie con un bacio. Questo gesto di venerazione, talvolta accompagnato dall’incensazione, significa che tutto è riferito a Cristo: lui, altare, sacerdote, vittima (cf. Eb 4, 1s; 9, 14); lui, che è presente in assemblea celebrante. La stessa incensazione nella celebrazione diventa poi simbolo della preghiera d’interces­sione (cf. Sal 140, 2) e segno dell’omaggio a Dio.

c)  Il segno di croce e il saluto del popolo radu­nato: il celebrante si reca alla sede presidenziale e di qui guida i rimanenti riti d’introduzione e la liturgia della Parola. Il luogo e l’aspetto della sede presidenziale devono far capire che il sacerdote presidente, fratello in mezzo ai suoi fratelli, è la guida dell’assemblea liturgica. Sacerdote e fedeli facendo insieme il segno della croce si pongono sotto la croce di Cristo e dimostrano così d’attendere la salvezza da questa croce. Questo segno di croce esprime la prima professione di fede nel mistero di Dio. L’assemblea aderisce a questa professione di fede trinitaria che manifesta la sua identità cristiana rispondendo unanimemente al sacerdote: “Amen”. Questo Amen costituisce l’assemblea, nel primo istante dell’Eucaristia, nel suo atto di fede nella verità di Dio. Allora il celebrante rivolge all’assemblea un saluto magnifico, che riassume tutta la storia della salvezza: “Il Signore sia con voi”. Questo saluto è un’affermazione che attraversa tutta la Bibbia e che riconosce Dio sempre presente tra il suo popolo, dunque “con voi”. A questa parole, l’assemblea risponde “E con il tuo spirito”, ossia “con te stesso”. Non si tratta di una formula banale come “Buongiorno”. E’ un saluto pieno di forza e di significato, e anche un atto di fede nel quale il celebrante e l’assemblea si scambiano e si dicono la fede della Chiesa. E’ del tutto possibile che il sacerdote aggiunga anche una parola personale di saluto e di augurio. ­Soltanto ci si dovrebbe guardare da eccessivi sviluppi soggettivi, non sopportabili per la durata dall’insieme della comunità. Le formule of­ferte dal Messale, secondo OGMR 50, hanno anche la funzione di manifestare “il mistero della Chiesa radunata”, ossia la presenza del mistero della Chiesa nell’assemblea celebrante.

d)  La monizione introduttiva: a questo punto è prevista una specie d’introduzione, che può essere fatta dal sa­cerdote o da un altro ministro, dovrebbe essere concisa e non svi­lupparsi in una prima predica. Comunque il suo scopo è quello di aiutare i cristiani riuniti a entrare, a “introdurli” nel mistero che sta per essere celebrato, qui e ora.

e)  L’Atto penitenziale – il Kyrie: esso può avere la forma di una confessione comunitaria, ab­breviata nel complesso e insieme ampliata con l’accenno ai peccati di omissione. In luogo del “Confesso a Dio…” ci sono altre possibilità prevviste dal Messale d’in­vocare la misericordia di Dio con formule di dialogo tra il sacerdote e l’assemblea. Una di esse ingloba il Kyrie (o “Signore pietà”) che può essere arricchito con dei brevi testi (tropi), prendendo così la forma di litania (cf. OGMR 52). Si tratta di un invito a domandare prima di tutto la grazia di un cuore pentito dei propri peccati. L’atto viene concluso dal sacerdote che invoca il perdono di Dio: “Dio onnipotente abbia misericordia…” a cui i fedeli rispondo “Amen”. Questo momento della celebrazione è sempre un riconoscimento del nostro peccato e una supplica confidente nella misericordia di Dio. L’Atto penitenziale e il Kyrie possono essere anche sostituiti da un’aspersione dei fedeli con acqua benedetta. I testi di preghiera e di canto previsti allo scopo presentano questo rito innanzitutto come ricordo e rinnovazione del Battesimo.

f)   L’inno del Gloria a Dio: nei giorni solenni di festa nelle domeniche (eccetto quelle di Avvento e di Quaresima), viene intonato il “Gloria a Dio…” (cf. OGMR 53). E’ uno dei più bei brani liturgici che esistono. E’un vero tesoro per nutrire la preghiera comunitaria di azione e di grazia.

g)  La Colletta: si tratta d’orazione conclusiva dei riti d’introduzione. Il celebrante prende la parola e dice: “Preghiamo”. A questo invito, tutta l’assemblea letteralmente si immobilizza e fa silenzio. In questa breve pausa, ognuno, nell’intimo del suo cuore, si rivolge a Dio a modo suo. Poi il celebrante riprende la parola a nome dell’assemblea per la preghiera. L’assemblea conclude questa preghiera, che il sacerdote proclama nella forma del “noi”, con la parola ebraica “Amen” che significa: «Si, così sia!», oppure «Si, così è!». In tal modo l’Amen significa che l’assemblea fa propria la preghiera del sacerdote e per così dire vi appone la propria firma. 

2. Liturgia della Parola.

Questa parte comprende:


a)  La proclamazione delle letture:
in tutte le domeniche e solennità sono previste tre letture (la prima dall’AT, seguita da un salmo), la seconda dagli scritti apostolici del NT, la terza è un brano dei Vangeli). Nei giorni feriali sono previste invece solo due letture (per la prima lettura ci sono due cicli annuali, di cui il primo è da seguire negli anni dispari e il secondo in quelli pari). Nelle feste e me­morie dei Santi, le Messe rituali, per varie necessità e votive si proclamano le letture che si trovano nei rispettivi Lezionari con una ricca possibilità di scelta. Le letture vengono proclamate da un luogo che è designato come “ambone” (dal greco anabainein = salire). L’ OGMR 309 ne da la se­guente motivazione: “L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli”. Il lettore delle letture bibliche, secondo la tradizione, non deve essere il celebrante, ma un altro ministro. Deve apparire così che anche il sacer­dote celebrante si sottomette alla parola di Dio come uditore. Mentre le letture non evangeliche possono essere proclamate anche da un lettore laico, il Vangelo deve essere sempre proclamato da un sacerdote o da un diacono. Dopo le prime due letture per indicarne la fine si aggiunge: “Parola di Dio” e l’assemblea risponde con l’acclamazione: “Rendiamo grazie a Dio”.

b)  I canti tra le letture:
dopo le letture bibliche, dei canti fanno riecheggiare quanto si è ascoltato; essi costituiscono uno spazio di meditazione. Alla prima lettura segue così il Salmo respon­soriale. L’ OGMR 61 lo considera un elemento essenziale della liturgia della Parola. Poiché esso è connesso come contenuto con la lettura, è presentato dai lezionari dopo la lettura stessa. Per i diversi tempi dell’anno liturgico e per singoli gruppi di feste di Santi esistono anche salmi responsoriali comuni. Si tratta qui di un canto responsoriale, e cioè il solo cantore o salmista esegue il salmo mentre l’assemblea dopo ogni strofa risponde con un ritornello invariabile. Dopo la seconda lettura segue l’Alleluia (= Lodate Dio) con un versetto, preso per lo più dal NT. Questo canto non si riferisce alla precedente lettura, ma prepara al Vangelo. Si tratta di un grido (accla­mazione) a Cristo. Perciò l’assemblea deve cantarlo stando in piedi (OL, Premesse nr. 23)[5]. In Quaresima si omette l’Alleluia. Al suo posto si esegue il “Canto al vangelo”, detto prima Tratto. Se prima del Vangelo si esegue una sola lettura si possono eseguire entrambi i canti tra le letture o limitarsi a uno di essi. Due solennità, Pasqua e Pentecoste, hanno un altro canto tra le let­ture, la Sequenza. Ci sono pi anche due sequenze facoltative: Sequenze del SS. Corpo e Sangue di Cristo e della B.V. Maria Addolorata. Esse hanno il loro posto prima dell’Alleluia, poiché questo rappresenta l’immediata preparazione al Vangelo (cf. OGMR 64).


c)  Il Vangelo:
fin dai tempi antichi viene circondato da una speciale solennità così espressa: il ministro della proclamazione deve essere un diacono o un sa­cerdote; egli pronuncia una propria preghiera di preparazione o si fa impartire una speciale benedizione; il libro dei Vangeli (Evangeliario), nelle celebrazioni solenni, viene portato all’ambone processionalmente e con accompagnamento di incenso e di lumi; chi lo proclama segna il libro e se stesso con il segno della croce; in alcune celebrazioni, prima della proclamazione, si incensa il libro; prima e dopo la lettura i fedeli dicono (cantano) particolari accla­mazioni (“Gloria a te, o Signore”; “Lode a te, o Cristo”); dopo la lettura il ministro bacia il libro e dice: “La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”; la benedizione dell’assemblea con l’Evangeliario (da parte del vescovo). Questa rispettosa messa in risalto del Vangelo rispetto alle altre letture non può ad ogni modo indurre ad un minore apprezzamento delle stesse. Anche esse infatti appartengono alle Sacre Scritture ispi­rate, contengono la parola di Dio e, in quanto fanno parte del NT, sono da considerare buona novella (= vangelo). Così anche l’OGMR 55, sulla scorta della SC del Vaticano II, afferma di tutte le Sacre Scritture, senza dare particolare rilievo al Vangelo: “… nelle letture… Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è pre­sente per mezzo della sua parola, tra i fedeli”. Comunque, sappiamo che nel Vangelo è Cristo stesso che parla alla sua Chiesa. Non si tratta più solamente della Parola di Dio scritta, ma della Parola di Dio Fatta carne realmente ed effettivamente presente in questo sacramento della Chiesa. Questa realtà, questa prospettiva di fede, implica due conseguenze: l’assemblea si alza in piedi e spetta al ministro ordinato (vescovo, sacerdote, diacono) la proclamazione del Vangelo.

d) L’Omelia:
il Concilio Va­ticano II sottolinea che l’omelia è una parte della liturgia e, special­mente nelle messe comunitarie dei giorni domenicali e festivi, non deve essere omessa (SC 52). Per quanto riguarda i suoi contenuti essa deve presentare a partire “dal testo sacro, i misteri della fede e le norme della vita cristiana” (SC 52). Con riferimento alla prima Istruzione per l’attuazione della Costituzione liturgica (26 settembre 1964), l’ OGMR 65 amplia questa direttiva sui contenuti e prevede che l’omelia possa essere una spiegazione di altri testi della Messa del giorno “tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta”. Essa non è una lezione di catechismo, né un’esposizione teologica. Tanto meno è uno sfogo della propria vita personale né un’esercitazione di eloquenza. Essa deve rendere attuale e accessibile all’assemblea la parola di Dio che è stata appena proclamata. Essa è veramente un atto di Cristo che, per bocca del sacerdote, rende presente la sua Parola. Ecco perché, è sempre un ministro ordinato che deve fare l’omelia, e di preferenza il sacerdote che presiede l’Eucaristia[6].  


e) La professione di fede:
nelle solennità e nelle domeniche, dopo l’omelia, viene recitato o cantato il Credo (= professione di fede). Il suo significato profondo è di esprimere l’assenso dell’assemblea alla parola di Dio ascoltata nelle letture e nell’omelia, e alle essenziali realtà della fede; nello stesso tempo però è anche un’esaltazione del Dio uno e trino, che realizza la nostra salvezza. Inoltre, il Credo, nella celebrazione dell’Eucaristia è anche ricordo del Battesimo e invito alla rinnovazione dello stesso (cf. OGMR 67-68).


f) La preghiera universale:
detta anche “preghiera dei fedeli”, conclude la liturgia della Parola. In questa preghiera l’orizzonte dei fedeli si amplia e il popolo di Dio esercita la sua funzione sacerdotale per l’intera umanità. In essa infatti, nella linea della 1Tm 2, 1-3, vengono accolte non tanto le personali intenzioni del singolo orante quanto le domande a respiro universale dell’intera Chiesa e di tutta l’umanità. Bisogna sottolineare che le intenzioni che vengono proposte devono essere “sobrie, formulate con una sapiente libertà e con poche parole” (OGMR 71). Di norma dovrebbe essere osservato questo seguito (cf. OGMR 70): per le necessità della Chiesa, per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo, per coloro che si trovano in difficoltà (ad. malati), per la comunità locale. Nell’ambito di queste categorie le intenzioni possono essere anche liberamente formulate come contenuto e come forma. E così possibile accogliere nella cele­brazione eucaristica il “caldo respiro dell’attualità”. Compito del sa­cerdote celebrante è di recitare (o cantare) le formule di introduzione e di conclusione, mentre le singole intenzioni sono proposte da un diacono o da un cantore o anche da uno o più laici (cf. OGMR 71). L’assemblea fa seguire queste domande da un’invocazione collettiva o anche da una preghiera silenziosa.

 

3. Liturgia eucaristica.

Comprende:

a)  La Preparazione dei doni
– il pane e il vino necessari per l’Eucaristia, possono essere portati processionalmente all’altare. Il fatto che questa preparazione abbia luogo solo adesso, rileva l’inizio della seconda parte principale, la quale nella sua struttura riproduce l’Ultima Cena di Gesù e ripresenta il Mistero pasquale. Il presentare il pane e il vino – sono il risultato del lavoro e della fatica umani, è allora diventano simbolo dell’offerta di sé da parte dei fedeli. Anche se oggi i fedeli non portano più essi stessi il pane e il vino per la celebrazione eucaristica, come un tempo, tuttavia questo gesto mantiene la sua forza espressiva. Anche il portare da parte dei fedeli o il raccogliere denaro e altri doni per i poveri o per la chiesa, hanno qui la loro collocazione significativa. Essi vengono deposti in luogo adatto, ma non sulla mensa della celebrazione eucaristica (cf. OGMR 73). Le preghiere della deposizione dei doni eucaristici sull’altare sono una riconoscente esaltazione della bontà di Dio, dalla quale riceviamo il pane e il vino. Questi doni sono frutto della terra e della vite come pure del lavoro umano e sono destinati, nella seconda parte della celebrazione eucaristica, a diventare per noi “pane della vita” e “calice della salvezza”[7]. Prima che il sacerdote elevi il calice, mescola al vino un poco d’acqua. Il cristianesimo vi vide un simbolismo molteplice: innanzitutto il richiamo al sangue e all’acqua, che uscirono dal costato di Cristo e nei quali si vide simbolizzata la nascita della Chiesa e dei Sacramenti; quindi una rappresentazione dello stretto col­legamento della natura divina e di quella umana in Cristo; infine lo stretto collegamento che ci viene donato con Cristo. A partire dalle due ultime interpretazioni è da comprendere la preghiera che accom­pagna il gesto della mescolanza: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Alla preghiera di preparazione del calice segue una preghiera di offerta di se stessi (“… Accoglici, o Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio”). E’ possibile quindi incensare i doni e l’altare, il sacerdote e l’assemblea. Segue la Lavanda delle mani. E’ un gesto di purificazione e di penitenza. La preghiera che l’accompagna lo caratterizza come simbolo del desiderio di pu­rezza. Non è un gesto secondario, perché rimanda a ciò che Gesù ha compiuto (cf. Mt 15, 2.20; Mc 7, 2; Lc 11, 38) e ci fa scoprire il radicamento storico della celebrazione stessa. La Preparazione dei doni si conclude con la preghiera detta  Orazione sulle offerte.


b)  Preghiera eucaristica
– questa parte comincia con il dialogo tripartito, nel quale incontriamo un’antichissima tradizione ebraica e cristiana (“II Signore sia con voi...; In alto i nostri cuori...; Rendiamo gra­zie...”) che introduce il Prefazio. In questo dialogo introduttivo diventa chiaro che anche la Preghiera eucaristica deve essere intesa non come un affare esclusivo del celebrante, ma come preghiera dell’intero popolo di Dio. Questo dialogo è invito e avvio alla grande azione di grazie (greco: eucharistêin) e si riferisce quindi non solo al Prefazio seguente, ma all’intera Preghiera eucaristica[8]. Nel Prefazio il celebrante rende grazie a Dio per tutti i suoi benefici e specialmente perchè Egli è il nostro Dio che ci ha creati, chiamati e scelti per lodarl- Il Sanctus che segue, ripetuto tre volte, deve essere recitato o cantato insieme dal sacerdote e dall’assemblea (cf. OGMR 79b). Al Sanctus fanno da riferimento due luoghi biblici: l’inno di lode degli angeli nel racconto della visione di Isaia (6, 2s.) e l’acclamazione del popolo all’ingresso di Gesù in Gerusalemme (Mt 21, 9). Il Sanctus appartiene al più antico patrimo­nio di quasi tutte le liturgie e la sua prima parte fu presa probabilmente dal servizio ebraico di preghiera. “Osanna” è una preghiera ebraica, che originariamente aveva il significato di “dona, Signore, la salvezza”, e divenne più tardi grido di gioia a onore di Dio e del re (cf. Sal 118, 25-26).

- l’Epiclesi preconsacratoria – è un’invocazione dello Spirito Santo perché trasformi il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù. Le ultime parole di questa epiclesi vengono sottolineate da due riti di benedizione: l’impo­sizione delle mani sui doni e la benedizione col segno di croce.

- il racconto dell’istituzione – il celebrante ripete ciò che Gesù fece prima della Passione (gli stessi gesti e le stesse parole) durante l’Ultima Cena. Da allora noi possiamo, oggi e ogni giorno, compiere l’azione di grazie e celebrare il sacrificio che Egli ha ritualmente offerto al Padre ordinando ai suoi: “Fate questo in memoria di me”.

- l’anamnesi – ora l’assemblea dopo le parole della consacrazione dice l’acclamazione “Annunziamo la tua morte, Signo­re...”. Con riferimento a 1Cor 11, 26 l’assemblea si proclama così riconoscente al suo Signore e alle sue opere salvifiche. La successiva Anamnesi (= memoriale) fa memoria dell’intera opera della salvezza di Cristo. Non si tratta però di un semplice ricordo, ma di un atto sacramentale con cui ciò che è stato compiuto nel passato, una volta per sempre, ci è realmente donato nel presente della fede della Chiesa e ci apre all’avvenire dell’umanità, chiamata a “ricevere” un giorno il Cristo nella sua gloria.

- l’offerta del sacrificio – è strettamente collegata con l’Anamnesi. Essa si riferisce innan­zitutto all’unico sacrificio di Cristo, nel quale egli è nello stesso tempo sacrificio e sacerdote, e che viene reso presente sacramentalmente nella celebrazione eucaristica (presenza attuale). La Chiesa come corpo mistico di Cristo si unisce intimamente alla dedizione di Cristo, men­tre associa l’offerta di se stessa a Dio al sacrificio di Cristo. Il tema dell’offerta di sé da parte della chiesa è già risuonato nella preparazione dei doni, ma qui diventa particolarmente attuale. “La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma im­parino anche ad offrire se stessi e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti” (OGMR 79f).

- l’epiclesi postconsacratoria – in essa si prega anche per l’unità dei fedeli, che viene riconosciuta come opera particolare dello Spirito Santo.

- le intercessioni – sono per tutta la Chiesa, per i suoi capi, per l’assemblea riunita, ma anche per “tutti i tuoi figli ovunque dispersi” (Preghiera eucaristica  III). Queste intercessioni riguardano anche tutti “i defunti, dei quali tu solo hai conosciuto la fede” (Preghiera eucaristica IV). Così si esprime anche qui l’universale significato salvifico del sacrificio della croce e della sua ripresentazione sacramentale. In tutte le quattro Preghiere eucaristiche si trova anche una com­memorazione dei Martiri e dei Santi e in particolare della Madre di Dio e degli Apostoli.

- la grande Dossologia (=  parola di lode) – nel corso di essa il sacerdote eleva alquanto i doni consacrati e dice (canta): “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria nei secoli dei secoli”. Nella e attraverso la comunione con Cristo anche la nostra vita acquista valore nel senso dell’onore reso a Dio e raggiunge così il suo significato più profondo. L’assemblea conferma questa parola di lode con il suo “Amen” (OGMR 79h).


c) Riti di comunione
– questa parte si apre con: - il Padre nostro seguito dal embolismo e acclamazione. Questa preghiera, essendo una preghiera di Cristo - Capo, è diventata preghiera del suo Corpo. La preghiera del Figlio unico di Dio è diventata una preghiera comune di tutti i figli di Dio, fratelli e sorelle di Gesù (cf. Gv 20, 17; Mt 6, 9-13). La funzione teologica di questa preghiera è interpretata “sia come compimento del mistero sacrificale sia come preparazione alla comu­nione” o “come elemento di congiunzione tra l’azione sacrificale e la comunione conviviale con Cristo, che essa rende possibile”[9]. Al Padre nostro, recitato o cantato da tutta l’assemblea, segue una preghiera che sviluppa l’ultima domanda della liberazione dal male. In essa il sacerdote prega per la pace, chiede l’aiuto della misericordia divina, la liberazione dal pec­cato e la sicurezza dal turbamento, “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”. Questo testo fin dall’antichità porta il nome di Embolismo (= inserzione), si conclude con l’acclamazione dell’assemblea “Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli”[10]. - il rito della pace – è da intendere come immediata preparazione alla comunione. Gesù nel discorso della montagna dice molto chiaramente che la riconciliazione con i fratelli deve precedere la liturgia (Mt 5, 23s.). Il sacerdote recita prima una preghiera, che si ispira alla promessa di pace di Gesù (Gv 14, 27). Quindi con le mani allargate dice (o canta) il saluto di pace. Segue l’esortazione ai fedeli a scambiarsi un segno di pace. - la frazione del pane e «immixtio» – quindi il sacerdote spezza l’ostia in più parti e ne immette un pezzetto nel calice. Nel far ciò dice sottovoce: “Il corpo e il sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna”. Già San Paolo vide nel gesto dello spezzare il pane un significato simbolico: l’unico pane, che è Cristo, viene distribuito ai molti perché essi diventino l’unico corpo di Cristo (cf. 1Cor 10, 16s.). Anche l’OGMR fa propria questa interpretazione (83 e 321). L’OGMR 85 desidera espressamente che in ogni Eucaristia siano consacrate appositamente le ostie per la comunione dei fedeli. Il fatto di immettere una piccola parte dell’ostia nel calice (com­mistione) viene così spiegato dall’OGMR 83: “Il sacerdote spezza il pane e mette una parte dell’ostia nel calice, per significare l’unità del Corpo e del Sangue di Cristo nell’opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù vivente e glorioso”.
- l’Agnus Dei – nel frattempo la corale o il cantore in alternanza con l’assemblea cantano la preghiera litanica dell’Agnus Dei (Agnello di Dio). - la preghiera di preparazione e l’elevazione – il sacerdote per prepa­rarsi personalmente a ricevere fruttuosamente la comunione dice una preghiera. Dopo aver fatto genuflessione, elevata un poco l’ostia (è possibile elevare anche il calice), dice la frase biblica: “Beati gli invitati alla Cena del Signore” (Ap 19, 9), “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo” (Gv 1, 29). Quindi egli prega con l’assemblea: “O Signo­re, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato” (Mt 8, 8). - la Comunione – per primo il sacerdote riceve il Corpo e il Sangue di Cristo dicendo una breve preghiera. Quindi egli distribuisce la comunione ai fedeli con le parole: “Il corpo di Cristo”, alle quali i fedeli rispondono: “Amen”, una preghiera, nono­stante la sua brevità, di fede e di adorazione. Dopo il Vaticano II è stata lasciata ai fedeli la scelta tra il ricevere la comunione nella mano (rito originario) o in bocca (uso invalso a partire dal sec. IX). Quanto alla Comunione al calice – occorre osservare le norme liturgiche[11]. Comunque, se essa viene fatta, il ministro, prima di porgere il calice, dice le parole: “Il sangue di Cristo” e colui che riceve la comunione risponde: “Amen”. Nel primo millennio cristiano era usuale in Oriente e in Occidente ricevere la comunione stando in piedi, il che era particolarmente conveniente per la comunione al calice. Nel corso del sec. XII iniziò l’uso di comunicarsi stando in ginocchio. Dopo il recente Concilio si è affermato nuovamente l’uso di comunicarsi stando in piedi[12]. La distribuzione della comunione è accompagnata dal canto di Comu­nione (cf. OGMR 86).
- il ringraziamento – considerato il significato della comunione è logico e opportuno un ringraziamento che può esprimersi nella preghiera silenziosa o nel canto di un inno, un salmo o un altro canto di lode. - l’Orazione dopo la comunione – costituisce un ringraziamento, ma insieme anche la domanda di un durevole frutto del sacramento.  


4. Riti di conclusione.

Comprendono:

- brevi avvisi parrocchiali (se necessari!) – si tratta di brevi comunicazioni all’assemblea, im­portanti per la vita parrocchiale.
- il saluto e la benedizione – il celebrante saluta l’assemblea con il tradizionale augurio “Il Signore sia con voi” e imparte la Benedizione. In luogo della formula semplice può anche essere scelta una Benedizione solenne (Messale Italiano, pp. 428-445) o una Preghiera di benedizione sul popolo (Messale Italiano, pp. 446-450). L’OGMR 43 non prevede che i fedeli si inginocchino alla benedizione. Per la Benedizione solenne e la Preghiera di benedizione sul popolo la monizione ini­ziale invita a inchinarsi. Il corrispondente segno di croce da parte dei fedeli, che non viene nominato, dovrebbe essere mantenuto come gesto pieno di senso.
- il congedo – la parola conclusiva Ite missa est significa propriamente: “Andate, è il Congedo” (dal latino dimissio). Già nell’antichità era usuale indi­care con queste parole il termine di una riunione. La traduzione italiana «La messa è finita: andate in pace» è quindi da intendere come un’interpretazione esplicativa. Del resto da questa parola latina di congedo deriva il termine “messa”. Poiché ogni dono di Dio diventa un impegno e comporta una vita di azione di grazie e di diffusione del messaggio e della grazia divina, si è inteso talvolta l’Ite missa est sulla scorta della parola latina missio anche nel senso di una missione, qualcosa come: “Andate, la vostra missione comincia”, “La Messa che avete celebrato in comunità, ora bisogna realizzare in pratica”. A questo congedo, l’assemblea risponde con grido di gioia e di fede “Rendiamo grazie a Dio” che esprime la riconoscenza per l’Eucaristia appena celebrata. Come all’inizio, anche a questo punto il sacerdote bacia l’altare e si reca in sacrestia (ritorno) accompagnato dal canto.   


[1] Cf. San Giustino, Prima Apologia, LXV-LXVII in G. Gandolfo (a cura di), Le due Apologie, Ed.- Paoline, Roma 1983, 115-119 (Letture cristiane delle origini. Testi, 10).

[2] Cf. SC 56, 48, 51.

[3] Così H. Noldin, Summa theologiae moralis, v. II, Innsbruck 19119, 278.

[4] Particolarmente utile per la comprensione delle singole parti, tra gli altri: J.A. Jungmann, Missarum Sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana. Edizione anastatica, Ed. Ancora, Milano 2004; R. Cabié, L’Eucaristia, in A.M. Martimort, La Chiesa in preghiera. Introduzione alla liturgia, v. II, Queriniana, Brescia 1985; AA.VV., Eucaristia. Teologia e storia della celebrazione, Marietti, Genova 1991 (Anàmnesis 3/2); E. Mazza, Origine dell’Eucaristia e sviluppo della teologia eucaristica, in AA.VV., Celebrare il mistero di Cristo. Manuale di liturgia a cura dell’Associazione Professori di Liturgia, Ed. Liturgiche, Roma 1996, 125-290; AA.VV., Il Sacramento dell’unità, in Idem., Nelle vostre assemblee. Teologia pastorale delle celebrazioni liturgiche, v. II, Queriniana, Brescia 1984, 153-253.

[5] OL = Ordo lectionum (Ordinamento delle letture della Messa), Roma 19691; cf. OGMR 62-63.

[6] “Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote con celebrante e, secondo l’opportunità, anche a un diacono; mai però a un laico (CIC 767§1). In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal Vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare” (cf. OGMR 66).

[7] Per quanto riguarda la qualità dei doni vale per il pane quanto stabilito dall’OGMR 320: “Il pane per la celebrazione dell’eucaristia deve essere di solo frumento, confezionato di recente e azzimo, secondo l’antica tradizione della Chiesa latina”. Il pane deve essere fatto in modo che “il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli” (OGMR 321). Per il vino si richiede che provenga dal “frutto della vite” e sia “naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee” (OGMR 322; CIC 924§3). Pane e vino devono essere in stato di perfetta conservazione e cioè il vino non deve essere diventato aceto e il pane non deve essersi guastato o diventato troppo duro (cf. OGMR 323).

[8] La parola Prefazio non deve essere tradotta e intesa come “discorso che precede” o “prefazione” che presenta un libro, una sorte di pre-discorso. Infatti il prefisso latino prae (= prima) è da intendere qui non in senso temporale, ma spaziale: davanti a Dio e all’assem­blea “il sacerdote... glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del tempo” (OGMR 79a).
[9] W. Dürig, Das Vaterunser in der Messe, in Gemeinde im Herrenmahl, 326.

[10] L’aver accolto nella messa romana questa acclamazione che risale alla transizione dal I al II sec. (Didachè 9, 4) è, nello stesso tempo, un piccolo passo nel senso dell’unità ecumenica. I cristiani evangelici infatti uniscono sempre questa pre­ghiera al Padre nostro, da quando M. Lutero la accolse nella sua traduzione della Bibbia a partire dal modello greco da lui utilizzato del NT. Anche le chiese orientali l’hanno nella loro celebrazione euca­ristica, anche se in una forma alquanto ritoccata.

[11] L’ OGMR 283 dice che “La Comunione sotto le due specie è permessa oltre ai casi descritti nei libri rituali: a) ai sacerdoti che non possono celebrare o concelebrare; b) al diacono e agli altri che compiono qualche ufficio nella messa; ai membri delle comunità nella messa conventuale o in quella che si dice “della comunità”, agli alunni dei seminari, a tutti coloro che attendono agli esercizi spirituali o partecipano ad un convegno spirituale o pastorale”Lo stesso documento, e nello stesso numero, dice ancora: “Il vescovo diocesano può stabilire per la sua diocesi norme riguardo alla Comunione sotto le due specie… Allo stesso vescovo è data la facoltà di permettere la Comunione sotto le due specie ogni volta che sembri opportuno al sacerdote al quale, come pastore proprio, è affidata la comunità, purché i fedeli siano ben preparati e non ci sia pericolo di profanazione del Sacramento o la celebrazione non risulti troppo difficoltosa per il gran numero di partecipanti o per altra causa”. Quanto al modo della comunione al calice l’OGMR 285 prevede due forme possibili: a) bevendo direttamente dal calice, b) per intinzione dell’ostia nel calice.

[12] Se­condo l’istruzione Eucharisticum mysterium del 25 maggio 1967 è possibile, seguendo le norme della Conferenza episcopale comunicarsi stando in ginocchio o in piedi (nr. 34).

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